18 gennaio, 2015
Fascismo. Vent’anni di corruzione dei gerarchi e di Mussolini. E Matteotti muore per il petrolio.
Le dittature non sono meno corrotte, ma più corrotte delle democrazie. Per ovvi motivi: occupano tutti gli spazi politici e decisionali, non hanno controlli politici, finanziari e di mercato economico, favoriscono i monopoli, cadono nel favoritismo (“premiare i militanti”) e nel nepotismo ecc. Perché il Fascismo avrebbe dovuto fare eccezione? Anzi, come fenomeno italiano ha assommato in sé la patologia del totalitarismo (spesso interpretato in una scimmiottatura grottesca, da operetta) con i limiti delle vecchie classi dirigenti, mai state liberali tranne che nella parentesi del Risorgimento, se non addirittura coi difetti secolari, “genetici”, della popolazione della Penisola: la predisposizione alla raccomandazione, all’inosservanza delle regole, alla corruzione, al peculato. In questo senso, perciò, come ebbe a scrivere Piero Gobetti, il Fascismo è davvero lo specchio, anzi la «autobiografia della Nazione». Insomma, sia Croce (Fascismo come malattia o brusca interruzione), sia Gobetti (Fascismo come epilogo di antichi mali) hanno ragione.
Infatti, appena Mussolini prende il potere nel 1922, e ancor più dopo il 1925, quando il Fascismo si rafforza e s’impone definitivamente come regime totalitario, la corruzione dilaga e si scatena l’ingordigia dei gerarchi e del Duce stesso.
Lo rivela con ricchezza di documenti una ricerca condotta presso l’Archivio centrale dello Stato da storici di valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti e Lorenzo Santoro. Sono prove che inchiodano il Fascismo. Ora una interessante puntata del programma Rai-Tv (Rai-Tre) “La Grande Storia” (Fascismo: dossier, ricatti e tradimenti), di Enzo Antonio Cicchino (consulente storico: Giovanni Sabbatucci), introdotto e commentato da Paolo Mieli. La trasmissione dura oltre 100 minuti, ed è visibile qui. Sono così offerti finalmente al largo pubblico in una buona divulgazione alcune notizie tratte da saggi che ormai hanno una certa età, ma che finora erano consultati solo da studiosi, come quelli di Mauro Canali (Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Il Mulino, 1997) e di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino (Il golpe inglese, Chiarelettere, 2011).
Inedita e molto interessante la parte che riguarda la corruzione diffusa nella classe dirigente fascista, a cominciare dai capi. Pochi ricordano che tra le rivelazioni annunciate dal deputato socialista Matteotti e che portarono al suo assassinio, quelle sugli scandali economici del Fascismo erano le più importanti. Ebbene, ora si è trovato che lo stesso Mussolini era al centro dell’affarismo sulla dismissione del materiale bellico: una lettera parla di una tranche di 250 mila lire consegnata a mano. Ma fu il petrolio a far morire Matteotti. Aveva scoperto che il Fascismo aveva concesso – gratis e senza tasse – alla Sinclair Oil, affiliata della Standard Oil, l’esclusiva per 90 anni di tutte le estrazioni in Italia. Un privilegio enorme e inspiegabile.
Da buon segugio, Matteotti fiuta il marcio. Si reca a Londra e dai compagni laburisti inglesi ottiene le prove, fornite dalla concorrente esclusa dalla gara, la BP. Un giornale inglese parla di una tangente di ben 30 milioni di lire (degli anni Venti!) consegnata ad Arnaldo, fratello di Mussolini, “affarista di famiglia” presente in tutte le operazioni, come lo definisce la ricerca degli storici trasmessa dalla Rai, e ad altri. Purtroppo, Matteotti, pedinato dall’Ovra fascista, commette l’errore di far capire che sa. E’ la sua condanna: sarà ucciso il 10 giugno 1924. Dopodiché, scomparso Matteotti, eliminata l’opposizione, decapitati e asserviti tutti i giornali, il Fascismo si presenterà con la falsa maschera di “regime onesto”, a cui crederanno i tanti italiani ingenui o ignoranti che si ritengono “fascisti perbene”. [Sul delitto Matteotti e le “mazzette del Duce” si veda anche questo articolo tratto dai saggi citati].
Così, per i gerarchi, capi e capetti, per il Duce stesso, il Fascismo diventa subito una gallina dalle uova d’oro. Accumulano così immense fortune. Primi tra tutti Farinacci, l’estremista più esaltato ma non certo il più onesto, e il potentissimo Costanzo Ciano. Si arricchiscono anche i gerarchi inviati in Africa: per loro era normale chiedere una percentuale del 10% su tutti i contratti e appalti, come denuncia una lettera d’un fornitore di Napoli
I gerarchi fascisti sono apparentemente liberi, senza alcun controllo ufficiale. In realtà sono occhiutamente spiati dalla Polizia, i cui informatori riferiscono tutto a chi di dovere, primo tra tutti il Duce, e tutto viene tradotto in minuziosi e burocratici documenti cartacei che vanno a riempire migliaia di faldoni, ancora largamente presenti nel nostro Archivio di Stato.
Mussolini, con i propri e altrui scheletri nell’armadio, chiude tutti e due gli occhi sulle ruberie altrui, ma ansioso e insicuro com’è, continua a far sorvegliare e spiare i gerarchi, di cui conserva i dossier, per poterli all’occorrenza tenere in pugno e ricattare. Altro che unitario, il Fascismo è un covo di vipere! Il Regime – dice la scheda di presentazione della Rai – brulica di «dossier, lettere, minacce, accuse vere e false oscenità, inganni, arresti, ricatti. Un ventennio di ricatti! Gerarca contro gerarca, amante contro amante, e l’accusa di omosessualità come arma politica. E Mussolini su tutto e su tutti fa spiare, controlla, punisce, muove le sue pedine».
Del resto, fin dalla vigilia della Marcia su Roma, ancor prima di prendere il potere, si era premunito di enormi finanziamenti. Alti esponenti delle banche e dell’industria che vanno a fargli visita lasciano sulla sua scrivania all’Avanti l’equivalente di molti milioni di euro, in cambio della promessa mussoliniana di leggi a loro favore una volta preso il potere.
Le ricerche hanno documentato anche versamenti di enormi somme di denaro presso la banca del Vaticano (Ior), in Brasile e perfino negli Stati Uniti, anche riconducibili a Mussolini, tre anni prima della dichiarazione di guerra (evidentemente improvvisata, se non aveva pensato alla fine che avrebbe fatto il suo cospicuo deposito ...).
E che ne è dei pochissimi gerarchi onesti? Alcuni addirittura protestano per le ruberie, e in tal caso scattano le dimissioni d’autorità, l’emarginazione, fino al confino, magari, per fare buon peso, con una bella accusa di “pederastia”. Mussolini e il Fascismo sono ossessionati dal sesso e dalle abitudini sessuali.
Infine, dopo il 1938, con la promulgazione delle famigerate leggi razziali, nuove insperate fonti di guadagno si aprono per i gerarchi, grazie alla spoliazione dei beni degli ebrei. Ai cittadini italiani (“ariani”) che denunciano – tra cui la stessa amante di Mussolini, Claretta Petacci – vanno cospicue percentuali dei beni ebraici. Per gli ebrei non anti-fascisti viene inventata una costosissima procedura di “arianizzazione” che tra tasse, mazzette ed esose parcelle degli avvocati, li spolpa vivi.
Una bella trasmissione, che si raccomanda, e che tutti dovrebbero vedere.
Ora, poi, sulla corruzione del Fascismo esce anche un saggio storico. Si sa che gli alleati inglesi e americani s’impossessarono di tutti i documenti sul Fascismo che poterono trovare; e del resto nessun governante italiano avrebbe mai il coraggio di chiederne la restituzione. Ebbene, consultando i faldoni custoditi nei National Archives di Kew Gardens, vicino a Londra, due ricercatori, Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, hanno scritto un libro d’inchiesta storica sulla corruzione del regime fascista, sulle faide e i ricatti che lo divisero al suo interno: "Tangentopoli nera" (Sperling e Kupfer, pagg. 252, euro 18). Solo i documenti trafugati a Matteotti dalla banda di Dumini durante il sequestro del deputato socialista non furono mai trovati: si dice che Dumini li portasse sempre con sé per usarli in caso di bisogno per ricattare il Duce, visto che provavano la corruzione di Mussolini ad opera della società petrolifera inglese Sinclair Oil. Anche queste carte, nelle quali non solo il Fascismo, ma anche la Gran Bretagna non fa una bella figura, dovrebbero essere in mani inglesi o americane, ancora protette dal segreto di Stato. Secondo i due autori, probabilmente si trovano nei locali blindati del Naval Intelligence Department, a Londra, e in quelli del Federal Bureau of Investigation e del Dipartimento di Stato USA, a Washington.
AGGIORNATO IL 19 LUGLIO 2017
14 gennaio, 2015
Un Presidente? Deve essere esperto e saggio come Einaudi; ma non prepotente o avventato.
Troppo interventista? In realtà troppo esperto, e perciò reso sicuro e autorevole per eccesso di autostima ed esperienza in mezzo a politicanti improvvisati e di mezza tacca, per non emergere come il Grande Suggeritore che “manovra”, anzi, salva gli sprovveduti neofiti della nuova classe politica, i tanti "cittadini" senza arte né parte trovatisi improvvisamente al Potere, spesso capaci di tutto e buoni a nulla. Di qui l'accusa di "grande burattinaio" della politica italiana per più di sette anni, che si ritorce non solo contro tanti deputati o ministri "burattini", ma anche contro gli sconsiderati che senza opporre alternative organiche osteggiavano le sue soluzioni, certamente discutibili, e che per questa impotenza avrebbero gettato l'Italia nel caos. Questo grande lavorio di "supplenza" politica e diplomatica, soprattutto dietro le quinte, lo inserisce nel grande filone della storia politica italiana e ricorda un poco, più che la neutralità di Einaudi, la passione e la prepotente volontà del grande Cavour, compresa l'abilità e la fantasia nel trovare soluzioni impensate e nel volere e sapere gestire di persona problemi insolubili per i mediocri uomini di Governo o del Parlamento. Solo che Cavour era Capo di Governo, mentre Napolitano è stato Capo dello Stato, una differenza non da poco.
Ecco il perché delle critiche, per lo più postume, al suo personalismo e alla sua forte influenza di "persuasore occulto" o decisionista. Ma sono i risultati che contano: l'essere stato determinante nel far uscire l'Italia dalla crisi. Il che gli ha fatto perdonare il burrascoso passato di ambiguo esponente del PCI, insieme legato a Mosca, ma anche con qualche entratura degli Stati Uniti. Ma per fortuna come Einaudi anche Napolitano era di quella bella generazione per cui i doveri vengono prima dei diritti, e il senso dello Stato, la difesa della Patria (parola che ogni farebbe sghignazzare i ragazzotti sottoculturali su internet ed eccitare solo i teppisti fascistelli) sono l’ultimo scopo della Politica.
E anche grazie a questo, forse, è stato un uomo – e un uomo politico – serio, di grande rigore e professionalità, grande conoscitore della dinamica Politica e delle Istituzioni, con molta esperienza personale in Italia e all’Estero, garante convinto dell’Unità d’Italia, europeista, arbitro neutrale e giusto, laicista deciso ma senza inutili esibizioni, tanto da essere molto stimato anche da due Papi, oltre che dai Capi di Stato e Governo degli Stati Uniti, Germania, Regno Unito e dell’Europa tutta.
Guy Verhofstadt, leader dei Liberali al Parlamento Europeo e buon conoscitore dell’Italia e della sua politica, ha scritto: «Grazie Napolitano! La ringrazio, Presidente, per il continuo impegno e sostegno ai principi europei in Italia: continuiamo a contare su di lei!»
Con saggezza e lungimiranza ha inciso sulla vita politica dell’Italia e dell’Europa. In momenti di grandi sfide ha reagito con avvedutezza trovando compromessi che hanno giovato al suo Paese e a quelli dei suoi partner» ha riconosciuto il Presidente tedesco Joachim Gauck, che lo ha ringraziato «per l’instancabile impegno a favore del disegno europeo e della comprensione tra Italia e Germania». E ancora: «Il presidente Giorgio Napolitano è un grand’uomo, un uomo di storia che ha stabilizzato l’Italia in momenti molto critici, e stabilizzando l’Italia ha stabilizzato anche l’Europa: non ha meriti semplicemente nazionali, ma anche europei» (Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo). Che così ha proseguito: «Un ricordo bellissimo che ho di Giorgio Napolitano è il processo della ratificazione della Costituzione Europea. È stato un cammino per lo stesso trattato di Lisbona, un momento che ho condiviso con lui. Un uomo di grande esperienza politica, e io stesso ho approfittato delle conoscenze che aveva all’epoca»
E perciò è stato anche ricco di idee, fantasia politica, cultura e carisma, lucidissimo e capace di esporre complessi concetti a braccio fino a quasi 90 anni, eroico nel volersi sobbarcare, per l'insistenza dei politici incapaci, un’ulteriore fatica in tarda età, quella della riconferma. Una circostanza eccezionale dovuta alla crisi politica, che si è ricomposta come annunciato dopo un anno, con le dimissioni per motivi di tarda età e stanchezza, alla fine del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea.
Ma sarebbe stato un Presidente qualunque se non avesse saputo rispondere con idee, fantasia e coraggio eccezionali ai momenti di grave crisi delle Istituzioni, quando un intero Parlamento neoeletto, frastornato, senza esperienza e senza idee, in disaccordo su tutto, non sapeva chi eleggere e che cosa fare.
Lui, malfermo in salute, ormai stanchissimo, fu costretto ad accettare un nuovo mandato «perché c’era in gioco l’interesse nazionale, cioè qualcosa che per lui contava più di qualsiasi prezzo ci fosse da pagare» ha scritto Arrigo Levi che gli è stato vicino come amico e consigliere. Perché Napolitano appartiene «alla generazione che viene dall’antifascismo e si identifica in una concezione del dovere molto forte. Se si fosse sottratto a quella chiamata nel nome della Patria - e so di usare un’espressione fuorimoda e spesso carica di valenze retoriche - Napolitano avrebbe vissuto il proprio ritiro come una diserzione. Insomma, era indispensabile che rimanesse al suo posto per la salute della Repubblica. Per fortuna, con grande sacrificio, ha onorato l’impegno».
Per salvare l’Italia si inventò il governo «tecnico» di Mario Monti, poi le «larghe intese» di Enrico Letta e l’esecutivo «di scopo» (le riforme) di Matteo Renzi. Altro che «debordare dai propri limiti», come alcuni faziosi senza memoria hanno insinuato: tutti i Presidenti, e tanto più i grandi, nei periodi di crisi, «hanno colmato i vuoti della politica con scelte penetranti e incisive», ha detto Levi.
Napolitano ha così salvato anche all’Estero l’onore dell’Italia, compromesso non solo dalla crisi economica e finanziaria, ma da rappresentanti del Popolo dilettanti, velleitari e inadeguati come in poche altre volte nella nostra Storia.
Napolitano ha utilizzato al meglio, meglio di tutti i suoi predecessori, gli altissimi e ampi poteri che la bella Costituzione Italiana affida al Presidente (che solo gli ignoranti continuano a dire che devono limitarsi a quelli di mero arbitro e rappresentante dell’Unità nazionale): sciogliere il Parlamento, nominare in totale autonomia il Capo del Governo, dire no a leggi e decreti, inviare messaggi al Parlamento, comandare le Forze Armate, presiedere il Consiglio della Magistratura ecc. Un bravo Presidente deve intervenire, eccome, specie nel litigio continuo degli Italiani e con una Costituzione che gli affida così tanti e importanti compiti.
È stato accusato di aver travalicato i propri doveri, di aver svolto con troppa partecipazione un ruolo di supplenza verso il vuoto di potere e di idee di Governi troppo deboli e d’un Parlamento troppo inadeguato al proprio compito. Anzi, ha detto bene un commentatore laico, Enrico Cisnetto: avrebbe potuto fare ancora di più e meglio, per esempio spingere Governi e Parlamento a dare vita a una nuova fase Costituente, per rinnovare in modo serio e razionale la Costituzione, se davvero era convinto che la cronica crisi della politica italiana dipende dai “lacci e lacciuoli” delle regole, dei bilanciamenti e dei controlli previsti dal nostro sistema costituzionale liberale, anziché da una classe politica inadeguata e corrotta.
Così divenne fautore e ispiratore – con Renzi come longa manus – d’una non richiesta e non urgente “riforma” della Costituzione per rendere «più semplice ed efficiente» il funzionamento della macchina statale. Non è stata soltanto colpa sua, ma soprattutto dei tira-e-molla del Parlamento e dell’incultura e dei diktat del Capo di Governo, Renzi (che mai avrebbe dovuto proporre una riforma della Costituzione: è stato un vero e proprio conflitto d’interessi), se poi le Camere hanno consegnato al Referendum popolare di conferma un testo mal scritto, confuso, caotico e addirittura peggiorativo in alcuni punti che ha finito per deturpare la nostra bella Costituzione. Ecco, qual è stato l’unico neo della Presidenza Napolitano e il tragico errore del Governo di Renzi.
Pur molto amato e considerato per la sua competenza dai cittadini, era stato criticato dalla Destra perché “ex-Pci”, dalla estrema Sinistra e da Grillo perché “troppo accondiscendente con Berlusconi”, e infine fatto oggetto di attacchi da settori ultras della magistratura per presunte "trattative Stato-mafia". «Non credo, assolutamente, che un uomo come lui abbia fatto nulla che deragliasse dai principi repubblicani, che si sia mosso fuori da una piena consapevolezza dei suoi doveri», ha detto Levi. «Lo dimostra la tranquillità - in quel caso ben più che un dono di carattere - con cui ha affrontato quella prova di forza».
Ad ogni modo, la figura fondamentale e centrale nella Costituzione, quella del Presidente della Repubblica, Napolitano, dobbiamo riconoscergli, l'ha impersonato come pochissimi altri con grandissima dignità e prestigio, riconosciuti anche in tutta Europa e in America. Esperto, saggio e coraggioso, così deve essere, anche per adempiere ai compiti della Costituzione italiana, un buon Presidente della Repubblica.
Grazie a Giorgio Napolitano. Non dimenticheremo né le sue qualità, né i suoi difetti. E, anzi, rabbrividiamo al pensiero di chi ora potrebbe succedergli. Nessuno dei “papabili” ha la sua caratura.
IMMAGINI. 1. La foto ufficiale da Presidente della Repubblica. 2. Una immagine degli anni Settanta.
AGGIORNATO IL 23 GIUGNO 2019