09 marzo, 2009
L’esempio della solita Gran Bretagna: ha i vescovi in Parlamento, ma non parlano
Il grado di osservanza di un principio costituzione, perfino di una sentenza della Cassazione (si è visto di recente sul caso Englaro), e di una legge, dipende dall'educazione civile, morale e sociale di un popolo. E la laicità dello Stato oggi è messa a repentaglio non solo da alcuni organi dello Stato stesso, ma anche da gruppi organizzati. Gli Italiani non sono più laicisti, sia pure moderati, come erano fino ai tempi del divorzio e dell'aborto?
Noi Italiani saremo pure, tecnicamente e storicamente "maestri" di diritto, avremo pure costruito una delle più belle Costituzioni del Mondo (tranne che per quel sovietico "lavoro", anziché "libertà", al primo articolo), ma resta sempre vero, come causa delle cause, quello che i giovanissimi fratelli Bandiera e il Novaro scrissero nei versi del nostro Inno nazionale: "Perché non siam popolo, perché siam divisi". E perché, come dicevano amaramente i liberali dell'Ottocento: "Ora che l'Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani".
E il primo elemento di questo carente liberalismo diffuso riguarda la laicità della Nazione, prima ancora di quella dello Stato. Come abbiamo sempre fatto, perciò, prendiamo esempio dalla Gran Bretagna, amatissima da tutti i Liberali - Cavour ed Einaudi in testa - che non per caso è il grande Paese che ci aiutò e finanziò nel Risorgimento. (Nico Valerio).
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LA FORZA LAICA DI LONDRA "TEOCRATICA"
di Pietro Ichino
La Stampa, editoriale 8 marzo 2009
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La regina o il re, in Gran Bretagna, oltre che capo dello Stato è anche capo della Chiesa anglicana; la quale è a tutti gli effetti qualificabile a sua volta come «Chiesa di Stato». Della House of Lords, la Camera alta di Londra, fanno parte di diritto gli arcivescovi di Canterbury e di York, i vescovi di Londra, Durham e Winchester, nonché altri ventuno vescovi diocesani. Parrebbero, queste, le caratteristiche tipiche di uno Stato teocratico: potremmo, cioè, pensare che queste siano le premesse per lo sviluppo di un ordinamento civile fortemente permeato dal principio di conformità della legge a una volontà divina. Altrimenti, perché tanti interpreti autorizzati di quella verità siederebbero di diritto in Parlamento? Accade invece che nessuno, in quel Parlamento, abbia mai la pretesa di possedere una verità direttamente desumibile dalle Sacre Scritture circa le misure legislative migliori da adottare. Neppure sulle materie eticamente più sensibili, come il matrimonio, l’aborto, la ricerca sulle cellule embrionali, il trattamento medico al confine tra la vita e la morte. In quelle splendide aule i vescovi, pur legittimati a interloquire direttamente, di fatto se ne astengono, così rendendo quotidianamente «a Cesare quel che è di Cesare»; né pretendono che altri si faccia portatore di verità rivelate per loro conto. Ciò consente di sperimentare la laicità come metodo di incontro e cooperazione per il bene comune tra persone di fede diversa, assai più di quanto si faccia nel nostro Parlamento, dove i vescovi formalmente non mettono mai piede. Donde una conclusione: la laicità di uno Stato è frutto più della cultura della nazione che delle sue istituzioni.
Olandese volante
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