08 dicembre, 2008

 

Keynes vince, perché Adam Smith è più bravo ma ha un pessimo ufficio stampa

Che cosa dovrebbe o avrebbe dovuto fare in questi mesi un vero liberale ministro dell'economia? La crisi finanziaria ed economica rischia di diventare un test di reattività. La corsa ai rimedi socialdemocratici, più che frutto di panico, è un riflesso condizionato, rapido e intuitivo, di classi dirigenti nate e cresciute all'ombra degli Stati, o degli enti sovrannazionali che hanno però negli Stati nazionali il riferimento obbligato.
E' il momento magico per i cosiddetti "gran commis d'Etat", quegli strani alti funzionari che in barba ai contratti che prevedono - ma in forme lessicalmente soft - il licenziamento ad nutum, cioè immediato, in caso d'insuccesso o di perdita della fiducia dei politici, in realtà hanno acquisito una inamovibilità da politici.
Ma ora c'è chi attribuisce la curiosa espansione a macchia d'olio delle scelte neo-keynesiane non tanto alla mediocrità degli apparati e dei Ministeri, si sa, statalisti e conservatori per antonomasia, ma proprio ad una insufficienza tecnico-culturale, come sostiene su il francese Jacques Garello in un interessante articolo controcorrente su Libres.org, dal titolo Epidémie, tradotto e ripreso dal sito dell'Istituto Bruno Leoni ("Il trionfo keynesiano è dovuto all'ignoranza delle virtù del mercato").
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"I sintomi sono chiari" scrive Garello."Prendete un buon liberale, perfino un ultrà del liberalismo, che ha sempre professato la propria preferenza per la libera impresa e il libero scambio. Parlate con lui della “crisi”. Converrà perfettamente sull’idea che essa è dovuta agli errori, o meglio alle malversazioni, operati dai responsabili della politica monetaria e finanziaria. Vi seguirà quando ricorderete che i subprime hanno avuto origine da organismi pubblici che distribuivano, su ordine del governo americano, crediti ipotecari immobiliari a persone che non erano nelle condizioni di rimborsarli.
Ammetterà che il lassismo monetario della Federal Reserve ha diluito la responsabilità di quanti operano nella finanza. Se ha qualche conoscenza tecnica, sarà d’accordo sul fatto che la finanza è sovraregolamentata, con regole stupide come quelle di Basilea 2. Enfatizzerà forse il suo scetticismo dinanzi ai “fondi sovrani” e altri marchingegni dirigisti immaginati dagli uomini politici. Ma alla fine vi sorprenderà affermando, con un qualche turbamento nella voce, che nel momento in cui la crisi c’è bisogna pur ricorrere ad un intervento delle finanze pubbliche. Bisogna salvare le banche dal fallimento, iniettando a tale scopo le liquidità monetarie necessarie, e per fare questo le banche centrali devono abbassare i tassi di interesse e gonfiare la massa monetaria.
Ecco l’ictus, ecco i bulloni saltati. Persone fino a quel momento sane di spirito, che hanno sempre aderito ai principi dell’economia dell’offerta, vengono ad ingrandire il campo dei keynesiani che professano i principi avversi dell’economia della domanda. Fautori della libertà economica e nemici dello Stato in tempi ordinari, nel momento della crisi diventano sostenitori dell’intervento statale e di una sorta di “libertà vigilata”.
Il mondo occidentale è stato colpito da una tale epidemia negli anni Trenta. La tesi di Keynes arrivava al momento giusto, per spiegare come da una parte la crisi era quella del capitalismo creatore di disoccupazione (quando invece era stata una crisi di dirigismo) e dall’altra parte che si poteva preservare qualche principio del capitalismo (come la proprietà privata del capitale) a condizione di condurre una politica di pieno impiego e di rilancio della domanda globale. Agli spiriti deboli il keynesismo appariva come il modo per salvare il capitalismo riducendo la libertà economica e puntando sull’intervento pubblico.
Eccoci nella stessa situazione. Per evitare una “crisi di sistema” (e cioè per evitare che il sistema capitalista sia distrutto da personaggi come Hugo Chavez e Olivier Besancenot) i malati contaminati applaudono ai piani di rilancio la cui immaginazione è senza fine, poiché si tratta di annunciare miliardi di aiuti, proprio mentre gli Stati sono in condizioni fallimentari.
La malattia riguarda tutte le fasce della popolazione. Ho apprezzato questo titolo apparso sui giornali [francesi, NdR]: “I liberali dell’UMP si rallegrano dell’intervento crescente dello Stato”. Anche tra alcune persone che pure in precedenza passavano per intellettuali liberali ci si orienta, con la morte nel cuore, ad augurare l’inondazione monetaria al fine di evitare il fallimento delle banche. Dal momento che la crisi minaccia pure migliaia di imprese, si dà il proprio sostegno alla concessione di prestiti ingiustificati per salvare l’occupazione. Al momento, la sola preoccupazione keynesiana che non è stata ancora riproposta è il protezionismo puro e duro: fino ad ora la globalizzazione è stata salvata, nonostante i fondi sovrani abbiano un enorme successo.
Credo che il trionfo keynesiano sia dovuto all’ignoranza delle virtù del mercato: poiché nel mercato c’è il vero ed unico modo di uscire dalla crisi senza ricorrere allo Stato.
Si vogliono salvare i posti di lavoro? Gli impieghi non esistono e non durano se non sono al servizio della popolazione, adattandosi quantitativamente e qualitativamente a ciò che vogliono i clienti. Sopprimere impieghi non è un dramma quando altri e nuovi posti di lavoro vedono la luce. L’economia dell’offerta ci ricorda che il livello dell’occupazione dipende dalla libertà economica riconosciuta agli imprenditori, ai lavoratori e ai risparmiatori. Rilanciare l’economia significa mettere fine ai privilegi di cui beneficiano i parassiti.
Un grande piano di rilancio consiste dunque nel liberare la creatività e restituire ai francesi il denaro che è stato loro ingiustamente confiscato da uno Stato rapace e una previdenza pubblica vicina al collasso. Ma chi ne ha il coraggio?
È più facile invocare l’alibi dei fallimenti bancari e delle imprese quotate. Ancora una volta, il mercato è la soluzione: quando i prezzi degli asset calano, o addirittura si fanno negativi, vi sono occasioni di acquisto da parte di altri, o possibilità di aumenti di capitale, così che gli investitori valutino la differenza tra costi e benefici. Ci saranno sicuramente dei terremoti, ma inferiori a quelli conseguenti a un finanziamento pubblico.
Bisogna tornare a Bastiat: ciò che si vede è “il salvataggio” delle banche, e ciò che non si vede è il costo dell’operazione. Il costo è l’inflazione, che a sua volta produce disoccupazione; il costo è il debito pubblico, che a sua volta genera ulteriori prelievi obbligatori (e fin da oggi, a causa degli interessi sul debito).
Ciò che i malati del keynesismo dimenticano, o ignorano, è che l’economia è distrutta da interventi che privano il mercato della sua virtù essenziale: ripartire le risorse rare in funzione dei bisogni reali della comunità, grazie a un sistema di prezzi sorti all’interno di un contesto concorrenziale. Dopo aver fatto pulizia del mercato, si chiama Keynes quale salvatore! È giunto il momento - conclude Garello - di comprendere in profondità il funzionamento dei mercati. È la migliore prevenzione contro questa terribile epidemia".

Comments:
Spendere di più da parte dello stato per ottenere sviluppo è una stupidaggine figlia dei damerini di sinistra tra cui Keynes, tanto brillanti a parole quanto lontani dalla realtà ed in tragico errore. L'economia non è difficile, da sempre si sa che per ottenere ricchezza bisogna essere più efficenti e produttivi come solo i privati sanno essere, tutte le idee socialistoidi, Keynes compreso, si sono rivelate un fallimento, ma purtroppo i media e l'intellighenzia pseudo-culturale a cominciare dai professori universitari, è tutta di sinistra e questi menzogneri arroganti continuano a celebrare come successi i disastri che le loro idee generano. Quello che bisognerebbe fare è destatalizzare, deburocratizzare e delegiferare, consentire cioè che l'iniziativa privata si possa svolgere, mentre ora siamo in un sistema socialista di fatto, dove l'iniziativa privata è scoraggiata, criminalizzata e lo stato è sempre più pervasivo ed affamato di soldi... ma queste constatazioni sono inutili, già la storia ha emesso la sua sentenza, purtroppo la propaganda comunistoide ha dimostrato che un "buon ufficio stampa" vale più dell'evidenza dei fatti.
F.Dolcino
 
Bravo, Dolcino, tutte queste "difficoltà" ad imparare i meccanismi del mercato io non le vedo. Ma in Italia le interpretazioni del mercato sono sempre distorte.
Guarda p.es. alla Rai-tv: fanno programmi cretini in tv e alla radio (ma a Radio-3 l'eccesso opposto: la vuota erudizione pomposa, snob e con la erre moscia, e sempre sui soliti pochi argomenti per una élite), con la scusa del mercato. Eh, ma poi si fanno pagare il canone: quale mercato? Non capiscono che innanzitutto per mercato si intende dipendere solo dai consumatori, non dal potere politico. E poi mercato del lavoro: quindi, niente raccomandati in tv e giornali, e sotto a licenziare i pessimi o i mediocri, e ad assumere i migliori. E tutto cambierebbe.
Vedi il regime delle "concessioni" (autostrade ecc), dove l'unico vantaggio è non per i milioni di utenti, ma per il concessionario.
 
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: HAI VINTO IL PREMIO DARDOS
 
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Grave infortunio alla mano invisibile, stagione finita...
 
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