17 settembre, 2007

 

Antipolitico? No, Grillo è un provinciale vero: un pò Masaniello, un po’ Gedda

E ora si fa perfino le "liste civiche". La montagna della finta indignazione ha partorito il topo dell’esibizionismo, che per un attore è la base dell’interesse. All’italiana? Macché, bisogna finirla di screditare l’Italia, comprese Milano e Roma che volano alto e non c’entrano niente con queste bassezze e meschinità. Dovremmo dire "alla provinciale".
Ma sì, Grillo "sembra" un italiano vero proprio perché è il tipico provinciale. Ce l'ha con i burocrati "giù a Roma" che nell'800 il provinciale Bersezio vedeva con le mezzemaniche nere (servivano per non sporcare d'inchiostro le giacche). Ma già allora monsù Travet non era romano, ma torinese romanizzato. E allora, seguitando a fare rissa con gli stracci, che dovremmo dire dell'attore satirico che si illude di risolvere tutto con la demagogia del "niente condannati in Parlamento"? Che non ha neanche preparato bene la parte? Che è un mezzecalzette?. La fa facile, lui. Tutto gli è semplice e chiaro. Dunque tutto gli è possibile. Crede lui. Come al bar di Noicattaro o alla bocciofila di Borgone di Susa. Ogni problema si risolve in un attimo, come l'intonaco scrostato del municipio di Borgomanero. Che ci vuole? Una mano di calce, e via. Altro che politici.
Salvateci dalla stupidità petulante dei provinciali. Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Semplicioni di provincia del Nord, del Centro e del Sud uniti nelle geniali intuizioni di villici, ma anche nelle solite furberie di gente da contado. Chi ha detto che la furbizia comincia là dove finisce l'intelligenza? Così i provinciali, approfittando dello stupore e dell'imbarazzo che provocano negli Italiani metropolitani, di cui ovviamente non s'accorgono, giocano il tutto e per tutto, e puntano sull’esibizionismo per tentare la scalata sociale e geografica. Infatti, tutti a Roma vogliono venire. Ma chi li vuole? Anzi, è ora di dire basta a questi marcati accenti rurali e municipali. Gente con così poche qualità da non riuscire neanche a modulare la voce e a controllare la pronuncia. Quelli del Sud non sanno neanche dire "gli", il più tipico trittongo italiano, quelli del Nord non sanno pronunciare le italianissime doppie. Basta dire.
Moralità? Tutto loro fanno. Loro, i provinciali, sono la Casta, loro la combattono. I provinciali, come molti sciocchi furbi, sono attivissimi. Se dobbiamo fare qualche esempio di "maninpasta", di finanziamenti o pensioni finte elargite per motivi elettorali, di raccomandati e raccomandatari, vengono in mente non romani o milanesi, ma sempre campani, molisani, siciliani, pugliesi, sardi, veneti, marchigiani, umbri ecc. Bossi ha piazzato parenti e amici a Bruxelles, come pochi altri.
Aveva ragione Pannella: Grillo è il più furbo di tutti. E' un "italiano vero". Altro che "vaffanculo": tanto per restare nella volgarità del gergo popolare romanesco, l’attore satirico è la quintessenza del "paraculo", cioè del furbone di tre cotte.
Senza pudore, proprio come un ragioniere di provincia che avendo poche idee, ma confuse assai, gliele vuol cantare chiare ai partiti "giù a Roma". Roma, sì, la famosa città piena di provinciali mediocri ma arrivisti che giungono ogni giorno da Sicilia, Campania, Calabria, Sardegna, Puglia, Veneto, Piemonte ecc. per farvi "politica" o rubare un posto da raccomandati alla Rai o nel sottogoverno. Ed è ora di dire basta. Basta coi provinciali che vengono a Roma, inquinano (in tutti i sensi), creano traffico (in tutti i sensi), e conservano pure i loro orribili accenti.
Ma allora, niente jacquerie dietro i proclami di Grillo?
In Francia, in pieno Medioevo, dal 28 maggio al 10 giugno 1358, una spontanea e caotica rivolta di contadini, che prese il nome di jacquerie da un contadino soprannominato Jacques Bonhomme, mise per qualche giorno a ferro e fuoco i castelli dei nobili. Che cosa aveva spinto all’azione inconsulta le genti del contado attorno all’Ile de France? La povertà? No, anzi si trattava delle zone più ricche, proprio a ridosso di Parigi. E proprio per questo dotate di una sensibilità maggiore, diremmo oggi, sull’economia e l’ordine pubblico.
Piuttosto, c’erano dietro considerazioni già in qualche modo "moderne", tra cui la mancata reazione della classe politica d’allora alla lunga crisi seguita alla Guerra dei Cent’anni, e la sua fallimentare politica dei prezzi del grano, cioè la sua ignoranza economica. Ma sembra fossero nel mirino anche l’incapacità della classe dirigente d’allora di tenere a freno le sue voraci truppe dedite alla spoliazione delle terre (quindi, "microcriminalità", "ordine pubblico") e la sua inettitudine pratica e morale, visto che i nobili erano accusati di non sapersi battere in guerra, dai contadini, curiosamente, che secondo le stesse storie popolari scappavano davanti al nemici per salvare la pelle.
Insomma, la jacquerie dei rozzi ma non idioti contadini dell’epoca manifestava nelle motivazioni già qualcosa del senso di responsabilità e di identificazione con lo Stato del futuro spirito borghese che poi dal Seicento nei Paesi nordici e alla fine del Settecento in Francia sarebbe sfociato nelle rivoluzioni in qualche modo liberali.
Ma oggi la borghesia, per i fortunati e coraggiosi Paesi anglosassoni che hanno potuto permettersi di produrla per primi, non ha bisogno delle proteste generiche senza capo né coda: ha molti modi più efficaci e vantaggiosi per esprimere il dissenso. E’ classe dirigente, e non protesta certo contro se stessa.
Questo può invece accadere dove una vera borghesia di lunga data non esiste, come in Italia. Dove un diffuso Terzo Stato (come dice spesso Pannella) è classe media economica (in termini solo statistici), sì, ma non ancora vera borghesia, con il corollario indispensabile di tanti doveri e meno diritti.
La populace cittadina, è la versione periferica, anche se scolarizzata e informatica, anzi internettiana, del contado d’un tempo. Ma la sostanza resta. I popoli fatti di pochi ex nobili e di tanti ex contadini, schiavi, disperati, morti di fame, servi della gleba, hanno sempre espresso i caporioni d’una giornata o d’un mese.
Anche il web - anzi, dove meglio che sul web? – ha i suoi cento Tomaso Aniello, Cola di Rienzo, guitti, clown, comici e saltimbachi, che ai baroni, principi, cardinali, re e papi "gliele contano chiare". E come se Grillo fosse un Savonarola, la gente, specialmente nelle città di provincia, si specchia in lui. E spesso paga un biglietto salato per sentirsi dire in faccia che è scema dall’attore, conduttore satirico e arringapopolo di Regime.
Le sue "liste civiche" non somiglieranno alle solite liste anodine inventate da oscuri avvocati, insegnanti, commercianti e ingegneri di provincia. Ma poiché ricatteranno schieramenti e partiti, poiché saranno animate da un sacro fuoco moralistico, saranno esse stesse un partito, anzi il Partito degli Onesti. Insomma, quello che non era riuscito ad un altro provinciale eccellente, Di Pietro. Anche stavolta la battaglia sarà fino all’ultimo uomo, come diceva il clericale Luigi Gedda, solo che anziché i sagrati delle chiese avranno dietro i palchi d’un teatro itinerante con un comico che non fa ridere. Ma allora era più laico Gedda: non mescolò troppo fede, politica e affari come potrebbe accadere al Grillo sparlante.

Comments:
D'accordissimo. Anche da parte d'un... provinciale, sia pure critico :-))
Come sempre dai un'interpretazione più profonda delle solite, direi psico-antropologica, sullo pseudo-fenomeno Grillo
 
Mi scuso per l'invettiva anti-provinciali, ma più che altro sul piano estetico-formale, perché ha appesantito l'articolo, mentre doveva costituire un articolo a parte.
Il fatto è che siamo in due gemelli a chiamarci con lo stesso nome, e l'altro Nico, Nico 2, protesta del colpo di mano del primo. Fa notare che ad aver scritto l'articolo è stato proprio il Nico 1, quello severo, ottocentesco, anzi antico Romano repubblicano, guarda caso quello più incline al moralismo e all'invettiva. Come Grillo. "E non è una contraddizione patente?" obietta giustamente Nico 2. E poi, molte cose pretese da Grillo, non erano sempre state chieste, in fondo, dai liberali? Insomma - conclude Nico 2 - una stroncatura immotivata o eccessiva, fondata più sulla discutibile personalità del genovese che sul contenuto delle sue proposte specifiche.
Sì, ma a differenza di Grillo che sull'invettiva a comando ci vive, e fa soldi - si difende il Nico 1 -l'austera moralità laica e liberale non solo non dà soldi né fama, ma fa perdere pure i pochi amici.
Comunque, i due sono giunti a un compromesso: adesso, in riparazione, Nico 2 pubblicherà un articolo in cui si darà ragione, nella sostanza, a molte lamentele di Grillo.
Cosa tocca fa' quando si è gemelli... e si vede tutto sempre da due o più punti di vista.
 
Grande, grande, mi è davvero piaciuto.
 
Famme capi' (parlo da provingiale, così t'enghazzi de più...), per te Grillo è Grillo, ma l'italiano medio, essendo de provincia, è grullo.
Sbajo o me stai a diventà un po' grillesco?
 
Di' la verità: scrivevi Grillo ma pensavi a Mastella-Di Pietro-Bossi-Calderoli...
 
No, è vero, l'invettiva mi è sfuggita di mano. Insomma ho fatto quello che nessun giornalista o scrittore deve mai fare: prenderci gusto e scrivere "tutto" quello che in quel momento gli passa per la mente. Errore: mica stavo al bar. (Dichiarazione scritta con la pistola di Nico 2 puntata alla tempia)
 
Salve,

lo sapevate che il debito pubblico è una truffa colossale ai danni del popolo sovrano e che consiste nella stampa e nella emissione a costo zero, dal nulla e senza copertura, di denaro, da parte delle banche centrali (BCE., FEED, Bankitalia S.P.A, ecc. - banche private e non pubbliche come vorrebbero farci credere), che viene poi prestato al suo valore nominale e con gli interessi(in cambio di titoli di stato), agli stati nazionali i quali, anzichè stampare moneta "preferiscono" farsela dare in tal guisa dai banchieri, per i bisogni della collettività?

Lo sapevate che le tasse che sborsa il popolo "bue" per pagare questo debito-truffa e i relativi interessi servono SOLO ad arricchire le banche e chi ci sta dietro e... a lato?

Se non ci credete, cercate su internet la parola "signoraggio".

Scoprirete una realtà sconvolgente!
 
Hai colpito nel segno, come sempre: non sono né i veri borghesi (pochi), né i veri operai (pochi), il problema dell'Italia. Ma quell'indefinito, vischioso e spesso ottuso ceto medio che di fatto comanda. O per lo meno è la base sociologica del Potere.
Perché, Bossi e Di Pietro, Mastella e D'Alema, Schifani e Bertolini, Prodi e Parisi, sarebbero la grande borghesia? O piuttosto non sono (oops, erano) il ceto piccolo-medio?
Questo è il problema dei problemi: a differenza della Francia, dell'Inghilterra e della Germania, l'Italia non ha una grande borghesia diffusa.
 
Oggi ho letto la parola "grillismo"! No, per carità, che il nostro si monta la testa!
 
Questo pastiche di classismo, spocchia, elitismo, snobismo e supponenza da moralizzatore a gettone mi fa capire il perché della scarsa considerazione in cui gli italiani tengono il pensiero liberale. La polemica sugli accenti che tradirebbero lo scarso "galateo fonetico" dei bifolchi - lanciata da un romano, poi! - tramuta infine l'indignazione in scroscio di risa: si ascolti quali perle di vernacolo ci regalano i tanti, troppi laziali che popolano le redazioni dei tg nazionali, poi riparleremo del fantomatico bon ton degli "evoluti" cittadini.
A proposito della sua idiosincrasia verso i "professionisti di provincia", il loro assurdo senso pratico e, per estensione sineddotica, verso tutti coloro i quali per lavoro risolvono problemi concreti: lei di cosa si occupa? E che studi ha fatto? In ogni caso, sia dia requie: l'antipatia che quelli come lei nutrono nei riguardi dello stereotipato provincialotto da soma è ampiamente ricambiata.
Oltretutto la sua analisi, così percorsa dal cialtronesco tassonomismo con cui i massoni dell'ultima ora redigevano le loro odiose cronache paesane postunitarie, manca clamorosamente di spiegare il perché del successo riscosso da un antipolitico "praticone" e nient'affatto contadino come Silvio Berlusconi. Ah, ma forse dimentico che il Berlusca ha imbrogliato la gente parlando sì di liberalismo, ma senza inchinarsi al saccente dottrinarismo di taluni "iniziati" in libera uscita...
Il guaio è che, se si sta fuori dal mondo, il mondo risulta incomprensibile.
 
Calma, Ismael, non faccia il provinciale permaloso e tutto d'un pezzo che si incavola subito senza guardare le cose da almeno 2 punti di vista. Ho capito che non ha capito.
Sarò elitario, cinico, volterriano, relativista, scettico e metropolitano, però io ho una marcia in più rispetto a lei: vedo le cose sempre da almeno 2 punti di vista diversi. E quindi raramente sbaglio.
Ho subito scritto, come avevo già promesso (cfr il mio commento precedente, o non l'ha letto prima di scrivere?), un articolo pro-Grillo. E quindi - lei sarà contento - pro-provinciali...
Ma tanto è inutile scherzare con lei. Parlo di mio padre pugliese, così lei non si offende. Lo sa che molti baresi sono così privi di sense of humour, insomma prendono tutto ottusamente sul serio, da offendersi perfino dell'umorismo altrui? Lo vedono come uno sfottò.
Caro Ismael - peccato un nome così bello, però la sua seriosità drammatica avrebbe dovuto mettermi sull'avviso - lei è un terribile e temibile serioso. Persona onestissima e per bene, immagino. Si capisce dal testo. Anch'io, le confesso, ho un lato come il suo. Ma solo un lato. Lei è tutto così: poveri quelli che le stanno attorno.
Ma non si incavoli: la vita è psicologia, non politica. E le categorie da me usate riguardavano la prima.
Ecco, la frittata l'ha fatta lei, non io: non poteva fare peggiore (o migliore?) pubblicità all'Homo italicus, var. provincialis. Onesto, con idee giuste, per bene, lavoratore... Ma....
 
Ismael o frequenta gli ambienti della "mala" di borgata, oppure ha visto Roma solo nei film di Verdone e De Sica (Christian), dove all'accento romanesco si dà un valore evocativo, simbolico, oggi del tutto inesistente. Che infatti piace molto nelle cittadine di provincia del Sud e del Nord (perché è così, nella loro ignoranza, che immaginano il romano).
Tranne qualche vigile urbano che lo usa come slang ironico e accento di riconoscimento, qualche meccanico d'auto, qualcuno della mala, e qualche immigrato del Sud o dall'Est (idem), nessuno da 50 anni parla romanesco. E anche l'accento è molto mal tollerato socialmente. Si rischia di essere trattati molto male. Se a Roma un giornalista, un professionista, un insegnante, un bancario, un impiegato, parlasse in pubblico con i fortissimi accenti regionali o addirittura con i dialetti chiusi e quasi incomprensibili che si ascoltano in Sicilia, in Calabria, in Veneto, in Lombardia, in Piemonte ecc., farebb e il vuoto attorno a sé. Verrebbe emarginato. E non per un borghesuccio esprit de politesse, ma proprio perché il cittadino metropolitano intuisce ciò che lo psicologo ha capito e studiato da tempo. Che cioè il mancato controllo (corticale, ahimé, corticale) sulla verbalizzazione, esprime pigrizia, trasandatezza, e quindi viene visto come scarsa professionalità, anzi come deminutio di personalità. Chi non è neanche capace di modulare voce e parole a suo piacimento (e di vincere abitudini e ambiente, certo), come potrebbe essere in grado di controllare le altre funzioni corticali?
Perciò, l'uso della lingua e della parola, scritta e parlata, è essenziale nella valutazione d'una personalità.
Perciò io posso apprezzare una frase in dialetto: è una lingua e quindi vuol dire cultura. Ma considero di basso livello il politico o l'intellettuale che parla italiano con forti accenti regionali.
 
...ma irrimediabilmente scassapalle. Tra le molte tare caratteriali, ho il pregio di conoscere bene i miei difetti peculiari. Al punto tale che, nell'era in cui trionfa la celia nelle sue varianti volgare e/o maligna (per inciso, quest'ultima camuffa da raffinato sarcasmo offese e pregiudizi piuttosto pesanti, per poi magari adombrare la suscettibilità dell'interlocutore: lo stilema dovrebbe esserti familiare), ho dedicato un intero blog alla consapevolezza del mio essere "superstite", cioè solitario per indole.
Abbi pazienza, però, se al tracciamento mio profilo psicologico preferisco un breve esame del tuo approccio valutativo.
Tu vedi sempre le cose da due punti di vista diversi, dici. Senza ironizzare troppo sul risvolto dissociativo che una tale risoluzione assumerebbe in psicologia, mi limito a osservare che la tua è la tipica filosofia di chi ha la coda di paglia. Non volendo o potendo assumersi intergalmente la responsabilità di un convincimento fermo, quelli come te delegittimano la nitidezza intellettuale di modo che, alla fine dei conti, la dialettica tra bene e male sia una specie di partita a risultante nulla. Hanno ragione tutti e nessuno. L'esito paradossale di questa forma mentis, basata su presupposti nominalmente equanimi e tolleranti, è la clamorosa eterogenesi dei fini di voler omologare i codici comportamentali del "volgo" al dogma dell'assoluto relativismo e della correttezza politica. Del resto gli scettici sono sempre i più rigidi dogmatici (ne era consapevole già Aristotele, quindi non scopro nulla di nuovo).
Tra l'altro è curioso notare come, a prospettive gnoseologiche improntate alla "complessità del reale" corrispondano sempre soluzioni di un semplicismo sconcertante, nei quali emerge una concezione estremamente primitiva della libertà. Non è banale osservare come quasi sempre i seguaci del formalismo soggettivista che tu esemplifichi si ritengano liberali "senza se e senza ma", mentre sono in realtà degli idealisti della più bell'acqua.
In definitiva: meglio essere intransigenti nei principi e nell'indole e mostrarsi comprensivi all'atto pratico che viceversa.
Per concludere, un paio di annotazioni accessorie. Tra il Nico 1 e il Nico 2, stando al "peso specifico" delle note di colore sociologico presenti nei due testi, c'è un'evidente sproporzione. Nel post classista il disprezzo per il "contado" occupa metà dello spazio, in quello "riparatore" si legge a malapena qualche apertura alle istanze (guardacaso) formali del grillismo piccoloborghese, senza aggiungere mai che il capopopolo genovese dà risposte sbagliate (moraliste e stataliste) a problemi che il liberale cerca di risolvere "semplicemente" privatizzando, federalizzando, snellendo la cosa pubblica.
Ai tuoi irrilevanti exit poll linguistici, infine, rispondo coi miei, poco rappresentativi a loro volta: avendo vissuto per tre anni con un ragazzo romano (radiologo, così puoi tranquillizzare il tuo spiritaccio altolocato) ed essendomi confrontatato in più di un'occasione con due giornalisti capitolini di grande intelligenza e cultura (con il più quotato dei due - residente nei bassifondi di Casal Palocco - ho pure viaggiato verso la dorata Inghilterra), posso dirti con certezza che il romanesco si sente, sempre. E che le parlate "chiuse e incomprensibili" di quei selvaggi di veneti sono espressione di un attaccamento alla lingua madre che le avanguardie stracittadine non comprendono, perché hanno imparato a subire passivamente ciò che le "forme" del potere costituito hanno imposto loro come giusto. Sono schiavi che chiamano servi gli uomini liberi.
 
Posta un commento



<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?