30 novembre, 2005
34. Newsletter del 15 marzo 2006
Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n.34 -15 marzo 2006
"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:
SALON VOLTAIRE SI SPOSTA. Sul sito: lo "vogliono" i lettori
BERLUSCONI-PRODI IN TV. Che noia, senza progetti liberali
MANIFESTO DEI LIBERALI. Contro l’irrazionalità. Fuori e dentro casa
IL NOSTRO ANTI-ENDORSEMENT. Fare critica, ma senza parteggiare
FRANCIA ANTISEMITA. Cane morde padrone: islamici uccidono ebreo
IL SAN DANIELE CHE CI PIACE. Agenda Capezzone: abolire gli Ordini
COMMERCIO E PROFESSIONI. Scarpa: "C’è poco nei due programmi"
MIMOSE CORPORATIVE. Se la giornalista non offre mazzi di fiori…
LE LISTE E LE PROTESTE. Liberali: chi è causa del suo mal…
DESTRA E SINISTRA ANTI-LIBERALI. Non per odio, ma per paura
QUANDO UN GIORNALE SI SCHIERA. E se fosse troppo tardi?
SCONTRO DI CIVILTA’. Ma la Chiesa scegliesse l’Oriente?
CORANO E VANGELO ALLEATI. Basta con le religioni a scuola
CANDIDATI POCO CANDIDI. Luxuria meglio di Mastella?
EUROPA BLOCCATA. Della Vedova: la Francia contro il mercato
"FATTORE C" COME UNA VITAMINA. Fa bene al malato o al farmacista?
NUOVI EGOISTI ED ENERGIA. "Ovunque, ma non vicino a casa mia"
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"SALON VOLTAIRE" CAMBIA DOPO 2 ANNI
Ci spostiamo sul sito-blog: lo "vogliono" i lettori
La newsletter Salon Voltaire ebbe origine 2 anni fa, nel gennaio 2004, per mettere a disposizione di circa 3000 intellettuali e attivisti liberali, qualunque fosse la loro provenienza e collocazione partitica, un appuntamento bipartisan quindicinale con lo spirito critico, talvolta con la satira, in ogni caso col commento liberale sulla politica, l’attualità e il costume. Troppo insistenti, ormai, e troppo pervasive – dicevamo allora e ripetiamo oggi – le tentazioni illiberali, stataliste, fondamentaliste e clericali nella maggioranza e nell’opposizione, dentro e fuori dell’Italia, in Oriente e in Occidente, nel Sud e nel Nord del mondo.
Per ben 2 anni ci siamo impegnati eroicamente a offrirvi di prima mano 15-20 articoli ogni 15 giorni, scritti apposta per voi, non copiati dai giornali, tantomeno ricorrendo ai soliti collegamenti a pagine internet, come fanno tutti, anche i siti più noti e ricchi di abbonamenti. Grande successo, lettere entuasiaste. Piaceva, in particolare, oltre al taglio dissacrante anche una newsletter fondata sulla scrittura.
Ma il lavoro era diventato insostenibile, gli apporti davvero utili dei collaboratori sempre più rari. Perché in Italia, dove si legge poco e male, si scrive in modo accademico, pesante e burocratico, e la riscrittura (rewriting) è lunga e costosa, specialmente se bisogna condirla di verve, qualità non italiana. E, come se non bastasse, tutti gli articoli così laboriosamente composti erano gettati via 15 giorni dopo, per essere sostituiti da altri che duravano lo spazio d’un mattino nel computer dei destinatari. Uno spreco incredibile. Un lusso unico, di questi tempi.
Dedizione che non era suffragata neanche dagli abbonamenti. In 2 anni gli abbonati tra i lettori sono stati appena lo 0,1 per cento. Mentre le altre newsletter, fatte quasi unicamente col copia-incolla degli articoli di giornali, hanno alte tirature e molti abbonamenti.
Allora, poiché da liberali ci piace l’equiparazione tra acquirente e votante, ci siamo detti che l’eroismo della qualità non aveva trovato un riscontro nel "mercato", sia pure di nicchia, cioè nella razionalità liberale, e che in fondo quello 0,1 per cento di persone tanto entusiaste da inviare un contributo, valeva – nonostante le centinaia di email di lode – come un vero e proprio voto negativo.
E quindi dalla fine del 2005 il Salon Voltaire si è spostato sul web, in un sito-blog con lo stesso nome http://salon-voltaire.blogspot.com, che può essere salvato tra i siti preferiti, e al quale chiunque può inviare commenti, critiche, complimenti, suggerimenti e aggiunte. Così si torna al salotto delle origini, quando il Salon Voltaire era davvero un "giornale parlato" (da cui il sottotitolo). Qui le notizie e il dibattito delle idee sono commentati ogni giorno, e i liberali hanno una tribuna per trovarsi e discutere. Un sito dignitoso, d’una eleganza semplice e un po’ austera, come piace ai liberali, ma non trasandato o caotico come i soliti forum. E anziché battute o frasette, e dialoghetti futili, come nei forum, qui continuano ad esserci veri articoli. Questa soluzione ci fa respirare, se non altro perché i vecchi articoli non sono gettati via, come nella newsletter, ma sono sempre disponibili (ora sono già 130).
E la newsletter chiude? No, continua, non più come quindicinale ma come mensile, con la riproposizione dei più attuali articoli del sito, oltre a poche aggiunte. Così ci leggeranno i tanti liberali che leggono solo la posta ma non amano andare sul sito. Certo, alcuni articoli-saggio (pensiamo a quelli su Wojtyla e Ratzinger) non ci saranno più, così come certe cose molto raffinate e brillanti. Ma se l’eccellenza è troppo costosa, il livello sarà sempre buono e la scrittura curata. Un’altra differenza rispetto alla newsletter è che il sito ora è aperto a tutti. E spesso alcuni articoli sono bersagliati dai commenti critici di utenti conservatori o clericali della catena del blog Tocque-ville. Ma i commenti non appaiono subito, a meno che uno non vada ad aprirli. E si può sempre rispondere.
Grazie a tutti, e continuate a leggerci sul sito http://salon-voltaire.blogspot.com. (François Marie Arouet, prof di francese a Ceccano)
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DOPO IL CONFRONTO IN TV TRA BERLUSCONI E PRODI
Che noia, senza grandi progetti liberali
Chi ha vinto, chi ha perso? Be', intanto è chiaro che hanno perso i giornalisti. Mosci, sottotono, perfino incerti e impacciati. Chiunque avrebbe fatto meglio. Domande fiacche, banali, pronunciate perfino male. Un disastro. Quando era invece ovvio che in un incontro così rigidamente regolato e quindi prevedibilmente noioso, alla stampa sarebbe spettato il compito di rianimarlo con domande pungenti, capaci di dividere, non di unire, i due contendenti. E poi le risposte: prevedibili. Nessuno sprazzo di creatività, nessuna progettualità avanzata, liberale. Tutta economia, niente economia. Nessuno dei due candidati ha sollevato i tanti temi di riforme liberali, qualificandoli come tali. Uno spettatore che non conoscesse Berlusconi e Prodi avrebbe l'impressione che veramente tanto è stato fatto (Berlusconi), e che davvero tanto sarà fatto (Prodi). Ma è mancato il cambio di marcia, lo scatto risolutivo in avanti, quell'idealità liberale che è tipica dei grandi uomini di Stato occidentali. Sembravano non due ragionieri al bar, ma diciamo due consiglieri rivali casualmente vicini di tavolo dopo una riunione del Consiglio di amministrazione che li ha visti litigare. E pensare che uno dei due, sicuramente, ci governerà - a Bertinotti e Bossi piacendo - per altri cinque anni... (La badante russa di Cossiga)
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MANIFESTO DEI LIBERALI (IN TEMPI DI CRISI…)
Contro i fanatici per la ragione. Cioè le libertà
Siamo lontani dalle pazzie del mondo orientale, eppure il terrorismo ci tocca da vicino. E un po’ dell’anti-liberalismo e del fanatismo che si respira nel mondo è presente anche in Italia e in Europa.
Mentre le basi stesse del liberalismo, libertà delle idee (compresa la satira), libertà economica e concorrenza, Stato minimo (nella misura in cui serve per le libertà), giustizia neutrale, nuovi diritti, separazione tra Stato e Chiesa, uguaglianza delle fedi davanti alla legge, sono contestate da statalisti neomarxisti e no-global di sinistra o da statalisti protezionisti e neo-clericali di destra, è ripresa la tentazione – forse per il cattivo esempio dell’Islam – di imporre i precetti di fede come leggi, i peccati come reati, i simboli come arredi pubblici obbligatori. Confermano questa tendenza i limiti alla ricerca medica e alla libertà di terapia, e il rifiuto di eliminare i finanziamenti di Stato dell’Otto per mille e quelli alla scuola "pubblica" della Chiesa.
E intanto l’antisemitismo riprende vigore, e ancor oggi gli ebrei devono difendersi. Ma stavolta con tanti e forti amici accanto. E l’ignoranza, l’irrazionalità, generano tra giovani, impiegati, popoli del Terzo Mondo, le più assurde leggende metropolitane. E ancora, la diffidenza pre-capitalistica per l’industria, la scienza, la tecnologia e le nuove fonti energetiche, sia dei finti ecologisti di sinistra, sia dei tradizionalisti di destra. E i residui di comunismo o fascismo, che sconfitti con vergogna dalla Storia, ancora sopravvivono negli animi, nei modi di vita, talvolta nelle rivendicazioni politiche.
Il liberalismo è attaccato da ogni lato, ma questo è normale visto che si nutre della lotta. Ed è perciò ancora tutto da costruire o rafforzare. L’Italia, l’Europa, l'Oriente e il Sud del Mondo, hanno, mai come oggi, bisogno del liberalismo. Ma la novità è che in Occidente tanti hanno imparato a definirsi "liberali", o per non esser criticati come conservatori, o per confondere nell’indifferenza generale la propria viltà, la propria mediocrità di moderati dell’intelligenza. Non sanno, però, che il liberalismo è una "ideologia" forte, e così si tradiscono. Perché la libertà, cioè la razionalità, è il valore supremo della vita, il solo per cui conviene combattere. Ma, come nel Risorgimento e nell’antica Roma, vuole gente forte e coraggiosa. Solo chi ama davvero la libertà è disposto a combattere per conservarla o conquistarla. (Camillo Benso di Latour)
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"CONTRO-ENDORSEMENT" PER LE ELEZIONI
Fare critica (e "politica"), ma senza parteggiare
Non per polemica col Corriere, che si è schierato. Ma è che il Salon Voltaire – sia il sito che la newsletter – ha un una platea di lettura diversa, che non vogliamo ingannare. Esiste un impegno non scritto con i 3000 destinatari (un target liberale e laico di prestigio, fatto di docenti universitari, organizzatori di cultura, direttori di testate, giornalisti, attivisti liberali ecc.), quello di fare da piccolo "osservatorio liberale", da salotto di commenti e di critica liberale sui fatti dell’attualità, il costume, la politica, l’economia, la scienza., e nel modo più obiettivo e neutrale possibile, così da rispettare anche le diverse anime e sfumature del liberalismo.
E ora che siamo in campagna elettorale, nonostante le sollecitazioni più insistenti, intendiamo uniformarci eroicamente a quel principio. Nessuna scelta partitica o di schieramento. Critichiamo tutti e non parteggiamo per nessuno. Per correttezza verso la nostra e vostra intelligenza, verso i destinatari che gradiscono la newsletter (e infatti inviano complimenti, più che abbonamenti) proprio perché non fa propaganda elettorale, rifugge dalle fazioni e fustiga tutti, spesso in modo feroce, anche i liberali. E soprattutto perché crediamo che il liberalismo sia "anche" una scelta pre-partitica che ci aiuta a riflettere sui diritti di libertà e la razionalità, e a lottare duramente – ma col sorriso o l’ironia sulle labbra – contro ogni fanatismo, fondamentalismo, superstizione e intolleranza, fuori e dentro l’Italia.
Mettiamo in evidenza errori e scelte illiberali (e le rare liberali) di Destra e Sinistra. Dopodiché saranno i nostri lettori, tutta gente non solo adulta, ma spesso fior di intellettuali dalla forte personalità, a decidere con la propria testa. Ridicolo sarebbe che pretendessimo di suggerire a persone del genere, alcuni dei quali sono anche commentatori politici, come e chi votare. D’altra parte, non ci nascondiamo che la newsletter è stata finora gradita, accettata, o solo tollerata, proprio perché è per alcuni un aggiornamento "di servizio", per altri un intrattenimento culturale intelligente. Non certo mezzo di propaganda. Che oltretutto, a rigore, sarebbe vietato dalle norme sulla posta elettronica come "spam".
Ma anche se volessimo, confessiamo, non sapremmo per chi parteggiare, tanto carenti di liberalismo sono oggi – per motivi diversi – i partiti in Italia, e quindi le loro coalizioni.
Da una parte ci si fa belli con l’aggettivo "liberale", che oggi è di moda (ma che può nascondere un generico moderatismo senza idee, e perfino un conservatorismo un po’ ottuso), e si ostentano come gardenia all’occhiello alcuni veri liberali, silenti e del tutto emarginati, ostaggi d’una politica poco o nulla liberale, e talvolta addirittura clericale. Altro che "Partito liberale di massa", piuttosto una pessima copia della Democrazia cristiana della decadenza.
Dall’altra parte, nonostante il rivitalizzante arrivo d’una formazione liberal-socialista e laica che sta facendo scattare varie contraddizioni interne, ma che non incide sul programma generale, si ignora sia il nome che la politica liberale, si convive con ben due partiti comunisti, con almeno altri due partiti illiberali, e con una base diffusa di movimenti reazionari, no-global e giustizialisti. Eppure, anche lì ci sono tre o quattro liberali veri, emarginati, quasi degli ostaggi.
Con tutto ciò, dalle poche e quasi clandestine, liste liberali, a Destra e Sinistra, è partita la caccia ai candidati credibili da mettere in lista. A noi, per esempio, sono arrivate ben quattro proposte di candidatura, da amici seri, autenticamente liberali, di entrambi i poli. Ma senza prospettive di poter incidere minimamente, almeno sui programmi, abbiamo dovuto dire di no a tutti.
Elezioni che, comunque vadano, non vedranno vincitori liberali, né politiche liberali, anche se qualcosa saranno costretti a fare dall’Unione Europea e dal mercato. Così, noi cultori del "liberalismo fino in fondo e in tutti i campi" voteremo ancora una volta malvolentieri e turandoci il naso, tra tanti che si dicono liberali solo perché non hanno idee ("moderati dell'intelligenza") o si vergognano di dirsi conservatori, statalisti, reazionari, clericali o neo-marxisti. E anche questa volta, diceva Eduardo De Filippo, "ha da passa’ ‘a nuttata", cioè la campagna elettorale. E che l’alba, con l’obiettivo lontano del 2011, possa vedere almeno i primi passi degli Stati generali del liberalismo. (Il cantiniere astemio Bottino Ricasoli)
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FRANCIA ANTISEMITA, EUROPA MOLLE E STAMPA
"Cane morde padrone". Ucciso un ebreo a Parigi
Non è questa la "libertà" che vogliamo in Europa, dove scorazzano impunemente criminali islamici e lobbisti palestinesi. L’Europa, a forza di stare dalla parte degli estremisti dell’Islam, diventerà come l’Islam? Dopo la vergognosa decisione della UE di approvare la proposta della commissaria Ferrero Waldner di finanziare con la bellezza di 120 milioni di euro i terroristi di Hamas oggi al potere in Palestina, contro le preghiere di Israele e i consigli di molti opinionisti liberali, ecco che sono ripresi i delitti a sfondo razziale in Francia, terra elettiva per questo genere di cronache.
Riceviamo dall’Associazione romana Amici di Israele, una notizia inquietante che ormai è quasi una non-notizia. Ilan Halimi, un commesso francese di 23 anni, è stato sequestrato, torturato per tre settimane e abbandonato nei pressi di una stazione ferroviaria nudo e morente, con ferite, segni di bruciatura ed ematomi in tutto il corpo. Alla famiglia, non in grado di pagare il riscatto chiesto, i rapitori hanno detto "se non potete pagare rivolgetevi alla sinagoga". Sì, Ilan è stato barbaramente torturato e ucciso perché ebreo. Il suo omicidio è avvenuto in Francia per mano di una banda criminale di giovani islamici. Eppure la sua morte non ha meritato espressioni indignate da parte di esponenti politici italiani, abituati a protestare se gli infiltrati islamici sono un po’ troppo stretti nei Centri di accoglienza di Lampedusa, né ha urtato la sensibilità di coloro i quali sono sempre pronti a dichiararsi per il dialogo, la tolleranza, la convivenza civile. L’uccisione di Ilan è passata nel silenzio e nell’indifferenza. Brutto segno: vuol dire che ci stiamo abituando a delitti del genere, ormai derubricati sui giornali in "brevi di cronaca". Tra poco sarà una non-notizia: "cane morde padrone". (Il figlio barbone dei Rotschild)
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SAN DANIELE. LE MISURE LIBERALI PER I PRIMI 100 GIORNI
Agenda Capezzone: abolire gli ordini professionali
Eravamo studenti universitari, al primo anno, e da bravi liberalini della GLI e dell’AGI già scandalizzavamo i nostri compagni d’università cattolici o comunisti con la proposta einaudiana dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Una battaglia ancora difficile da vincere, ma oggi forse con qualche speranza in più, visto che dall’Unione Europea ai nuovi economisti alla Giavazzi, comincia finalmente ad esserci una corrente favorevole. E bravo, bravissimo (come vedete il Salon Voltaire non dice sempre di no…), il segretario dei Radicali, nostro beniamino, che come sempre dice cose tipicamente liberali. "Bisogna abolire gli ordini professionali e il valore legale del titolo di studio. Sono queste le misure che proporremo nei primi cento giorni, se dovessimo vincere le elezioni". Ad affermarlo è Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani, in un'intervista al giornale "Professionisti". "La medicina e la salute non appartengono nè ai medici, né agli infermieri né ai farmacisti; l'Università non appartiene ai professori e neanche agli studenti occupanti; l'informazione non appartiene né all’Ordine dei giornalisti nè alla lobby degli edicolanti; il trasporto e la mobilità non appartengono ai tassisti; il mercato degli scambi e delle compravendite non appartiene ai notai. Non riforma, quindi, degli ordini, ma loro abolizione "tout court", e passaggio allo schema anglosassone delle associazioni di professionisti". Il Secolo d’Italia commenta: "Posizioni, queste, che provocano altri imbarazzi nell'Unione. A cominciare da Paolo Serventi Longhi.". Sì, ma, perché non parla anche dei mal di pancia propri, cioè della riluttanza finora dimostrata da AN ad abolire gli Ordini, a liberalizzare le professioni e, per far questo, a ridurre il peso e i veti delle corporazioni professionali, che invece il Secolo coccola a scopo elettorale? Meno male che c’è San Daniele. Con l’osso. E’ questo il solo che preferisce, da vegetariano, l’estensore di questa nota. Quello noto, ricordiamo, era troppo dolce. Questo, invece, ci sembra perfetto. (La suocera del direttore Albertini)
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L’ECONOMISTA SCARPA FA LE PULCI AI DUE PROGRAMMI
Commercio e professioni: c’è poco a Destra e Sinistra
Il mastodontico programma dell’Unione è un pozzo senza fondo, peraltro generico e vago, mentre quello della Casa delle libertà è forse troppo breve e schematico, diventando in alcuni punti sibillino o reticente. L’economista Carlo Scarpa nell’interessante e quasi sempre (almeno per noi) condivisibile sito www.lavoce.info, va a confrontare come sono state trattate alcune voci, come le liberalizzazioni, i servizi di rete e le riforme del commercio e delle professioni.
Sulla riforma del commercio il programma dell’Unione "resta abbastanza nel vago, affermando la necessità di aumentare la concorrenza, favorire la grande distribuzione nazionale, ma valorizzando anche i piccoli esercizi, la cui funzione sociale è riconosciuta. Come si debba realizzare questo equilibrio non è per altro chiaro. Il tema della distribuzione commerciale non è mai menzionato nel programma della Casa delle libertà.
"Al momento la riforma promossa dal governo del centrosinistra nel 1998 sta funzionando a metà – prosegue Scarpa – per il potere di Comuni e Regioni che spesso rallentano l’apertura del mercato. Gli orari sono ancora sottoposti a regole, le aperture di grandi centri commerciali richiedono autorizzazioni non di solo tipo urbanistico, ma di vera programmazione del settore, il tipo di merci che possono essere vendute è tuttora limitata (i supermercati non possono vendere benzina e medicinali da banco).
Sulla riforma delle professioni la Casa delle libertà dice semplicemente "3. Nuova legge sulle professioni". Trovo personalmente irritante che si indichi che questo è il punto di un programma, se non si dice almeno a quali principi generali la legge dovrebbe ispirarsi. Soprattutto perché anche quattro anni fa la CdL aveva dichiarato di volere intervenire sul settore, mentre non ha fatto nulla. Anche su questo tema non traspare alcunché. Peccato. L’Unione dedica a questo punto due pagine (130-132). Parte dalla dichiarazione che "i servizi professionali sono protetti da norme che senza giustificazioni (…) limitano la concorrenza" per poi affermare che diversi aspetti dovrebbero essere liberalizzati, in particolare "prezzi, pubblicità e modelli aziendali". Questo porta l’Unione a proporre l’eliminazione dei prezzi minimi, ma non per le "attività riservate" – curioso, visto che i professionisti hanno già il diritto esclusivo di effettuare quelle attività senza concorrenza da parte di altri soggetti – l’eliminazione del divieto di pubblicità. Anche l’introduzione di società tra professionisti è favorita, ma solo per servizi "multidisciplinari e interprofessionali". Ovvero, liberalizzazione sì, ma non esageriamo…" Insomma, conclude ironicamente Scarpa, "Il voto dei professionisti sembra interessare entrambi gli schieramenti". (Il cancelliere assunto in prova Zanardelli)
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MIMOSE CORPORATIVE E LIBERALIZZAZIONI
Se il giornalista del Corriere offrisse mazzi di fiori…
"Agenda Giavazzi" di qua", "Liberalizzazioni" di là, si vede lontano un miglio che i giornalisti del Corriere usano il taxi, vanno in farmacia e dal notaio. Ma non regalano fiori. Perfino le donne. Usanza ottocentesca? Non è questo il punto. E’ che, va bene blaterare in prima pagina contro l’Italia delle corporazioni (dai tassisti ai giornalisti, dalle farmacie ai notai, dalle banche alle assicurazioni), ma che Mieli dia una guardatina ogni tanto alla sua Cronaca di Roma. Perché è dalle piccole cose che si vede la coerenza d’un giornale.
Alcuni vigili urbani di Roma sono stati sottratti al traffico e ad altri compiti che già svolgono male ("Né vigili, né urbani", si usa dire) e mandati al servizio della corporazione privata di commercianti di fiori, per fare in divisa e alcuni con la pistola il lavoro che quella non sa fare da sola con mezzi liberali (costi, prezzi e organizzazione), cioè difendersi dalla concorrenza dei fiori a basso costo degli ambulanti. – riporta senza il minimo commento, come se fosse una giornalista della Cronaca romana del Corriere – "Commercio abusivo"? Ma in un sistema economico liberale non esiste questa categoria. Tutti possono commerciare. Il commercio è libero, come ogni iniziativa privata (Costituzione). E chiunque in poche ore o giorni dovrebbe potersi iscrivere come commerciante per qualunque merce, come in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Se glielo si vieta, certo che diventa "abusivo". Questo è il liberalismo. Il resto è fascismo o comunismo. Se ci sono furti o evasione fiscale, li si colpiscano. Ma è uno scandalo che le "7 polizie italiche 7" perdano tempo e soldi per intromettersi nel gioco del mercato facendo gli interessi dei alcuni monopolisti o produttori, a danno dei consumatori che godono della concorrenza e dei prezzi più bassi. Ricevono, almeno, cospicui finanziamenti dalle corporazioni in cambio di questo illegittimo servizio privato? No? E' poco credibile, ma allora io da domani chiamo i vigili o i finanzieri a pulirmi il giardino: è esattamente la stessa cosa. Ecco perché tutti in Italia si definiscono "liberali": non sanno che vuol dire. (Minghetti Marco, senza fissa dimora)
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SBAGLIATE LE CRITICHE A DESTRA E SINISTRA PER LE LISTE
Liberali: "chi è causa del suo mal…"
I nostri amici liberali, di ogni tendenza, partito e schieramento, oggi si lamentano e gridano al tradimento e all’incomprensione. "Ah, in che Italia illiberale viviamo – dicono – che razza di mascalzoni politici che abbiamo. Ci hanno boicottato, non hanno rispettato i patti, non hanno voluto inserire liste liberali e neanche candidati liberali né a Destra né a Sinistra". Ma i nostri amici sbagliano, e di grosso.
La politica non è la Congregazione delle Dame di S.Vincenzo, in cui è buona norma fare "opere di bene". Può piacere o no, ma da che mondo è mondo la politica segue le leggi filosofiche della "utilità", e per questo tiene conto, proprio come l’arte militare, delle "forze" reali in campo, oltre che della psicologia dei capi. Uno stratega, un generale, secondo voi metterebbe in prima linea un battaglione di brocchi, di poche reclute mal equipaggiate e alla prima uscita, solo perché il suo comandante è un nobile d’alto lignaggio con un passato glorioso? No, quello che conta è l’oggi, l’organizzazione, l’abilità di trovare, indottrinare e addestrare i soldati, e poi la capacità effettiva di combattere con qualche probabilità di vincere.
Ebbene, i liberali, anche quelli delle sigle o dei nomi più gloriosi, dal PLI nel Centro-destra al gruppo di Zanone nel Centro-sinistra, si sono finora cullati nel culto delle memorie, nella nostalgia più struggente ma inconcludente dei tempi lontani in cui erano "prestigiosi, potenti e famosi". Ma, nonostante che molti di noi – per esempio, chi scrive, addirittura dal Consiglio nazionale del PLI – li abbiano più volte benevolmente strigliati perché passassero dalla sterile nostalgia all’azione, alla politica vera, nulla, assolutamente nulla hanno fatto nel decennio che ci separa dal fatidico 1993-1994, la stagione che vide la crisi della Prima Repubblica.
Né uno straccio di riunificazione, né rilanci operativi, né un po’ di propaganda spicciola tra le nuove generazioni, né addirittura quell’approfondimento teorico – convegni, grandi congressi – che serve in mancanza d’altro, insieme con la polemica politica quotidiana (perfino questa assente), almeno a far sentire ai giornali, alla tv, agli intellettuali dell’area liberale, e al largo pubblico che segue i mass media, che un soggetto politico liberale esiste ancora, respira. Nulla, lo zero assoluto. Quando, invece, i cugini radicali, naturale pietra di paragone per i liberali, pur nell’analoga modestia di forze e di mezzi, dimostravano ogni giorno non solo di essere in vita, ma di poter influire sulla vita politica italiana, imponendo addirittura temi di discussione.
Tutte carenze che, come le vediamo noi, le vedono anche i responsabili delle coalizioni di Destra e di Sinistra. Hanno capito subito che questi liberali super-individualisti e nostalgici, schizzinosi e snob, inadatti alla vita politica pratica, però frazionisti e uno contro l’altro (un esempio tra mille: il PLI quasi non esiste, ma in Sicilia qualcuno ha fondato il Nuovo PLI), che non sanno fare propaganda tra la gente, tra i giovani, le nuove coppie, le casalinghe, i pensionati, e tra gli stessi intellettuali liberali, incapaci di farsi capire perfino dai giornalisti con uno straccio di evento o di comunicato fatto bene, non avrebbero portato un solo voto tranne il proprio. E hanno visto giustamente le pressioni degli esponenti liberali per entrare nelle coalizioni solo un mezzo per mettere al sicuro la propria carriera professionale.
I liberali, perciò, anziché lamentarsi dei politici avversari, se la prendano con se stessi, con le invidie personali, col rifiuto di azzerare tutte le sigle e di creare, per esempio, una grande Assemblea costituente di tutti i Liberali italiani (basta col nome "partito") che miri almeno al 10-15 per cento alle elezioni del 2011. Se la prendano col proprio individualismo sfrenato, col frazionismo maniacale e asociale, con quel famigerato narcisismo aristocratico grazie al quale è nato in casa liberale il detto autoironico (sì, perché i liberali sono dei gran signori dotati di humour) per cui "ogni liberale è un partito a sé". Ma se la prendano anche con i propri leader, che saranno pure veri liberali, ma si sono dimostrati da dieci anni in qua del tutto inadatti all’organizzazione di partito, alla lotta politica, perfino a creare dei banali uffici stampa. Che vogliono fare da soli, ma non sanno fare nulla, e quindi non fanno. E si sbrighino, anche, perché quel 30 per cento buono di liberali potenziali che l’Italia, come grande nazione dell’Occidente, bene o male dovrebbe avere, e che ora sono sparsi tra dieci partiti, rischiano di dimenticare o di ignorare per sempre l’esistenza d’una casa madre. Insomma, altro che nemici: sono i liberali italiani i peggiori nemici di se stessi. (Jefferson Tomaso, fu Anita)
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LE VERE MOTIVAZIONI DELLA CHIUSURA A DESTRA E SINISTRA
Non per odio, ma per paura
Todos caballeros. Tutti "liberali. Sì, per presa in giro. Il Parlamento italiano avrà nella prossima legislatura ancora meno liberali, se possibile, che in passato. Hanno posto il veto l’ottusa Destra illiberale e la conservatrice Sinistra anti-liberale. I liberali fanno paura, proprio perché paradossalmente sono tanti (oltre il 30 per cento degli Italiani), vincenti in tutto il mondo, razionali e perciò poco inclini ad ascoltare le balle della propaganda, e presenti nella base di molti partiti, soprattutto tra gli scontenti e gli incerti. E con la loro sola presenza sarebbero stati un’insopportabile "pietra di paragone", avrebbero dimostrato che gli avventurieri che si fanno belli d’una "bella parola" (così viene considerata nell’ignorante Italia, senza sapere che ha in sé elementi d’una severità assai poco italiana…) sono degli impostori, dei ladri di identità, che si vergognano di definirsi quello che sono: conservatori e clericali di Destra o di Sinistra. Ammetterli avrebbe significato ammettere che il partito X o la coalizione Y "non è" liberale. E questo, oggi che tutti per pubblicità menzognera si definiscono furbamente "liberali", sarebbe stato un suicidio di marketing politico.
Che vi diceva il buon Salon Voltaire da due anni, unico e inascoltato? Alla fine, come si prevedeva, i liberali sono stati gabbati soprattutto dal Centro-destra, e anche dal Centro-sinistra. Fin dalla presentazione delle candidature alle politiche. Liste liberali non ci sono, ad eccezione della componente radicale della Rosa nel pugno a sinistra e del virtuale PLI a far da testimone non schierato in poche circoscrizioni (Lombardia, solo Senato, in Campania 1 (Napoli), in Puglia e in Sicilia. Il Centro-destra aveva promesso mari e monti ai Riformatori liberali (Radicali liberali) per poi umiliarli con un’amara beffa che grida vendetta: quasi nulla la raccolta di firme dai finti "amici" di FI, e solo un seggio sicuro, quello di Della Vedova, ma dentro FI. Il bravissimo Calderisi, uno dei maggiori esperti in Italia di sistemi elettorali, quasi sicuramente fuori. I bravi Taradash e Palma sono fuori. Una perdita secca per i liberali. E se ne sono sinceramente dispiaciuti anche i fratelli separati dei radicali nella Rosa nel pugno: vedi l’editoriale su Notizie radicali di Vecellio, che parla di "inquietante involuzione conservatrice e clericale" della cosiddetta Casa delle libertà.
A questo si aggiunge la ben nota ingenuità e debolezza contrattuale dei liberali, poco abituati ormai al potere, individualisti estremi, che amano presentarsi da soli alle trattative e agire uno contro (o senza) l’altro. E ben gli sta, dunque. Un esempio di dabbenaggine? Nel Centro-destra, il segretario del PLI, De Luca, che fa un accordo con FI per una lista liberale, e che poi all’ultimo si ritrova escluso a tradimento, quando è troppo tardi per candidarsi in altre liste. Una beffa che sa di schiaffo. Ma un avvocato – chiosa il perfido liberale Morelli – avrebbe dovuto cautelarsi, almeno con un contratto scritto e addirittura una penale?
E nel Centro-sinistra? A parte il capolavoro dei cugini Radicali, reso possibile però dal cavallo di Troia dei socialisti SDI, il deserto. Con l’aggravante che neanche ci sono i candidati ex liberali e ora integrati e acquiescenti al nuovo sistema di potere, come Biondi e Martino. Il liberale Morelli e altri amici hanno proposto una lista liberale autonoma, che non sarebbe stata ostacolata da Fassino e dai Ds. Macché, la Margherita di Rutelli e Parisi ha posto il veto. Il vecchio liberale Zanone, così, viene messo in lista non come "liberale" ma come un notabile qualunque. E i riformisti liberali Ds (Morando, Debenedetti) bocciati in blocco, tanto che Turci si è dovuto salvare come candidato nella RnP.
Noi, da liberali veri, non ci stracciamo troppo le vesti (solo uno strappetto sulla manica, diciamo…), né per questo cambiamo idea sui due poli, con ridicole frasi roboanti, melodrammatiche – ecco il viziaccio degli Italiani, specie al Sud: il Gran Teatro – come se fosse la "fine del mondo". Cinismo? No, immaginavamo già come sarebbero andate le cose, avendo visto fin dal ’94 come funzionava il coordinamento dei club di FI. Capimmo tutto al volo: era tutto finto, e nulla e nessuno era liberale. E pensare che FI era il meglio del Centro-destra, figuratevi An e Cdu.
E poi, siamo psicologi "realisti", ma portiamo la proiezione logica alle estreme conseguenze. Seguiteci nel ragionamento. Col liberalismo che in teoria ha vinto dappertutto, con l’Italia bene o male ottavo paese dell’Occidente, i liberali – se ci fossero liste liberali, elezioni libere, e fondate su precise scelte di programma – potrebbero prendere almeno il 30 o 40 per cento dei voti, no? E allora, che ne sarebbe dei partiti elettoralistici, né carne né pesce, come Margherita, Forza Italia, Mastella, Di Pietro, An, Ds, Ulivi, Unioni, Case e Casini delle libertà? Secondo una proiezione virtuosa ma logica, se la gente fosse portata a votare "in base alle idee e ai programmi" reali, come nel Regno Unito o negli Stati Uniti, tutto questo schieramento fittizio finirebbe per essere spazzato via.
Resterebbero solo una grande lista, diciamo, di Liberali italiani (dal Centro-destra al Centro-sinistra), più i Cattolici uniti (con analoga estensione), una piccola Destra conservatrice e una piccola Sinistra neo-marxista. Stop. Solo quattro partiti veri. Al massimo, finché il sistema virtuoso non andasse a pieno regime, resterebbero come residui due liste né-carne-né-pesce di destra e sinistra (resti di FI e Ds), ma dovrebbero tendere a scomparire. Ma questo sarebbe il diagramma logico e razionale in base alle idee vere, alle opzioni possibili, che offrirebbe l’Italia politica, se non ci fossero i "ladri di nomi", i politicanti imbroglioni all’italiana, quelli delle furbe vie di mezzo o delle liste nominali. Ma questo retro-pensiero terrorizza i nostri politici politicanti. Anti-liberali non per odio ideologico, ma per auto-difesa. (D'Azeglio, il minimo)
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UN GIORNALE SI SCHIERA E I LETTORI SI MERAVIGLIANO
Il vero scandalo è che è troppo tardi
Ma, scusate, il loro giornale lo leggevano davvero i lettori del Corriere? La meraviglia di una gran parte di loro per un articolo di fondo, ci meraviglia assai. Noi lo leggiamo da tempo immemorabile, e la naturale evoluzione della direzione di Mieli ci ha incuriosito, sì, ma non ci ha turbato più di tanto. Come i maggiori giornali anglosassoni fanno per tradizione, il Corriere in un articolo di Mieli ha avvertito con onestà calvinista che rispetto alla campagna elettorale in corso punterà su un cavallo. Ma era un segreto di Pulcinella. Mieli "rivela" ciò che tutti i lettori già sapevano o avrebbero dovuto sapere: parteggia per l’Unione. Del resto, anche quando era "terzista", sia pure criticamente, era per la Sinistra.
E non è neanche una notizia che lo stesso Mieli si insinui perfino all’interno degli schieramenti privilegiando a Sinistra i Radicali – giustissimo – e poi la Margherita, Fassino (senza i Ds?) e Bertinotti, cioè quasi tutti, e a Destra An e Ccd. Incuriosisce, piuttosto, in uno come Mieli, il doppio errore di definire la Margherita, spesso clericale e conservatrice, "moderno partito liberaldemocratico" (mentre su Ccd e An non specifica: anche loro "moderni partiti…"?), e di dare credito a Bertinotti, improvvisamente "non violento" e "gandhiano", forse perché – soffiano le malelingue – plagiato filosoficamente dal redivivo strizzacervelli Fagioli. Il tutto, però, senza considerare la base di Rifondazione, che è ancora quella che è.
I rigori, poi, sono fischiati in modo asimmetrico: contro un grosso partito e uno piccolo a Destra (FI e Lega) e solo contro piccole liste (Verdi, Cossutta, Mastella e Di Pietro) a Sinistra.
Insomma, analizzato politicamente, dopo quello sgrammaticato di Pera, ecco un altro "manifesto" un po’ caratteriale, carente e illogico, proprio come analisi. Davvero non ce lo saremmo aspettati da uno che passava per fine conoscitore di cose politiche.
Molti hanno protestato e non solo a Destra. Ma sbagliano, perché l’editoriale formalmente è legittimo. L’amico liberale Di Massimo, persona equilibrata e tendenzialmente bipartisan, ha scritto una lettera a Mieli in cui tra le tante cose giuste, esprime "totale dissenso per la presa di posizione". Perché? Perché pensa che "ai lettori del giornale interessino informazioni e opinioni varie e diverse, ma non "una presa di posizione, qualunque essa sia, in un Paese dove tutti tendono a schierarsi, ed i poteri neutri tendono a sparire". E giudica "linguaggio bizantino" la precisazione che malgrado ciò le notizie varranno date nel modo "quanto più possibile obiettivo e imparziale".
Ma la dichiarazione del Corriere, anche se noi italiani non vi siamo abituati, si iscrive nella corretta tradizione della stampa liberale anglosassone. Anzi, la cosa è nata nelle grandi democrazie liberali di massa – appunto per limitare il quasi ossimoro – come "caveat", come cautela e garanzia per i lettori più sprovveduti, marginali o disattenti, incapaci cioè di accorgersi che ogni giornale ha in realtà una linea politica, affinché prendano con le molle i commenti e facciano la tara alle notizie politiche di quel giornale. Insomma, non deve essere visto solo come un incitamento ai partiti della propria parte, ma soprattutto come un avvertimento ai lettori. In questo senso, sarebbe un bene, specialmente in Italia, con lo pseudo-analfabetismo e i tanti lettori marginali che abbiamo (chi scrive libri o articoli sa bene quanti equivoci sorgono, perfino tra i lettori laureati, all’interpretazione semantica anche degli scritti più chiari…), che tutti i giornali facessero outing del genere.
E poi c’è un’analogia con le avvertenze che i giornali inseriscono negli articoli (p.es. lo fa spesso Panorama) in caso di possibile conflitto d’interessi tra proprietà e obiettività: guardate che la Mondadori di cui stiamo parlando è di proprietà Mediaset, oppure il tale collaboratore è senatore di FI. Così non si ingannano con notizie tendenziose i lettori meno informati. Che in tal modo sanno già da che pulpito viene l’articolo.
Troviamo la cosa molto liberale. Ma sarebbe stato meglio fare l’endorsement tre o quattro mesi prima delle elezioni, non 30 giorni prima. Se un difetto, quindi, ha l’editoriale di Mieli, è che è troppo tardivo. (L'autista cieco di Luigi Einaudi)
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SCONTRO DI CIVILTA’, NON DI RELIGIONI
E se la Chiesa scegliesse l’Oriente?
Nell’attuale cosiddetto "scontro di Civiltà" i contendenti non sono una religione contro l’altra. Ma solo il fanatismo assolutistico contro il razionalismo liberale. Ora è il momento di scegliere. Le frange più estremiste dell’Islam hanno già scelto da tempo, approfittando del lassismo e dell’anarchia dell’Islam. Anche i Cristiani protestanti hanno già scelto: il capitalismo e la sua ideologia di riferimento, il liberalismo. Che per attrarre e liberare i popoli schiavi del Terzo Mondo, e per fronteggiare qualsiasi pericolo, hanno tutto quello che serve: libertà individuale, tolleranza, modelli di vita moderna, sviluppo economico, tecnologia avanzata, diritto severo, forza militare bastante.
Ma i Cattolici, che faranno? Per il momento tergiversano. Non vogliono o non sanno ancora scegliere. Civiltà occidentale capitalistica o Islam fanatico? Come si schiererà la Chiesa? Questo, solo questo, è il dilemma. Non esiste una terza via, una via di fuga nello scontro in atto. Altro che appelli per un "Occidente cristiano". L’Occidente è liberale. Nel senso che questa è la sua caratteristica unica e differenziale. E dunque è il capitalismo-liberalismo, geniale invenzione vincente, la facies riconoscibile dell’Occidente. Quella contro cui, però, significativamente, si scagliano encicliche di Papi e sermoni di parroci che tuonano contro "consumismo", "egoismo individualistico", "edonismo", "dittatura del denaro", "capitalismo", "eccessiva libertà", se non addirittura "licenza colpevole". E dunque, chi difende davvero, e chi invece fa la fronda contro l’Occidente? Il liberalismo o il cattolicesimo? E voi, dite la verità, vi fareste difendere contro un nemico rozzo e determinato da chi fa la fronda, divide il capello in quattro, ed è pure disarmato? (Don Minzione, il prostatico)
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UNA GAFFE CONFERMA: VANGELO E CORANO ALLEATI
La soluzione c’è: basta con le religioni a scuola
"Voce dal sen fuggita…". Sta accadendo proprio quello che il Salon Voltaire aveva previsto. Altro che scudo all’Occidente, come vaneggiavano i fanatici cattolici, gli sgrammaticati Manifesti "a pera", e i falsissimi politici teocon, sempre più, in francese "teologi coglioni". La Chiesa è pronta, sùbito, a calare le brache e ad allearsi all’Islam, contro le libertà e l’Occidente. Vangelo e Corano uniti, come volevasi dimostrare. Perché sia per i cattolici fondamentalisti, sia per gli islamici, il nemico è lo stesso: la liberal-democrazia. Tra cani non si mordono, anzi, si alleano, e più uno morde l’ignaro passante, più l’altro si eccita all’odore del sangue e si avventa sui polpacci.
Esagerazioni laiciste? No, è quello che si può dedurre da una gaffe in cui è caduto un alto prelato. Non sarà magari proprio quello che papa Ratzinger vuole e che dirà domani, ma certo riflette il pensiero o retro-pensiero diffuso tra i "politici" delle gerarchie del Vaticano, papa o non papa.
"La Chiesa dà il via all'ora di religione islamica nelle scuole" hanno intitolato giornali e tv. Siamo ormai al ripristino del placet o dell'imprimatur pontificio. "Si comportano così perché la nostra classe politica ha paura di fare scelte e di prendere posizioni con forza contro il clericalismo" ha commentato in sintesi la Bonino a Radio radicale. In apparenza, il cardinale Martino aveva detto cose di buon senso. "Se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana, non vedo perché non si possa insegnare la loro religione. Questo è il rispetto dell'essere umano", ha detto il cardinale. "Se attendiamo la reciprocità nei Paesi rispettivi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità". "Ma l'Europa, l'Italia è arrivata a punti di democrazia e il rispetto dell'altro che non può fare marcia indietro. Se quindi ci sono persone di altra religione nella realtà italiana, bisogna rispettarle nella loro identità culturale e religiosa".
Detto così, a prima vista sembra tutto quasi giusto, molto democratico. Peccato che in carenza di smentite, cioè d'un vero potere dello Stato laico, la stampa ha giustamente interpretato queste dichiarazioni come il "permesso", anzi il "via" dei veri reggitori della cosa pubblica in Italia, cioè le autorità ecclesiastiche, ad un'ulteriore ora di religione, quella islamica. E poi, è sempre un cardinale a parlare, che non parla di questioni interne della Chiesa, ma di novità da istituire in casa d’altri. E’ lui che paga? Offre lui i locali per l’insegnamento? No, si riferisce a soldi e a locali pubblici pagati dagli Italiani: è qui la sua doppiezza e prepotenza. Facile e ipocrita fare i generosi col borsellino degli sconosciuti, quando non si pagano le tasse e già si prendono i soldi degli Italiani con l’indebito Otto per mille. Perché la Chiesa non istituisce dei corsi di islamismo? A sue spese, però. Vogliamo vedere le file di islamici che entrano dentro il Vaticano.
Grazie al cardinal Martino per essere uscito con questa sua provvidenziale boutade, detta con tono decisionista di chi è abituato a comandare a bacchetta in casa d’altri. Proprio mentre noi liberali e laici non ne possiamo più dell'insegnamento pubblico della religione, che esiste solo in Italia, arriva lui bel bello (psicologia, zero) a proporre "altre" ore di religione, per gli islamici. Certo, perché no, anche per buddisti, ebrei, protestanti, ortodossi, animisti, confuciani. E ateisti, no? Scherziamo? Se si insegna tutta questa religione – e diciamo sul serio – pretendiamo che si insegni anche l’ateismo. Siamo d'accordo con G.Cesare Vallocchia di No God. Se non altro come antidoto a tutto il carico di autoritarismo psicologico e sopraffazione fondato sul nulla che questo genere di insegnamenti porta con sé: "Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare", scriveva Dante. Spirito critico, addio. Davvero un buon percorso educativo per gli studenti del 2000. E poi ci si lamenta se i ragazzi a diciott'anni vengono fuori dalla scuola come babbioni senza idee.
Al cardinale così attento al rispetto dell’identità degli islamici (di quell’Islam che ammazza i preti cattolici), così masochisticamente altruista, a spese nostre, che sembra uscito dal santino in cui un S.Giorgio di oggi offre metà del suo mantello al nemico terrorista, anziché denunciarlo alla polizia, ricordiamo che prima dovrebbe chiedere il parere dei cittadini italiani, poi dovrebbe rispettare la logica e il buon senso, poi la separazione tra Chiesa e Stato, tipica dei Paesi liberal-democratici, infine l’identità e le idee di coloro che non amano la religione a scuola, tantomeno vogliono pagarla sotto forma di tasse. E, fossero pure un’esigua minoranza, poiché non si deve fare violenza alle coscienze, come fa spesso la Chiesa, vanno rispettati.
E invece, ecco il clericalismo più prepotente e ottuso: parlare da politico e statista, "proporre" oggi per imporre domani a tutti gli italiani, compresi gli atei, gli induisti e gli ebrei, (che devono accollarsi le spese, sotto forma di tasse che servono a pagare gli insegnanti) le proprie idee integraliste sulla religione a scuola.
Dice qualcuno: ma come, un cittadino italiano, sia pure in tonaca, non può dire la sua? Ma è illiberale. Come privato, certo. Anzi, ci batteremo fino alla morte perché possa dire la sua. Ma non come rappresentante di un Potere. Non nel suo ruolo in qualche modo pubblico. In tale veste è criticabile, anzi più criticabile. Come i poliziotti, i prefetti, i magistrati, perfino i Presidenti delle Camere e della Repubblica, i preti, i rabbini, gli imam, i vescovi, i cardinali e i papi, proprio perché la Comunità gli riconosce un ruolo elevato e super partes, hanno paradossalmente alcune limitazioni, come se avessero "meno" diritto di parola dei cittadini comuni. Tanto è vero che un ministro, alle volte si deve dimettere per una dichiarazione che se detta da un cittadino qualsiasi lascerebbe tutti indifferenti.
La soluzione, perciò, qual è? Un’ora a testa per tutte le religioni possibili e immaginabili? La scuola deve occuparsi di queste cose? No, è ora di dire finalmente basta alla religione nelle scuole di Stato. E’ una vergogna tipicamente italiana, questa del clericalismo cattolico. Body and Soul, corpo e anima, diceva la canzone, che poi Coleman Hawkins trasformò in un geniale assolo di sassofono. Come i sacerdoti antichi che offrivano agli Dei il perfumun delle vittime sacrificali, ma riservavano a sé l’arrosto, così la Chiesa vuole il corpo (i soldi dell’Otto per mille) e l’anima (le coscienze degli ignari e malleabili studenti). Un raggiro che non esiste in nessun altro Paese, e deve sparire al più presto. Basta con le ore di religione a scuola, oltretutto con insegnanti scelti dai vescovi (figuratevi il livello culturale: ne ho conosciute un paio di ragazzotte "laureate" in improbabili università cattoliche, tipo "S. Maria Non Mi Ricordo più": roba da giornaletto di enigmistica o da bigino Bignami. "Insegnanti", chiamiamoli così, scelti dai vescovi, ma pagati dallo Stato, cioè da tutti noi. "Riteniamo che l'insegnamento religioso non si debba impartire nelle scuole di Stato, che per definizione dovrebbero essere aconfessionali, ma nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle moschee, nei templi, ecc. Naturalmente a spese del richiedente", ha giustamente detto in un comunicato il segretario dell’Aduc, Mastrantoni. Ma, poi, per finire, non basta la storia della filosofia, per insegnare le diverse religioni come fatto culturale, secondo la bella e sensata proposta di Benedetto Croce? (Lo stalliere scemo di D'Holbach)
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CANDIDI COME CANDIDATI. A MENO CHE…
Sicuri che Luxuria sia peggio di Mastella?
Ma, dico, avete visto le liste dei candidati? O meglio, dei cooptati dall’alto, secondo la nuova legge elettorale, come i senatori del primo Regno di Sardegna sotto Carlo Alberto? Per contrasto, ripenso con nostalgia all’amica Ilona Staller. Al confronto con certa gente (di Destra e Sinistra, per carità), che dirittura morale, che sincerità adolescenziale, che santa ingenuità. Una purezza imbarazzante. Senza la minima ironia.
Che poi non si capisce perché li chiamino ancora "candidati", come al tempo degli antichi Romani, quando dovevano essere vestiti d’una tunica di bianchissimo lino. Segno d’una "eguaglianza nei punti di partenza" alla Einaudi, o prova visiva d’una povertà regolamentare che testimoniava l’aver passato indenne ogni tentazione di corruzione, visto che la porpora per tingere una sola tunica, ottenuta schiacciando certi animaletti esotici, costava l’equivalente di milioni di lire? Se poi, sdraiatosi sull’erba ad amoreggiare, sporcava la bianca tunica di verde, il candidato veniva squalificato. Oggi, invece, quelli che hanno la tunica interamente sporca di verde, di rosso o di nero, la passano quasi sempre liscia. E sono perfino eletti.
Ma poi, se c’è un colore che davvero non si addice a certa gente (di ogni polo e tendenza, sia chiaro), questo è proprio il bianco. C’è il rosso, c’è il nero, c’è il giallo, c’è il verde, c’è il rosso cremisi (o cardinale), c’è l’arcobaleno. Manca il bianco. E per forza… A forza di usarle, quelle tuniche si sono sporcate. Quindi candidi, no, anche se candidati da autorità.
E poi, dico, avete visto le facce? Noi elettori dobbiamo osservare bene il prodotto da votare, cioè, volevo dire il candidato da acquistare. Leggete bene le scritte minuscole dell’etichetta. In cabina portatevi la lente d’ingrandimento: visto quante rughe, quante cicatrici, quanti segni di lotte passate? Mi ha insegnato il nonno di Verona che i cavalli prima di comprarli si guardano anche dietro. Girate e rigirate i candidati come volete, tanto è lo stesso: avete visto quanto le facce assomigliano ai sederi? Come quelle dei rossi Caruso e Ferrando. Come quella del nero Romagnoli che dice "Non sono sicuro che siano esistite le camere a gas per gli ebrei", cercando di immolarsi a scopo pubblicitario, come lo storico negazionista Irving. Gli piacerebbe. Ma qui in Italia non lo arrestiamo: siamo più liberali degli austriaci.
Dopodiché, sia resa giustizia a Luxuria. Guai a chi la tocca, Meglio la faccia un po’ così che la feccia che c’è in giro. Da Luxembourg a Luxuria. Sempre eroina è (in senso buono, ministro Pisanu), solo che fa meno danni. L’ha riconosciuto perfino l’ex-fascista Gasparri, a suo modo un signore, in un incontro televisivo. "Altro che Luxuria. Non mi piacciono gli ipocriti, i moralisti a ore, come Fisichella. Uno che allontana un suo collaboratore per una foto a una festa gay, e ora passa nello schieramento di Luxuria per inseguire una poltrona. Preferisco Vladimir che estremizza i suoi difetti a Fisichella che li occulta". Be’, per essere uomo di destra è stato molto più gentleman dell’umorista satirico Aldo Vincent (il "gelataio di Corfù"), che pur essendo di sinistra, con la scusa della satira, ci ha intinto il pane in modo disdicevole. E sì, perché in fondo, ‘sta Luxuria – ha scritto sul web – vorrebbe farsi fare quello che da anni i nostri politici fanno a tutto il popolo italiano. E almeno lui (lei) non ha paura di essere trombato-a alle elezioni. Vero, come dice Gasparri, che lei (lui) non ha mai detto slogan come "10, 100, 1000, 10 mila Nassirya". Perciò la destra non ce l’ha con lui (lei). E lei (lui) ricambia: "Non ho nessun odio per Berlusconi. Del resto anche lui si trucca e anche lui porta i tacchi..." Bravo-a. Senza peli sulla lingua. (be’, forse qualcuno gli è rimasto – commenta l’incontrollabile Vincent). Consigli al candidato-a? Quelli che dò anche a Totti, dopo l’incidente, dice il "gelataio di Corfù": attenzione ai falli da dietro.
Ecco l’antologia, degna d’un bar italico il lunedi mattina. Che dimostra che non sono meglio di Luxuria non solo la Mussolini, che l’ha aggredito-a al grido "Meglio fascista che frocio" (ma da chi avrà preso? Il padre Romano mai avrebbe fatto piazzate del genere, lo giuriamo da jazzisti. Forse dalla zia Sofia Loren?), ma neanche gli umoristi "de sinistra", che pur di far sorridere non badano a mezze misure. Figuratevi, poi, Previti e Mastella. (La callista epilettica della Bindi)
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MERCATO LIBERO IN EUROPA: SIAMO ANCORA INDIETRO
Della Vedova: la Francia contro il liberalismo
"E i francesi s’incazzano", canta l’avvocato piemontese dalla voce rauca come Buscaglione. E così perdono quella razionalità di cui si vantano, spesso a torto. Basta che ci siano i presunti interessi dell’Esagono, unico vero loro Dio, e non capiscono più niente. Perché il nazionalismo, si sa, ottunde la mente, e così i francesi col loro neo-protezionismo e i loro trucchetti statalisti non si rendono conto di fare il male della Nazione, oltre che dell’Europa. Il comportamento del Governo francese, che ha impedito la scalata legittima dell’Enel rappresenta sul piano politico un clamoroso e umiliante attacco al principio del mercato unico. Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, Presidente dei Riformatori Liberali - Radicali per le Libertà. Considerare "straniere" aziende di Paesi fondatori dell’Unione Europea - e quindi del mercato unico - è antistorico e rischia di assestare un colpo mortale al processo di integrazione europea. A questo si aggiunge l’arroganza di un Paese i cui "campioni nazionali" statali fanno shopping all’estero, forti delle rendite monopoliste su un mercato interno ancora chiuso. Il Governo italiano operi innanzitutto perché a Bruxelles e Lussemburgo vi sia una istruttoria non reticente sulla compatibilità giuridica dell’azione del Governo francese ai trattati comunitari. Quanto alla possibilità di provvedimenti "ritorsivi", è bene ricordare che - Francia o non Francia - l’interesse degli utenti e dell’industria italiana resta quella di avere mercati energetici aperti e competitivi. (La serva spendacciona di Adam Smith)
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INCONTRI. LA CONCORRENZA COME LE VITAMINE
La vitamina C fa bene al malato o al farmacista?
Prosegue la serie degli Incontri degli Amici della Fondazione Einaudi dedicati quest’anno alle Autorità di controllo, che ormai cominciano ad essere numerose. Dopo Alessandro Ortis e i problemi dell’energia (lo scorso 21 febbraio), stavolta è di scena Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, per parlare del "fattore C", come concorrenza. I suoi interlocutori saranno Alberto Pera (ex segretario generale dell'Antitrust e ora socio dello Studio Gianni, Origoni, Grippo & Partners) e Gustavo Piga, docente d'economia a Tor Vergata. A moderare è stato chiamato un altro economista, della Sapienza: Domenico da Empoli, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Einaudi.
Che la concorrenza faccia bene all’economia oggi lo dicono tutti. Ma poi gli esperti si dividono su chi ne trarrebbe i maggiori vantaggi. I consumatori, per esempio, oppure i concorrenti più deboli? O magari i nostri "avversari" economici stranieri, dall’Europa alla Cina? Ah, saperlo… Insomma, la concorrenza come le vitamine. Se fa bene, fa più bene ai malati o ai farmacisti? Naturalmente, tutto dipende dalle "proiezioni" che i diversi studiosi, proprio come i metereologi, realizzano. Per conto degli uni o degli altri. L’incontro, dal titolo "La concorrenza fa bene?" si tiene martedì 28 marzo alle ore 18 nella Sagrestia del Borromini di Sant’Agnese in Agone (entrata da via dell’Anima, 30/a). Per informazioni: 06.6871005. (Francesco Redi, medico condotto)
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FATTI PIU’ IN LA’: IL MOTTO DEI NUOVI OTTUSI
"Tutto quello che volete. Ma non nel mio giardino…"
Italia della provincia profonda, a noi! Italia degli egoismi un po’ ottusi, del villaggio che si credeva Parigi, dell’insegnante che pensava di essere uno scienziato. L’energia fa comodo a tutti, ma nessuno vuole che si produca dietro casa. "Una nuova centrale? Certo, sarebbe bello, ci servirebbe. Un convertitore di rifiuti? Ottima idea per pulire le città dai rifiuti, eliminare le discariche e avere metano gratis. Un depuratore delle acque per l’acquedotto? Sarebbe la manna, con la sete che abbiamo al Sud. Un rigassificatore del gas liquido? Perfetto, con la carenza di fonti energetiche. Anche una centrale nucleare, perché no, tanto ormai stanno ai confini d’Italia. Perfino una centrale a carbone della nuova generazione (che non inquina). Tutto, insomma, siamo disposti ad approvare. Siamo moderni, noi, che credete? Purché, certo, non vicino a casa nostra. Avete provato a chiedere nella città vicina?".
Nel teatrino vernacolare della psico-politica all’italiana, è la gag più recitata e ascoltata negli ultimi anni. Ormai anche la casalinga della Campania, il ragioniera della Val di Susa, perfino il prete della Basilicata, dai e dai, hanno orecchiato qualcosina di ambiente. Naturalmente non dai testi scientifici, perché della scienza non si fidano (per loro è un’appendice dell’odiata industria), ma dai comunicati delle contro-inchieste dei Centri sociali e dei Comitati alternativi, residui archeologici della sottocultura antagonista degli anni Settanta. Ai quali si aggiunge sempre qualche capetto che fa da esperto e trascinatore politico.
Ma ad eccezione delle altissime e antiestetiche pale eoliche, che rovinano il bel paesaggio italiano senza dare praticamente energia e ricavandone pochissima a prezzo alto, le altre installazioni spesso producono molti più vantaggi che svantaggi. Alcuni impianti, per esempio, emettono solo nuvole di vapore acqueo. Altri danno un inquinamento leggerissimo, pari a quello "di fondo" già esistente, senza che nessun valligiano protesti. Senza contare che già il traffico automobilistico dei centri storici (non parliamo, poi, del fumo di tabacco) fanno registrare valori di inquinamento migliaia di volte superiori. Basta ricordare che centrali di riutilizzo energetico o depuratori sono nel centro di Vienna e di New York. Ma non possono essere costruiti vicino Acerra (Napoli), nonostante che gli abitanti campani non storcano il naso per il puzzo dell’immondizia accatastata.
Ora sul problema il Circolo di Venezia di Società Aperta, organizza a Mirano un dibattito pubblico, con l’intervento di esperti ed economisti di valore: "Non nel mio giardino. Ambiente e sviluppo possono convivere?" Che cosa si può fare per mettere sullo stesso piano progresso e tutela del territorio, interessi pubblici e privati, impresa e governo, sviluppo e sostenibilità? Intervengono Enrico Cisnetto, Presidente di Società Aperta, Corrado Clini, Direttore Generale Ministero Ambiente, Gianni Fardin, Sindaco del Comune di Mirano, Antonio Gesualdi Giornalista, saggista, Arduino Paniccia, Docente di Economia Internazionale Università Trieste. Modera Maurizio Milan, di Società Aperta, Circolo di Venezia. L’appuntamento è per sabato 18 marzo 2006, ore 15.45, all’Auditorium di Villa Errera (sala consiliare) a Mirano. (Alessandro Volt-Ampere, operaio all'Enel)
33. Newsletter del 25 gennaio 2006
Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n.33 - 25 gennaio 2006
"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:
DEFICIT DI LIBERALISMO. Programma comune per Destra e Sinistra
PUNGOLO LIBERALE. Quando la levatrice è nascosta nel sottoscala
MERCATO NO-GLOBAL. Focaccia e hamburger, la disfida d’Altamura
PRIVILEGI UNICI AL MONDO. Ma sul Concordato l’Unione tace
TROPPI FURBETTI IN GIRO. Proviamo a spoliticizzare l’Italia
SPIEGARE LA POLITICA. Non c’è il politologo? Bastano due vacche
COLPO DI CODA DI FAZIO. Il fortino e lo stipendio dell’ex Potere forte
MASOCHISMO ALL’ITALIANA. La sindrome della puttana moralista
STATO E CHIESA. Siamo laici, laicisti, anticlericali, atei o nichilisti?
SCRITTA SUL MURO DI HAMMAMET. "A Betti’, che ti sei perso…"
FINTO MERCATO E MONOPOLI. Macché utente, vince il prepotente
PAPALE PAPALE. Io mi faccio gli affari vostri, tu abortirai con dolore
COPIARE GLI ANGLOSASSONI. E noi vogliamo lo "Stato minimo"
EMERGENZA COPPIE. Altro che giovani gay: 500 mila anziani
SULLA RIVISTA DI GOBETTI. Riserve mentali dei cattolici liberali
ENERGIA: CHE FARE. Fanatismo d’oggi peggio delle paure di ieri
LIBERALI DEL PLI E SNOBISMO. La retorica della nostalgia. Di che?
FANATICI DI DIO. 350 morti schiacciati. Ma la vergogna è un’altra…
ANTISEMITISMO POLITICO. Comunista si scopre ebrea. In ritardo
LE EROICHE PEZZE AL SEDERE . Moralisti contro immoralisti
LIBERISMO DIFFICILE. Tremonti come Del Piero: sbagliò il rigore
TURISTI ITALIANI E ISLAM. Rapiti dal paesaggio. Con riscatto
CORPORAZIONI PALLE AL PIEDE. Gli Ordini del dottor Balanzone
SI PRESENTA A ROMA. L’Indice Heritage della libertà economica
SI PRESENTA A NAPOLI. Liberalismo come concezione di vita
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DEFICIT DI LIBERALISMO IN CASA DELLE LIBERTA’ E UNIONE
Il programma comune (segreto) di CdL e Unione
Elezioni all’ultimo sangue? Ma va là. E’ una battaglia finta, puro "teatrino della politica" ad uso della casalinga di Pinerolo, dell’agricoltore di Ceccano e del pensionato di Bitonto. Perché Destra e Sinistra, per le prossime elezioni hanno già un programma segreto comune. Del resto, anche i 132mila commissari tecnici della Nazionale (uno per ogni bar in Italia) sanno che programmi e livello d’una squadra si misurano su quelli dell’avversaria. "Gli azzurri? – ripete il Giuanìn del bar di Porta Vigentina, un’autorità in materia – giocano bene con le grandi, e male con le piccole". Verissimo anche in politica. E la tv rivela tutto, tattiche e schemi di gioco: tutti ormai giocano allo stesso modo. Parole sante.
E’ noto nei Paesi liberali anglosassoni, ma quasi mai ripetuto in Italia, che per valutare il livello d’un Governo si dovrebbe andare a vedere la qualità dell’opposizione. Allo stesso modo, per avere una buona Destra bisognerebbe avere una buona Sinistra. E viceversa. A tal punto il livello qualitativo dei due schieramenti dipende dalla concorrenza. E del resto maggioranza e opposizione sono in quei Paesi quasi "istituzioni" parallele, con tanto di ministeri omologhi, sia pure virtuali nel caso dell’opposizione, ma che in questo caso lavorano – programma alla mano – come se fossero al Governo. Tutto questo non esiste in Italia, Paese non ancora compiutamente liberale.
Se Mannheimer o Piepoli si degnassero di sottoporre un grande sondaggio sul liberalismo in Italia, siamo sicuri che verrebbe fuori che gli Italiani d’accordo con tutti i punti tipici del liberalismo, dal mercato ai diritti civili, dall’anti-Stato alla correttezza dei bilanci, dal merito al laicismo, non sarebbero più – ed è grasso che cola, del 30 per cento. Con tutto che l’Italia fa parte dell’Occidente sviluppato. E questo, non perché, come qualcuno scrive, certi temi liberali sono superati (al contrario, sono tutti ancora attuali, se no il liberalismo non sarebbe l’unica dottrina al mondo che funziona), ma proprio perché gli Italiani non sono geneticamente liberali. Sono corporativi per interesse, protezionisti per paura, statalisti per raccomandazione, clericali per tradizione, comunisti (fascisti o anarchici) per ribellione.
Il nostro Risorgimento, per Gobetti fu una "rivoluzione incompiuta". Ma ringraziamo il Cielo che ci fu. Oggi sarebbe impossibile. Fu un miracolo laico, portato a compimento solo per la furbizia del grande Cavour, grazie anche a colpi di mano, finanziamenti inglesi, corruzione dell’esercito borbonico e alcuni trucchetti. Altrimenti in Italia avremmo ancora venti staterelli. Fa sorridere, ma oggi nella Penisola tira una tale aria reazionaria, clericale e localista che un Risorgimento e una Unità d’Italia non sarebbero più possibili. Pera, Casini e Buttiglione, che non sono né Rosmini né Gioberti, con l’appoggio cinico di sparsi teo-con e neo-con (in francese, lett.: "nuovi coglioni"), proporrebbero una "federazione sotto il Papa". Solo Pannella rifarebbe la Breccia di Porta Pia. Ma risvegliamoci dall’incubo: per fortuna il Risorgimento c’è già stato.
Ma proprio perché sono così poco liberali (e infatti tutti si definiscono tali), gli Italiani sono inclini al tribale e triviale scontro di uomini e sigle, senza veri programmi. Come per le squadre di football. Perché, del resto, tifare Milan o Roma? Per una particolarità dello stile calcistico, per la qualità del gioco, al limite per un sano campanilismo (milanesi tutti i giocatori del Milan, romani quelli della Roma)? No, solo per simpatia, antipatia, emotività infantile, spirito di gruppo, conformismo, odio settario. Tutti vizi italiani. Ebbene, una psicologia simile si è ormai impossessata della politica italiana. Non si vota per convinzione sui programmi, e infatti i partiti non li mostrano. E solo così, tacendo ambiguamente, riescono a fare l’en plein dei voti.
Ma un vero programma c’è. Ve lo nascondono, perché è comune sia al cosiddetto (ma è solo un nome) Centro-destra, sia al sedicente (ma è solo un nome) Centro-sinistra. E il brutto è che viene attuato fin d'ora: populismo, demagogia, teatro della politica, scelta dei peggiori, raccomandazioni degli amici, settarismo, sottomissione alle corporazioni, alle grandi banche, ai sindacati, agli impiegati pubblici, al Vaticano, agli gnomi di Strasburgo e Bruxelles, al localismo reazionario (da Val di Susa ad Acerra, da Scanzano a Messina). Questo è il vero programma bipartisan, comune alla Casa delle libertà e all'Unione, e che sarà completato nella prossima legislatura.
Il deficit di liberalismo è enorme, da una parte e dall’altra. Con qualche differenza, però: nella Casa delle libertà di liberalismo si parla o si straparla, senza quasi farlo o facendolo a dosi omeopatiche, perché ogni partito ha la maggioranza o una grossa minoranza anti-liberale. Però il Presidente è stato definito "liberale" da Vespa, pur non avendo Forza Italia aderito all’Internazionale Liberale, ma al Partito Popolare Europeo. Nell’Unione non se ne parla neanche, e non solo per timore di ben tre interi partiti anti-liberali (Comunisti italiani, Rifondazione e Verdi) e di un terzo dei Ds. Eppure qualcosina di liberale si aspettano i Poteri forti, il Corriere, e non più d’un decimo degli elettori di sinistra, se la Sinistra va al Governo. Di qui il silenzio drammatico ed eloquente di Prodi. (Giolitti, il gelataio di Campo Marzio)
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LIBERALI IN SURPLACE: "E ORA CHE FACCIAMO?"
Quando la levatrice è nascosta nel sottoscala
"Oddio, arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi", diceva nascondendo le molotov nella borsa la sessantottina svampita, incerta tra l’eskimo e il montgomery. Ecco, stanno arrivando le elezioni e noi liberali non sappiamo che pesci prendere. Al solito. E si calcola che siamo tantissimi: forse il 30 per cento degli italiani interessati alla politica e alla società. Ognuno, come sempre, si cercherà la sua soluzione individuale, votando con la molletta al naso, per poi fare la fronda nel suo mediocre partitello illiberale? Che delusione. E che squallore. Ma chi è causa del suo mal…
La campagna elettorale è iniziata e nessuno sa quali sono i programmi della Casa delle libertà e dell’Unione. Un deficit non di trasparenza, ma di quella sana "contrattualità" liberale tra politici ed elettori molto più grave di qualsiasi conflitto d’interessi, perché tocca non la credibilità d’un candidato ma l’intero sistema politico, ed è di per sé fonte di corruzione ideologica e di disaffezione dei cittadini. Altro che Partito democratico nella Sinistra al posto degli ex trinariciuti post-comunisti, come vorrebbe giustamente il Corriere (ma si dovrebbe fare solo su un valore nuovo e rivoluzionario – dice bene Panebianco – cioè "l’anticomunismo democratico", campa cavallo…).
Per ora buio a Destra e a Sinistra. A Destra i liberali continuano nella loro indefessa attività: tacere, non far nulla, vivere nella paura o nella pigrizia la loro esistenza. Cari Martino, Biondi & C, con liberali come voi non avremmo mai fatto il Risorgimento. A Sinistra tace Zanone, ma anche Federico Orlando. Per fortuna abbiamo solo l’apporto di quei liberali conseguenti e attivissimi che sono gli amici Radicali. Per niente radicali, va detto, in questo inzio di campagna elettorale. Molto responsabili. Ascoltare il loro lucidissimo e intelligente segretario, Daniele Capezzone (rara avis nel mediocre panorama politico italiano), è un piacere per chiunque sia liberale. Non si offendano, ma sembrano quello che dovrebbe essere un normale Partito liberale, che non c’è. Altro che "anticlericalismo più intransigente" (Panebianco) che li condannerebbe alla "marginalità": ci sembrano degli anticlericali – come dire – moderati, visto che si limitano a difendere lo Stato dall’estremismo gratuito, impensabile in qualsiasi Paese anglosassone o liberal-democratico, di chi vuole imporre alla Politica i dettami di una religione, anzi, le idee politiche di una Curia. Amico Panebianco, in coscienza, lei che è liberale, crede davvero che il liberal-moderato Cavour avrebbe chinato la testa di fronte a questo inusitato estremismo clericale che non è mai manifestato neanche ai tempi della Dc?
Ad ogni modo, usando il moderatismo dell’intelligenza ("non vogliamo imporre all’Unione i nostri temi, chiediamo solo di poterne parlare, di usarli in campagna elettorale", ha detto in sostanza Capezzone, i Radicali come la levatrice di Socrate ci provano a tirar fuori dalla pancia gonfia e malata della Sinistra un neonato liberale. Missione difficile, quasi impossibile. Potrebbe venirne fuori un feto malformato. Per il quale s’imporrebbe l’aborto. Ma se la Sinistra ha il maieuta storico Pannella, sia pure relegato nel sottoscala, quale levatrice liberale avrà la Destra? (La sigaraia idealista di Don Benedetto)
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LIBERALISMO IN CUCINA
La disfida d'Altamura tra focaccia e hamburger
Il francese Libération del 3 gennaio vi ha intinto letteralmente il pane, figuratevi. O meglio, a nome della testata, lo ha fatto – e chissà se avrà imparato a fare "scarpetta" nel piatto - il suo Eric Jozsef, laggiù nel profondo Sud dei Borboni e di Federico II Hohenstaufen, precisa l'inviato di Libé, risalendo un po’ troppo in là nei secoli.
Certo, un’occasione unica per il giornale francese della Sinistra mangia-amerikani, vetero-comunista e reazionaria no-global in stile Bové, il contadino energumeno e spaccatutto che ce l’ha a morte con le multinazionali. Vedere per la prima volta agonizzare di morte non-violenta un ristorante McDonald. Non capita tutti i giorni che l’odiato panino ripieno di hamburger venga sconfitto da una piccola panetteria tradizionale, che come uniche armi contundenti sforna saporite focacce pugliesi al pomodoro, pizze di cipolla o di piccanti funghi cardoncelli (vietati dalla Chiesa durante i Giubilei perché ritenuti afrodisiaci), salsicce al pepe e pane di grano duro, mostaccioli di fichi secchi e "calzoni" gonfi di mozzarella filante.
Ecco le armi antiche ma efficaci con cui una neonata tavola calda ad Altamura ha avuto il coraggio di aprire i battenti proprio accanto al colosso col simbolo della grande M, pensate un po’, per fargli concorrenza. Ed ha vinto, anzi stravinto. Il fast-food grande e grosso le ha provate tutte, ogni genere di promozione, e ha perfino cambiato direttore, ma niente da fare, ha chiuso: il pubblico a poco a poco trasmigrava verso la vicina rosticceria rustica dai forti odori e sapori. Rosticceria che aveva avuto anche l’intelligenza di praticare prezzi analoghi o più bassi del gigante vicino.
Una favola bella nazional-popolare? Anche. Ma per noi razionalisti è solo un buon apologo liberale. Come ha confidato Onofrio Pepe che insieme col medico Peppino Colamonico ha fondato ad Altamura l’associazione per la difesa della cucina tradizionale "Amici del cardoncello": "La morale è che non è necessario reagire come José Bové in Francia. Distruggere un fast-food, rinchiudersi sul proprio territorio di fronte alla globalizzazione è un comportamento reazionario, Noi invece abbiamo vinto sul terreno della concorrenza alimentare".
Insomma, il piccolo David pugliese ha accettato la sfida, anzi ha dato battaglia per primo al Golia venuto da fuori, fornendo agli stessi prezzi prodotti di qualità e di nicchia che il gigante globalizzato ovviamente non poteva fornire. Ecco, dalla città di Altamura (65 mila abitanti e un famoso pane di grano duro) un piccolo grande insegnamento per i tanti italiani che non sanno fare mercato e hanno paura della concorrenza. Il segreto c’è, e guarda caso è lo stesso degli antichi Romani e del liberalismo: attaccare, e attaccare per primi. Solo così si può vincere. Rispettando la concorrenza e le regole liberali del gioco economico, che per noi sono sacre. E onore delle armi alla McDonald sconfitta nell'ormai mitica "Disfida di Altamura tra la "fcazz" (focaccia, nell’orribile dialetto consonantico pugliese) e l’hamburger". Insomma, una nuova Iliade gastrosofica. (L'amante zoppa di Francesco Saverio Nitti)
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PRIVILEGI UNICI AL MONDO PER LA CHIESA CATTOLICA
Concordato da superare, ma la Sinistra tace
"Non mi risulta che esistano nel mondo ordinamenti funzionanti in cui le gerarchie di una (sottolineo, di una) confessione religiosa, da una parte godano di privilegi particolari (Concordato, otto per mille, esenzioni Ici, insegnanti scelti da loro stesse e pagati dallo Stato, straordinaria presenza sugli organi informativi sul servizio pubblico, ecc.), e dall'altra pretendano di "entrare a gamba tesa" nell'agone politico di quel paese (addirittura, divenendo protagonisti di campagne elettorali condotte anche grazie ai finanziamenti pubblici di cui sopra!)". Così scrive sull’Unità il Segretario dei Radicali italiani, Daniele Capezzone. E così continua:
"Io vorrei, invece, la linearità e la chiarezza del modello anglosassone: ognuno (a cominciare dal cardinale Ruini) dica e faccia quello che gli pare, ma senza Concordati, senza otto per mille, senza privilegi particolari. Non si può avere (insieme) la botte piena e la moglie ubriaca (e magari pure l'uva nella vigna...). Per tutte queste ragioni, io penso che un altro 11 febbraio sia possibile. E lancio l'idea di un grande appuntamento pubblico nel quale personalità , intellettuali, politici e cittadini, proprio in quella data (emblematica per ragioni storiche, e con una speciale rilevanza quest'anno per la concomitante riunione del centrosinistra), lancino la loro (e nostra!) richiesta di superamento del Concordato"
Così disse molto saggiamente e, aggiungiamo, con moderazione tipicamente liberale, l’ottimo segretario Capezzone. E noi di Salon Voltaire non possiamo che dargli ragione. Cavour, che non era certamente un estremista ma un liberale di Centro, oggi direbbe le medesime cose. Fatto sta che la bozza del programma dell’Unione, pur avendo ben 274 pagine fittissime – all’anima del senso della sintesi: al paese mio, lungo programma significa nessun programma – non contiene una sola parola sulla laicità dello Stato, come ha fatto notare sull’Unità, opportunamente, unico nel panorama politico italiano, il segretario dei Radicali italiani, Daniele Capezzone. Mancando pochi giorni all’11 febbraio, ricorrenza del Concordato del 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, perché non affrontare il problema e iniziare almeno una fase critica e dialettica dell’istituto concordatario? Senza voler imporre il tema e voler inserire di forza l’abolizione del Concordato nel programma della Sinistra – precisa Capezzone – ma almeno sottolineare per iniziare, che non di può impedire ad un partito alleato, come sono i Radicali, di sollevare il problema e fare su di esso battaglia politica. Un argomento che esiste, inutile nasconderlo, e che va affrontato, magari proprio nella grande assemblea nazione prevista dall’Unione – guarda gli scherzi del caso – proprio l’11 febbraio prossimo. Insomma, Prodi e il suo staff, poco attenti alle insidie del calendario, sono andati a cacciarsi in un ginepraio. (Il padrino di duello di Felice Cavallotti)
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ALTRO CHE POCHI "FURBETTI" DI PROVINCIA
E’ la politica, non l’economia, il problema dell’Italia
L'onestà non è un valore politico di per sé, d'accordo, ma se in Italia quasi tutta la classe politica fa della corruzione un mezzo di scambio quotidiano, in questo rappresentando fedelmente gran parte della Nazione – cosa che i giornali italiani non scriverebbero neanche sotto il tiro d’un mitra – un liberale, che è non moralista per definizione, non può che trarne conclusioni tragiche sull'efficienza delle istituzioni. Che il famoso "potere" a cui aspirano i politicanti, per loro stessa ammissione ("cummandari è megghiu ca fùttiri", dicono in Sicilia), sia in fin dei conti quello di mettere le mani in pasta nella Borsa e nei pacchetti finanziari? Quella serpe di Travaglio, odiatissimo da D’Alema, dice che la Sinistra aveva "le pezze al sedere prima di andare al Governo". Poi ne sono usciti ricchi, e in queste settimane finalmente sappiamo il perché.
Certo, se la bustarella o la mazzetta di banconote lasciata distrattamente nella rispettabile borsa di cuoio erano un costume riprovevole ma accettato in Italia, perfino dall'opinione pubblica "benpensante", oggi le cointeressenze nelle scalate ai pacchetti azionari e la divisione tra i compari politici delle plusvalenze delle operazioni più azzardate sono diventate abitudine corrente in quel demi monde di mezzecalzette che opera a metà strada tra politica e finanza.
Ma è la politica stessa che deve farsi da parte in Italia: Solo da noi, e in Messico, forse, anche i barbieri, i baristi, gli studenti e le casalinghe parlano di politica. Come se fosse "tifo" sportivo, ovviamente. C’è qualcosa di anormale in tutto questo. E infatti la politica è essa stessa il problema dei problemi in Italia. Vi ricordate quando era obbligatorio per legge votare, e si recava ai seggi il 90 per cento degli italiani, come in Bulgaria sotto il comunismo? Una prescrizione giacobina nata come pedagogica, per un popolo non abituato alla democrazia. Ma ora la pervasività della politica, favorita da decenni di intromissioni dello Stato in tutti i settori della vita sociale, è diventata patologica e criminogena. Perciò, al contrario dei soliti superficiali che lamentano il "disinteresse" della gente, secondo noi è un buon sintomo che oggi i votanti siano finalmente diventati così pochi. Come nelle democrazie liberali evolute, dove si sa che se anche vanno al potere "gli altri", non sarà la fine del mondo. Perché, ricordiamolo, la politica non è tutto, anzi è una rappresentazione parziale e deformata della vita sociale, un ostacolo allo sviluppo della società moderna. E’ quando ce n’è troppa, non poca, che sorgono i problemi.
Intanto, non sarebbe il caso di rendere la politica italiana molto meno costosa, per esempio trasformando i partiti in semplici Comitati elettorali, come quelli liberali dopo l'Unità d'Italia? Questo aiuterebbe a selezionare in anticipo la classe politica, dissuadendo i tipi più famelici dal parteciparvi. Ma il mezzo più efficace secondo noi restano gli stipendi e le diarie dei politici e degli amministratori: vanno ridotte della metà della metà. E vedrete come d'incanto sparire tutta quella marmaglia dalle brutte facce che disonora l'Italia e che alla politica è attaccata come parassiti. Ma è chiaro che anche la legge elettorale e molte altre leggi dovrebbero essere abolite o cambiate radicalmente. Insomma, bisogna "depoliticizzare" l'Italia. Farla diventare più simile ai paesi anglosassoni. Altro che ridurre tutto al grottesco di tre o quattro "furbetti del quartierino". (Minghetti Marco, senza fissa dimora)
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COME SPIEGARE I REGIMI POLITICI ALLA GENTE
Non c’è un politologo? Bastano due vacche
La politica non è facile da spiegare. Mettiamo che volete far capire al volo al vecchio contadino, alla casalinga, al piccolo allevatore, la differenza tra capitalismo, comunismo e socialismo. Eh, quella è gente pratica e concreta, mica come certi laureati a cui potete raccontare qualsiasi balla. Sentite il mio consiglio: fate l’esempio delle due vacche, e capiranno tutto. Del resto mica potete portarvi appresso un politologo, ammesso che questo ci capisca qualcosa. Ecco le istruzioni raccolte da quei fannulloni dei funzionari dell’Unione Europea (e si capisce anche da molte descrizioni).
SOCIALISMO. Avete 2 vacche. I vicini vi aiutano a governarle e voi dividete il latte.
COMUNISMO. Avete 2 vacche. Il governo le requisisce e vi fornisce il latte.
FASCISMO. Avete 2 vacche. Il governo ve le sequestra e vi vende il latte.
NAZISMO. Avete 2 vacche. Il governo vi prende la vacca bionda e abbatte la mora.
DITTATURA. Avete 2 vacche. I miliziani le confiscano e vi fucilano.
SIGNORIA FEUDALE. Avete 2 vacche. Il signore si arroga la metà del latte.
DEMOCRAZIA. Avete 2 vacche. Una elezione decide a chi appartiene il latte.
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA. Avete 2 vacche. Un voto elegge chi deciderà a chi appartiene il latte.
DEMOCRAZIA IN CINA. Avete 2 vacche. Vi beccate una multa per detenzione di bestiame in casa.
ANARCHIA. Avete 2 vacche. Le lasciate gestirsi in autogestione.
CAPITALISMO. Avete 2 vacche. Ne vendete una e comperate un toro per fare dei vitelli.
CAPITALISMO SELVAGGIO. Avete 2 vacche. Ne vendete una, forzate l’altra a produrre come quattro, e licenziate l’operaio che se ne occupava accusandolo d’essere inutile.
BUROCRAZIA. Avete 2 vacche. Il governo pubblica delle regole di igiene che vi costringono ad abbatterne una. Poi vi fa dichiarare la quantità di latte che avreste potuto ottenere dall’altra, vi acquista il latte e lo getta via. Infine vi fa riempire dei moduli per dichiarare la vacca mancante.
ECOLOGIA. Avete 2 vacche. Vi tenete il latte e il governo vi compra lo sterco.
CAPITALISMO EUROPEO. Avete 2 vacche. Vi sovvenzionano il primo anno per acquistare una 3a vacca. Vi fissano le quote di latte il secondo anno e voi pagate una multa per sovrapproduzione. Vi si dà un premio il terzo anno per abbattere la 2a vacca.
STATALISMO ALLA FRANCESE. Avete 2 vacche. Per finanziare la pensione delle vacche il governo crea una nuova imposta, la "Qssbna " (Quote sociali di solidarietà con le bestie nostre amiche). Ma il sistema va subito in deficit, e si crea una nuova tassa sulla produzione di latte, la "Rcm" (Rimborso del conto dal macellaio). Il latte non si trova più, e il governo costruisce un lattodotto sotto la Manica per approvvigionarsi di latte dall’Inghilterra. L’Europa dichiara non commestibile il latte inglese. Parigi impone una nuova tassa per finanziare il lattodotto inutile.
MONARCHIA COSTITUZIONALE BRITANNICA. Avete 2 vacche. Ne ammazzate una e la date da mangiare all’altra, che diviene pazza. L'Europa vi sovvenziona per abbatterla. La date da mangiare ai vostri montoni.
REGIME ITALIANO. Avete 2 maiali. Dichiarate 200 vacche e vi beccate tutte le sovvenzioni europee. (La badante russa di Cossiga)
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FAZIO CONSERVA UFFICIO, AUTO, STIPENDIO, SCORTA
Privilegi: il fortino dell’ex potere forte
Nel giorno della nomina del sospirato nuovo governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha fama di "privatizzatore" e liberista, diamo il Tapiro d'oro, meritatissimo, all'ex (ma quale ex, leggete, leggete...) governatore Fazio, che da ciociaro tenace ha fregato tutta l'Italia facendo finta di andarsene dal Palazzo Koch in via Nazionale. E sì, perché si è scoperto che Fazio alla Banca d'Italia ci resta, eccome. E anche ben pagato. Durante il programma radio "Zapping", condotto col consueto equilibrio dal bravo Aldo Forbice (complimenti e auguri), un ascoltatore di Catania ha chiesto conferma della sconvolgente notizia: Fazio ha patteggiato pesantemente le proprie dimissioni. Ma sentite come: continuerà a prendere uno stipendio (e per uno come lui che lo aveva stratosferico, sarà comunque alto, ma quanto?), avrà un ufficio tutto suo nella palazzina di fronte a Palazzo Koch, avrà un'auto di rappresentanza con autista, avrà una guardia del corpo. E forse altre cose che non ricordiamo. Il tutto, aprite bene le orecchie, pagato dai contribuenti, immagino vita natural durante.
Siamo alla beffa, insomma: il tenace siculo-ciociaro Fazio resiste nel suo fortino. In Italia dei potenti non si caccia mai nessuno in modo definitivo, anche se non hanno ben meritato. E loro, intanto, hanno avuto tutto il tempo e il denaro per procurarsi amicizie influenti, a nostre spese. Ci piacerebbe far cessare questo scandaloso esempio e questo spreco ai danni dei cittadini italiani, ma come fare visto che perfino il sindaco di Roma, nel suo piccolo, paga dei consulenti? Ecco, immaginate che Fazio sia un "prezioso consulente" per il nuovo governatore Mario Draghi, diciamo così. Sarà d’accordo Draghi? Noi no. (Gaetano Zitti & Mosca)
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CRISI E RETROCESSIONE. IL PIACERE DEL MASOCHISMO
La sindrome della "puttana moralista"
Ci voleva uno tsunami, ma purtroppo il modesto Tirreno non lo consente. E, dannazione, per quanto attesa da tempo, tarda anche l'eruzione del Vesuvio (ma a Napoli, dove trasformano il piombo in oro, se la stanno giocando al lotto). Per fortuna è venuta in nostro soccorso l’ennesima classifica economica che punisce l'Italia. "Era ora", si è tirato un respiro di sollievo nel vero Parlamento del Paese, i 132mila bar riuniti in tele-conferenza a reti maldicenti unificate. Del resto, lo dice sempre il Giuanìn del bar di via Porta Vigentina, a Milano, non poteva durare così a lungo nel "meno peggio": meglio un peggio certo e rassicurante che un meno peggio ansiogeno e incerto.
Ora, per fortuna, c’è non solo l’arretramento economico, ma anche la perdita di 14 punti (dall’indice 2,50 a 2,28) nella scala mondiale del mercato libero. Negli ultimi anni (l’analisi si arresta al 2003, se abbiamo capito bene), analizzati i più diversi parametri economici, Heritage Foundation e Wall Street Journal hanno concluso che l’Italia si è declassata ancor più nella scala delle libertà economiche. Finalmente. Gli Italiani se l'aspettavano, e hanno accolto la notizia con un senso di liberazione, anzi un godimento morboso da "caduta nel Maelström" degna del racconto di Edgar Allan Poe. Cioè, il Peggio del peggio, che dico, il Meglio del meglio. Illudendosi, poveri scemi, di avere almeno il record del Peggio assoluto. Come quei pirla di provincia, dall’America all’estremo Oriente, che da buoni a nulla si allenano per tutta la vita a mangiare il sandwich più grosso per entrare nel Guinness dei primati. Ma intanto dovrebbero cercare di rientrare almeno nei Primati, intesi come ordine zoologico. Così gli Italiani: potrebbero tentare almeno il record della sfiga auto-procurata.
Del resto, il masochismo e l’autoflagellazione, si sa, in Italia trovano sempre nuovi e ghiotti pretesti. Un’occasione d’oro, ammettiamolo, questo declassamento economico. Grazie Heritage Foundation, grazie Istituto Bruno Leoni: non siete solo maestri di economia, ma anche di psicologia, varietà italica. Un "declassamento" ricorda inesorabilmente la classe, la scuola dell’obbligo. Per di più è stabilito da stranieri, ritenuti, chissà perché, maestri severi, crudeli e infallibili. Vuoi mettere se l’avesse detto la Bocconi? Gli avrebbero riso dietro. Al bar del Giuanin neanche avrebbero sollevato gli occhi dalla tazzina. L’ideale per noi che segretamente, eroticamente, amiamo essere bacchettati, e in sovrappiù da personale militare o carcerario straniero ("Helga la crudele kapò delle SS"). Infatti, pensateci, noi Italiani abbiamo spesso fatto ricorso all’estero per le nostre beghe, pur di sputtanare l’Italia. Da Carlo V a Le Monde, siamo di casa nei tribunali e nei giornali di Parigi, Bruxelles, Londra, Madrid, l’Aia e New York. Dove c’è sempre qualche italiano – lo chiamiamo ancora così? – che denuncia all’estero i torti subìti in patria, come se qui fosse vietato praticare il vero, unico, sport nazionale: la protesta.
Mancanza di dignità? Ahi, è una parola tabù, non pronunciatela mai: vi mettereste contro 58 milioni di persone. Prima di dirla, ricordatevi sempre dei personaggi popolari e beneamati dal pubblico, interpretati al cinema da Alberto Sordi, e anche di come (e a che prezzo) piangono in piazza le donne del Sud, di come e a che prezzo si lamentano in malafede e per secondi fini davanti alle telecamere del Tg sindaci del Sud, e purtroppo ora - dopo Val di Susa - anche del Centro e del Nord.
E ci riveliamo esterofili e amici del giaguaro perfino dopo una disastrosa, sporca e costosa vacanza estiva o un rapimento nello Yemen. "Che bella la Grecia", "Che gentili quei rapitori, che bello quel rapimento" dicono in piena sindrome di Stoccolma le madame Bovary di Vicenza o Treviso (il Veneto è in prima fila in queste idiozie, sarà per la carenza atavica di vit.PP causata dal granturco della polenta…). Turisti per caso. Un rapimento, ormai, diciamolo, non si nega più a nessun cliente di Tour Operator, tantomeno ad una sventata insegnante di Padova. Ma se qualcosa va storto, "dagli all’Italia". Prima solo al Sud, ora anche al Nord, siamo un "popolo" (si fa per dire, lo mette in dubbio perfino il nostro Inno nazionale) che per la più futile disavventura si "vergogna di essere italiano", salvo poi comportarsi male e in modo corrotto in ogni campo. Sicuramente peggio dei suoi governanti. Ma, si sa, da noi la colpa, come lo sporco, è sempre degli altri.
Pieni di difetti, immoralisti di professione e da secoli, protestiamo, litighiamo, urliamo, facciamo casino, rubiamo, intrallazziamo, inquiniamo, truffiamo, piangiamo. E soprattutto, mafiosamente, "portiamo gli amici". Ma poi, la catarsi: vogliamo essere puniti. Le sculacciate sul sederino. Così passa tutto. Eh, apposta c’è il pentimento cattolico. La perfetta religione italiana. Che non vuole neanche praticanti. Che con la scusa del perdono, mette immoralmente sullo stesso piano la persona onesta e il mascalzone. Davvero, il cattolicesimo, se non ci fosse già, dovrebbero inventarlo gli Italiani.
Nazione femminile e infantile quante poche al mondo, abbiamo bisogno di disprezzarci. Di qui il classico tormentone da treno, il cui acme teatrale è sempre lo stesso: "Mi vergogno di essere italiano" (più di destra che di sinistra). Non ci credete? Lo dicono anche molti conservatori arrabbiati, lo scriveva - da par suo - perfino Montanelli. Di qui, anche, lo sparlare dell’Italia all’estero (più di sinistra che di destra, questo). Ma fa tutto parte di un'unica facies psicologica, direbbero i fantasiosi psicanalisti. Potremmo definirla la "sindrome della puttana moralista": lo fa, lo fa con tutti, e lo fa pure a pagamento. E mentre lo fa, gode addirittura. Ma dopo averlo fatto, si giudica male, si disprezza, cerca auto-umiliazioni, e desidera ardentemente d’essere punita.
Il problema, l’abbiamo detto tante volte, non è l’Italia, come dicono al Sud da quando non ci sono più i Borboni (prima con chi se la prendevano?), ma gli Italiani. E sono proprio quelli che si lamentano. Ma da chi abbiamo preso? ripeteva mia nonna. Dai Romani, no di certo. Chissà, forse è la componente greco-araba del nostro patrimonio genetico, quella lamentosa, polemica e inconcludente, che prevale su quella etrusco-romana? Probabile. Certo, il compiacimento per le sventure, vere o presunte, di quei fini analisti tuttologi che sono i "viaggiatori di treno" e i "frequentatori di sale d’attesa" è perlomeno sospetto. La crisi economica all’italiana? Che goduriosa caduta collettiva nel gorgo del Maelström. Sarà, ma più che l’estetica romantica di Poe, ci fa venire in mente Totò sulle montagne russe. Al lunapark di Milano. Crisi? Quale crisi? Questa è la manna. (Il segretario analfabeta di Niccolò Tommaseo)
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STATO E CHIESA: L’ANNO NON COMINCIA BENE
Ma siamo "laicisti", anticlericali, atei o nichilisti?
Come comincia l'anno nuovo? Con il Presidente della Repubblica, Ciampi, che dalla riva sinistra del Tevere, ricorda il carattere "laico" dello Stato. Detto da un vero cattolico liberale che va a messa tutte le domeniche, e dunque sa quel che dice. Ma dalla riva destra sembra rispondergli papa Benedetto XVI, che nel discorso di Capodanno comincia già a perdere qualche colpo delle sue raffinate munizioni filosofiche e condanna in un unico minestrone terrorismo, nichilismo e fondamentalismo. Ateismo, ci sembra, non l'ha detto. Vuol dire che è permesso essere atei?
Bah. E noi che l'avevamo tanto lodato, proprio perché intellettuale e professore. Come controparte liberale, dicemmo scherzando, l'avremmo preferito ad ogni comunicatore visionario e carismatico. E invece ci delude, Santità. Saranno stati i fumi di quel mezzo bicchiere di spumante tedesco del Reno con cui da astemio è stato costretto a brindare alla fine dell'anno, ma da lei proprio non ce l'aspettavamo che mettesse insieme cose così diverse. Sul terrorismo niente da dire, ma sul nichilismo è sicuro che esista ancora? La voglio aiutare. Se voleva dire senso critico e razionalità, non possiamo seguirla: sono la base del liberalismo. Che ormai è un valore condiviso. Anche da lei, sembra, che parla spesso di Ragione. Se invece voleva dire indifferenza per i Grandi Valori, negazione di ogni principio elevato, materialismo e consumismo, insomma il solito "vivi e lascia vivere" dell'uomo della strada, guardi che sono in tanti, forse la maggioranza degli uomini, ad essere così.
Ma c'è anche una coincidenza piccante, anzi inquietante. Mi permetto di ricordarle che il terrorismo islamico, che deriva appunto dal fondamentalismo - altro bersaglio del suo discorso - è motivato proprio dalla volontà anacronistica di estirpare questo maledetto materialismo di valori, questo non credere più in nulla, tranne che in Mammona, come proclamano quei matti della Jihad islamica compagni di Bin Laden. E allora, Santo Padre, non vorrà dirmi che sta con quel ricchissimo falso prete di Bin Laden. Anche perché lei, che già dei preti veri non pensa bene, sappiamo come giudica i mitomani in tonaca.
In quanto, poi, al fondamentalismo, il rischio è che non stia fuori ma dentro la Chiesa. Sta a lei - e chi meglio di lei - fare in modo che la Chiesa non ridiventi fondamentalista, com'era anticamente. Siamo stati noi liberali - ricorda? - a rompervi a tal punto le scatole (anche se voi ne avete bruciati parecchi dei nostri) da costringervi a diventare più liberali e a smetterla di esigere dalla società, dai riformatori, dai protestanti, dai non credenti, dagli atei, dagli ebrei, dai buddisti, quel rigore e quella coerenza cattolica che neanche i vostri fedelissimi asceti nei conventi riescono a praticare. E - lei che è intelligente lo sa bene - questa interiorizzazione dei valori cristiani da noi provocata ha fatto solo bene alla Chiesa. Ora perché si rimangia tutto e sembra voler imitare proprio i fondamentalisti islamici che a parole dice di voler contrastare? Per il principio di non contraddizione, chi è fondamentalista non può battersi contro i fondamentalismi. Per favore, Santità, lei che è intelligente, non pretenda dai suoi esternazioni, atti plateali, intromissioni nella vita altrui, esibizionismi da agone politico. Riscopra il segreto della coscienza e la virtù dell'umiltà. Torni al cattolicesimo liberale. (Don Minzioni)
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UNA SCRITTA SUL MURO DEL CIMITERO DI HAMMAMET
"A Betti’, che ti sei perso…"
Possibile che siano passati solo sei anni dalla drammatica morte in esilio di Craxi? Sembra una vita. Certo, che Bancopoli è molto peggio di Tangentopoli, in cui ci si dimetteva – "o nobiltade di cavalieri antiqui" – da segretari politici d’un partitino di Centro per modesti 50 milioni di lirette sottoscritti da una ditta come finanziamento politico. Roba da pezzenti rispetto ad oggi: basta solo considerare i 50 milioni (300 per altri), sì ma di euro, trovati su uno dei tanti conti esteri accesi da un manager compagno di politici della Sinistra. E a proposito di pezze al sedere con cui questi entrarono al Governo, come ripete Travaglio, vi risulta che chi ha goduto dei conti all’estero o in Italia, ma anche di finanziamenti, versamenti, accreditamenti, abbonamenti e collegamenti di favore da parte dei manager di cooperative e banche si sia almeno dimesso dagli incarichi? No? E allora perché nei primi anni ’90 quei "poveretti" tangentisti attivi e passivi (be’, veramente, come in tutti i rapporti contorti, c’era anche una terza categoria: i…contemplativi) erano dimessi d’autorità o toglievano il disturbo da sé? Ci fu addirittura chi si auto-inflisse un umile "lavoro socialmente utile", tanto voleva espiare. Ma i chiacchierati di oggi stanno ancora lì con grande faccia tosta. Allora ha ragione l’umorista Aldo Vincent:
Sopra la banca la ganga campa
Sotto la banca, la barca crepa
Davvero, parla al cuore la scritta che mani anonime hanno vergato in rosso sul muro del cimitero di Hammamet dove riposa Craxi, a sei anni dalla sua scomparsa: "A Betti’, che ti sei perso…" (Sciura Egle di Porta Tosa)
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FINTO MERCATO. CITTADINI VITTIME DI OLIGOPOLI E CORPORAZIONI
Macché utente, vince il prepotente
Ogni volta che arriva il rendiconto bancario a casa Ostellino – ha spiattellato lui sul Corriere - la moglie s’arrabbia. Spese assurde, spropositate, sempre più alte, per un servizio pessimo e in pura perdita per il cliente. E’ la storia dei nostri conti. Il fatto è che in Italia non c’è mercato libero nel sistema bancario. Cartello o oligopolio che sia, fatto sta che il cittadino utente correntista è isolato e indifeso davanti ai prepotenti delle Banche, senza libertà di scelta. Con clausole strangolatorie. Per chiudere un conto ormai inattivo da tempo alla Antonveneta ci sono voluti oltre 50 euro, e ci è andata pure bene. Alternative? Per ora c’è solo Bancoposta e qualche conto-investimento on line.
Nel suo editoriale Ostellino si incarica di sfatare la cinica leggenda diffusa tra tanti "neo-liberali" di complemento (di solito, ex-sinistri o ex-destri), che cioè lo Stato in un mercato libero debba dare sempre ragione al più forte. Al più forte, certo, ma rispetto ai suoi concorrenti, non nei confronti del consumatore. Che, ricordiamolo, è il vero re del sistema liberale, proprio come l'elettore. E invece? Pensiamo alle truffe, alla mancanza di trasparenza, alle clausole capestro, ai consigli dei "Borsini" bancari, alle sottoscrizioni Cirio e Parmalat, ai conti dei clienti di Fiorani.
Uno Stato che non difenda i diritti dell'individuo, ma solo quelli di coloro i quali si sono costituiti in comunità di pensiero e di interessi – scrive Ostellino - finisce con ubbidire a una concezione "comunitaristica" (e corporativa), non liberale, del proprio ruolo. Uno Stato che si limiti ad alzare il braccio del vincitore (il più forte), in un mercato senza regole, è la caricatura dello Stato liberale.
E sì, perché è vero proprio il contrario di quello che molti pensano: nel sistema economico liberale, quanto più forte (cioè bravo, efficiente, capace di economie nei costi e di prezzi più bassi) è il vincitore della gara di mercato, tanto più "debole", cioè vicino, apparirà agli occhi del cittadino compratore di beni e servizi. Altrimenti saremmo nel solito monopolio (oligopolio, cartello, prezzi politici, rendita di posizione ecc). Un esempio? La Telecom, efficiente e a bassi prezzi in Francia, dove è costretta dalla concorrenza, ma strafottente, inefficiente e costosa in Italia, nonostante i ricavi stratosferici accumulati negli anni, tanto che neanche l’Adsl riesce ad assicurare a tutti i Comuni. Cattiveria? No, è perché qui è in posizione di monopolio di fatto e per legge, e perciò mantiene prezzi esosi e tartassa i cittadini. Evviva la libertà: di uno solo. Come diceva quella famosa battuta? Non è vero che il fascismo era illiberale. Mussolini era liberissimo, molto più libero di Giovanni Amendola, per esempio. Buona questa. Alla Storace. (La serva scialacquona di Adam Smith)
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DOPO L' "ABORTIRAI CON DOLORE"
Papale, papale. Contro lo Stato e le donne
E poi se la prendono con l’Islam. Una giovane donna musulmana aveva scritto un po’ risentita a Salon Voltaire dopo la nostra nota sulle stragi provocate dal fanatismo religioso alla Mecca. "Quando ci sono di mezzo gli islamici – diceva in sostanza – subito si pensa al fanatismo, al fondamentalismo". Cara amica, la Chiesa cattolica non è da meno, per esempio in sadismo e odio verso le donne. Vedi l’episodio della doppia gaffe in Vaticano. I tre amministratori di Sinistra (Veltroni, Marrazzo e Gasbarra) si saranno resi conto dell’errore fatto andando in udienza dal Papa? E’ vero che "Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia", ma non c’è peggior ovino di quello elettorale.
Erano andati a rapporto – pensate un po’ – sulle misure intraprese "in favore della famiglia". E il Papa, da intellettuale semplice, ha capito che su quel terreno, con quei politici "venuti a Canossa", sia pure per propaganda, poteva osare. E ha fatto non una, ma due gaffes enormi. La prima con un’intromissione politica nelle questioni italiane, come capo di Stato straniero, visto che non si trattava di un’omelia religiosa. La seconda con un pensierino quasi sadico che dovrebbe ripugnare a qualsiasi cittadino europeo e occidentale.
Sulla pillola abortiva RU486, che permette di evitare il trauma chirurgico e psicologico dell’aborto – ma non un certo dolore, a quanto pare – ha esortato i politici ad "Evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell'aborto, come scelta contro la vita". In altre parole, la donna che vuole abortire, almeno sia terrorizzata psicologicamente dai ferri del chirurgo e dalla degenza in ospedale. E così, le altre donne ci penseranno due volte prima di abortire. Santità, ce lo dica ad un orecchio, ma è proprio sicuro di andare in Paradiso? (Eleonora Pimentel, dattilografa)
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DA UN CONSIGLIO NAZIONALE UNA MOZIONE CHE VOLA ALTO
E noi vogliamo lo "Stato minimo"
Un Partito liberale, in Italia, ha senso solo se fa una politica radicalmente alternativa a quella che accomuna quasi tutti i partiti di entrambi gli schieramenti. Nessuno di questi, ad eccezione di quelli comunisti, ha programmi di netto cambiamento o mette in discussione quello che in Italia, ma non solo in Italia, è un dogma: lo Stato sociale. Le differenze ci sono, ma distinguono solo chi vuole accrescere l’interventismo statale, e chi lo vuole ridurre. Nessuno, però, lo contesta alla radice, ne mette in discussione le ragioni e gli effetti che produce, soprattutto quelli che vanno a danno della libertà individuale. Anche le forze politiche che dichiarano di attingere alla tradizione liberale, hanno mostrato di cadere in contraddizione, e di non volere scalfire il modello di Stato e di società prefigurato dalla Prima parte della Costituzione, ma già in parte pre-esistente, se si considera che è proprio con il fascismo che nasce in Italia lo Stato come siamo abituati a considerarlo oggi, e cioè complesso apparato amministrativo ramificato in ogni regione del Paese, pervasivo ed invadente.
Con questo bell’incipit si apre la mozione presentata da Andrea Ciandri all’ultimo Consiglio nazionale del Pli, in opposizione alla ventilata alleanza elettorale con la Nuova Dc di Rotondi. Ma la contingenza banale viene superata e, già che c’era, il suo autore decide di volare alto, fino quasi a delineare una piattaforma d’un nuovo liberalismo integrale fondato sullo "Stato minimo", individualista, liberista e laico. Molto anglosassone. Poco hegeliano. Come piace a noi, insomma. E la prima parte della mozione così continua:
"Un partito che vuole essere veramente liberale deve avere oggi, nel proprio Dna, una concezione dello Stato liberale, ovvero dello Stato minimo, limitato e funzionale all’individuo. Da questa concezione che deriva dall’individualismo, consegue quella della politica come entità residuale rispetto al mercato, perché ad essa spetta solo garantire la protezione dell’individuo dalla violenza altrui, la tutela di coloro che per cause a loro non imputabili (orfani, invalidi, ecc.) non sono capaci di badare a se stessi e di competere con gli altri nel perseguimento dei propri interessi, e la regolazione – mediante il diritto – dei conflitti individuali. Lo Stato liberale (nella sua accezione più ampia, comprensiva di tutte le sue articolazioni) è quindi prima di tutto uno stato "leggero", che costa poco ai contribuenti, che svolge poche e limitate funzioni, più o meno riconducibili all’erogazione di quelli che in economia politica sono definiti beni pubblici, quei beni cioè (ad es. strade e illuminazione pubblica) caratterizzati dalla non-escludibilità e dalla non-rivalità, perché non è possibile escludere alcuno dal loro godimento, e non sono oggetto di rivalità tra i consumatori, proprio perché tutti vi possono accedere.
Lo Stato liberale è poi uno Stato laico, ovvero che cioè non fa propria e non impone una determinata visione etica ai consociati, garantisce la libertà religiosa, è neutrale nei confronti delle confessioni religiose esistenti.
Lo Stato liberale ha il dovere di fornire ai consociati un sistema giustizia efficiente, nel quale investire percentuali di risorse maggiori di quanto non faccia adesso, perché uno Stato minimo concentra le risorse in quelle poche e irrinunciabili funzioni per le quali esso esiste. Uno Stato liberale è garantista ma non perdonista, persegue i reati in un’ottica retributiva e non rieducativa, perché lo Stato che educa e rieduca è lo Stato etico, che impone al cittadino un dovere di solidarietà sociale dal quale deriva un trattamento penitenziario di tipo rieducativo, finalisticamente orientato al recupero del condannato secondo i valori dominanti nella società, in vista del suo reinserimento sociale. Della riforma dello Stato sociale parleremo nel prossimo numero. (Lo stalliere di von Hayek)
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L’EMERGENZA COPPIE DI FATTO VISTA DAI LIBERALI
Libertà e nuovi diritti soggettivi. Con giudizio.
"Ti presento Daniela, la mia compagna". Vi ricordate i "compagni che sbagliano"? Ora è la moda dei "compagni che coabitano". Molto meno dannosi, convenitene. Anche perché non è detto che siano compagni in senso politico, anzi. Sono le coppie dei tempi moderni, per lo più borghesi, di chi è rimasto alternativo per una vita, di destra o di sinistra che sia, e non vuole smentirsi neanche con i capelli bianchi, la pancia e il doppio mento. Oppure di chi ha paura che l’unione si sciolga, e non vuole restare stritolato dalle trappole giuridiche, dalla lunga trafila della separazione e dalle spese del divorzio. Colpa del legislatore italiano, che ha scritto una legge punitiva per i cittadini, specialmente maschi.
Non gli piace essere chiamati "marito" e "moglie", guai, ma il loro è matrimonio, altroché. Perché questo nasce dalle più antiche società spontaneamente: non l’ha certo inventato la Chiesa, che è sorta solo 2000 anni fa, e che, anzi, ha praticato e propagandato il celibato, non il matrimonio, come l’unica condizione di purezza e santità. E se qualcuno l’ha regolato e ritualizzato fino a farne il fondamento della nostra società (p.es., nella forma della confarreatio, con il dono a Giove del pane dolce di farro, il libum farreum, che però poi si pappavano sacerdoti e loro domestici), questo semmai è il popolo dell’antica Roma, col diritto, insomma la civiltà etrusco-romana.
E ora? Riconoscendo effetti giuridici civili e amministrativi a questo matrimonio spontaneo, anche uno scemo capirebbe che si estende, non si limita, la forma matrimonio. La Chiesa sbaglia, dunque, anche nel merito, oltre che nella forma, cioè nell'intromissione illegale nella politica italiana. Perché ci saranno più matrimoni, paradossalmente, non meno. E, ripetiamo, che voce ha in capitolo la Chiesa, che ai suoi sacerdoti vieta il matrimonio "base della società" e prescrive il celibato? Pazzie ecclesiastiche. Ed è grave che Destra e Sinistra la stiano a sentire, solo per motivi elettorali.
Quante sono, poi, in Italia queste coppie di fatto? Siamo lontani dai 2 milioni e mezzo di coppie della Francia. Un’indagine Istat del 2002-2003 ne ha stimate 564mila. Magari, come sempre accade nella realtà italiana, saranno 200mila in più. Ma certo un numero limitato. Insomma, un milione e mezzo di cittadini ha scelto di convivere more uxorio – come dicono i preti – praticando la forma naturale, atavica, di matrimonio, senza alcuna registrazione. Ma la tendenza è in crescita: perché all'inizio degli anni '90 queste unioni spontanee erano appena 200mila, soprattutto nel centro-nord e nelle grandi città. E si calcola che non più di 15 o 20mila saranno le richieste di regolarizzazione, quando sarà approvata la legge, attraverso i "patti di convivenza civile" riconosciuti dallo Stato.
Il loro riconoscimento, come eventualmente quello di coppie dello stesso sesso, è un tipico processo liberale. Intanto, come in tutte le istituzioni liberali, non si inventa nulla, ma si riconosce una realtà di fatto, sociale, preesistente. In tal modo si delineano nuove libertà e in conseguenza si riconoscono nuovi diritti soggettivi. E sì, perché in quanto ai vecchi diritti o alle vecchie libertà, li riconoscono – talvolta di malavoglia – anche conservatori, comunisti, fascisti, cattolici (o islamici) integralisti. Per sé, naturalmente. Solo i liberali, invece, cercano, trovano, riconoscono sempre nuove libertà. Inoltre, a differenza dei primi, i liberali questi nuovi diritti non li riconoscono "per sé" o per una classe o corporazione, ma "per tutti gli altri", per chi la pensa in modo diverso, talvolta per gli eccentrici, gli originali.
Non si pensi che un liberale debba per forza essere ateo, nudista, divorzista, abortista, vegetariano, gay, amante del jazz o convivente. Ma deve permetterlo a tutti gli altri, liberamente, in modo paritario e col massimo dei diritti (non più solo "tollerare", per dirla con i primi liberali del 700). Un liberale deve poter avere la libertà, magari solo virtuale, teorica, tra le mille possibili soluzioni. Come in un supermarket, vogliamo che ci siano tutti i prodotti. Poi, magari, ne acquisteremo uno solo, o nessuno.
Non facciamoci distrarre dal colore e dai cortei provocatori di poche migliaia di coppie gay che colgono l’occasione per esibirsi e ritrovarsi in una specie di festa. Sarebbe un grosso errore. Anzi, l'ultimo corteo a piazza Farnese, a Roma, ha confuso ancor più le idee già confuse in testa alla gente, confermando il luogo comune sbagliato che i "pacs" siano riservati per lo più alle coppie omosessuali. A proposito, sapete che esistono - per fortuna - anche i Gay Lib? Stiamo dappertutto, noi liberali, volevo dire. Anche se la libertà per noi liberali non è mai la nostra, ma è sempre quella "degli altri", dei "diversi", dei "bisognosi", dei "casi particolari". Sempre allo scopo di estendere il numero e l'ampiezza delle libertà e dei diritti per tutti, purché ciascuno accetti un piccolo limite. Insomma, il solito ben collaudato, meccanismo inventato dai liberali. Comunque, è ormai è chiaro dalle proiezioni, non saranno certo i gay a costituire il nucleo più numeroso dei richiedenti la tutela giuridica del patti di civile convivenza. In realtà il problema sociale sono le centinaia di migliaia di coppie eterosessuali, spesso anziane e non abbienti, che a parità di vita in comune non godono della tutela giuridica del matrimonio riconosciuto. Ed è una realtà spesso desolante, molto meno gaia di quella gay.
E’ vero, nessuno li ha costretti a convivere liberamente per tanti anni, sono loro stessi che lo hanno voluto. Ma ora, invecchiati, si trovano alle prese con eredità, imposte, burocrazia, pensioni, reversibilità, visite in ospedale, ecc. Qualcuno ha obiettato sventatamente: "Ma un vero liberale non chiede riconoscimenti allo Stato. Bastano patti privati". E allora un vero liberale non dovrebbe sposarsi in Comune o in Chiesa: è il massimo del rito pubblico, riconosciuto dallo Stato. Noi liberali non amiamo i riconoscimenti statuali, ma nel nostro ordinamento i patti privati purtroppo non valgono per l’eredità, la pensione di reversibilità o per far visita a malati o carcerati. E dunque, che facciamo: eliminiamo la funzione pubblica del matrimonio rituale (in Comune o in chiesa) oppure diamo il riconoscimento, con le dovute cautele e con giudizio, anche a quello di fatto? (Il cantiniere astemio Bottino Ricasoli)
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LA RIVISTA DI GOBETTI SUI CATTOLICI "LIBERALI"
"Liberali" con riserva mentale. E dove conviene.
"Questi cattolici che accettavano il nuovo regime [degli Stati liberali, alla fine dell'Ottocento, specialmente in Francia e in Italia, NdR] si dicevano cattolici liberali; ma nel senso circoscritto che accettavano la libertà di coscienza, di stampa, di associazione e di riunione, e il regime rappresentativo, subordinatamente ai diritti della Chiesa e della morale cattolica; e cioè, non come dogmi assoluti, sibbene come condizioni contingenti, di fatto; e rigettavano la neutralità statale, la separazione della Chiesa dallo stato e tutto il teleologismo atomistico del liberalismo. Si dicevano liberali, insomma, perché accoglievano gli istituti pubblici che andavano sotto il nome di liberali, ma rifiutando il liberalismo economico e filosofico". Igino Giordani, I Cattolici liberali (La Rivoluzione Liberale, diretta da Piero Gobetti, a.IV, n.14, 1925). (Il confessore gesuita di Angelo Brofferio)
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CRISI ENERGETICA. DAL NO AL NUCLEARE AL SI’ A CHE COSA?
Il fanatismo d'oggi è peggio delle paure di ieri
Ma lo sapete che solo per l’uso stupido e sistematico dello "standby", la lucetta rossa di attesa negli apparecchi che sembrano spenti, ma pronti a svegliarsi al primo clic con la pulsantiera dalla poltrona, si è calcolato che solo in Gran Bretagna ben due centrali elettriche bruciano petrolio 24 ore su 24 producendo 7 miliardi di kilowattora e inquinando come migliaia di aerei (800mila tonnellate annue di anidride carbonica)? Lo studio è stato sollecitato dal deputato Norman Baker, responsabile dell’ambiente del Partito Liberaldemocratico.
Putin, l’Iran, i Paesi arabi fanno il loro mestiere, ricattando il mondo col petrolio e il gas. Ma la crisi energetica è sempre colpa nostra, di noi consumatori, almeno per il 20 per cento. Certo, così non possiamo più andare avanti. Va in bagno l’addetto ai monitor d’una centrale nucleare in Slovenia, fa la pausa caffè un ingegnere d’un elettrodotto in Svizzera, c’è un colpo di Stato in Algeria, urla invettive antisemite il dittatore teocratico in Iran, litigano Russia e Ucraina sul gas metano (e un domani potrebbero litigare con noi, come altri Paesi fornitori) e gli italiani tremano dalla paura, pensando a quanto in futuro potrebbero tremare dal freddo. Ma nessuno vuole vicino a casa impianti energetici di alcun tipo, non parliamo poi delle scorie nucleari, magari sanitarie, che loro stessi hanno prodotto: vedi la vergogna di Scanzano Ionico.
Dice: ma almeno le nuove generazioni. Macché, i più ottusi e reazionari sull’energia sono proprio gli studenti. Con i no-global e i movimenti estremisti, e gli infiltrati nel movimento dei Verdi, i giovani ormai, se "danno la linea" sull’energia, la danno reazionaria e precauzionista manco fossero vecchine che escono di sacrestia. Eppure col chiasso che fanno, fanno opinione, scrivono su Internet, diffondono leggende metropolitane e contro-informazioni pseudo-scientifiche. Organizzano comitati che ricattano i sindaci e perfino i parroci delle zone depresse (Sud, Val di Susa ecc). Povero Piero Gobetti, che affidava ai giovani, nientemeno, la Rivoluzione liberale. Qui neanche la Manutenzione tecnologica ed energetica ci fanno fare. D’altra parte, l’eolico in Italia è distruttivo del paesaggio (e non rende, v. famosa inchiesta di Der Spiegel), il solare per riscaldare almeno l’acqua sanitaria stranamente non è usato, non solo sui tetti dei bellissimi centri storici – dove stonerebbe – ma anche sui milioni di brutte e squallide nuove casacce che gli italiani arricchiti con le pensioni abusive e i lavori in nero hanno costruito ovunque. Che resta per produrre tanta energia in Italia?
Dice: ma proprio tu parli, che pur essendo liberale ultrà, votasti come ecologista ultrà – lo hai confessato – contro il nucleare nel referendum del 1987? Vero, litigai con i "compagni" rossi che in realtà col loro no votavano contro il capitalismo, e con gli "amici" cattolici che volevano dire no all’Apocalisse e al progresso laico. E mi ritrovai vicino ai "compagni" radicali, che almeno lo fecero per rilanciarsi politicamente, e un po’ di scienza l’avevano consultata. Che dovevamo fare, Signori della Corte? Io ero e sono scientista, oltre che naturista (che è un grado superiore, più coerente, di ecologista…), e la scienza allora dava le centrali tipo Chernobyl come molto insicure, e perfino nella nostra America, signori Giurati, era successo il casino della centrale di Three Miles Island. E lì non giocavano a carte, né avevano disattivato i controlli "per essere più tranquilli", come i tecnici russi.
Oggi, per fortuna, tutto è cambiato ("Sì, la tua testa", dirà il lettore malevolo, sbagliando). La tecnologia della sicurezza e le tecniche di costruzione e gestione degli impianti nucleari sono migliorati molto. Di fronte all’inquinamento generale ormai insopportabile, proprio per ragioni "ecologiche" il nucleare merita attenzione. I tempi di costruzione d’una centrale si sono ridotti di molto. Quello delle scorie, in un paese di montagne, non dovrebbe essere un problema, se i soliti gruppetti politicizzati non si buttano come falchi ad aizzare le popolazioni locali. E soprattutto lo vogliono l’economia e il buon senso, visto che paghiamo molto di più l’energia nucleare che producono Francia, Svizzera e Slovenia appena fuori dell'Italia. E tutti ormai hanno capito che, fuori o dentro i confini, il rischio è lo stesso. (Alessandro Volt-Ampere, operaio all'Enel)
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NESSUNO PARLA D’UNA GRANDE RIFONDAZIONE
Liberali del Pli tra nostalgia e memoria. Di che?
Avete presenti certi giovani nati vecchi? Hanno un'aria inutilmente calma, posata, lenta, compassata. Grave, direi. Senza per questo essere granché. Magari quell'aria lì la usano per chiedere al salumiere: "Vorrei due etti di prosciutto, ma che sia magro, m'ha raccomandato la mamma". Ma di loro i papà degli amici hanno un'ottima impressione: "Un ragazzo serio quel tuo amico". Come a dire: tu invece...
Ecco, quando eravamo giovani liberali il PLI era così. Se salivi le scale di via Frattina e mettevi il naso dentro qualche stanza ("Oh, mi scusi tanto...") inseguito da un sospettoso Piccio Crepas - un impiegato così liberalmente snob che considerava tutti gli iscritti al partito dei liberali infiltrati, a cominciare dal Segretario generale - intravvedevi signorili uomini di mezz'età, fronti ampie, capelli sempre troppo corti, cravatte di lana grezza stile inglese, scarpe robuste e ben fatte come si addice a dei farmer che di tanto in tanto, pur elegantemente vestiti (ma d'una eleganza sobria, veh) potrebbero da un momento all'altro far visita al fattore in Scozia o in Valtellina per controllare il silos dell'avena o del saraceno. Eh, sì, come mi piacevano quelle scarpe mai viste, forse comprate in Regent street, a Londra.
Belle facce, parole elevate, si capiva che quella gente non era lì, come i volgari comunisti, socialisti, democristiani e missini, per rubacchiare con l'inganno un voto, se non addirittura dei milioni d'allora. Nei discorsi partivano sempre da Croce, Einaudi, Risorgimento, dicevano cose che - sant'Iddio - avrebbero convinto anche i gatti, tanto gridavano signorilmente vendetta, ma poi, quando erano ormai faticosamente arrivati all'età contemporanea, alla politica in corso, molti degli spettatori se n'erano già andati, distrutti. E così, le cose da fare per il futuro, le proposte, non le ascoltava, né forse le diceva mai nessuno.
Pensavo a quella lentezza antica, a quella nobiltà inutile, a quella grandiosa gravità senza idee, quando si ricostituì lo scorso anno il Partito liberale italiano. Di nuovo belle parole, un bel segretario politico dalla faccia nobile e per bene, un vero liberale insomma. Ma il "fare", il permettere agli altri di fare, l'immagine, le nuove idee, la polemica politica, la propaganda tra la gente, la psicologia politica, l'arte della comunicazione, l'ufficio stampa, l'organizzazione di segreteria politica, il confronto quotidiano con gli altri partiti e i giornali, i programmi da realizzare entro un mese, un semestre, un anno? Nulla. Ma non un nulla vuoto, che sarebbe stato possibile riempire, piuttosto un nulla mobile, gattopardesco, che si rinnovava sempre di nuovi, apparenti, labili, contenuti. E che quindi impediva anche al più volenteroso di intervenire, di dare una mano, in cambio d'un "grazie". Nulla, e neanche il grazie arrivava ai rarissimi che una volta tanto collaboravano.
Fuori, intanto, tutti si definivano "liberali", il 40 per cento degli italiani non si sentiva rappresentato né dalla Destra né dalla Sinistra. E davvero anche un marziano avrebbe capito che i liberali non potevano essere meno del 30 per cento in Italia, Paese europeo, occidentale, sviluppato, dopo la caduta del comunismo, e la diffusione del mercato e delle regole di concorrenza tra la gente. E invece? Dentro il PLI silenzio e immobilismo come vent'anni fa. La finzione snob di essere pochissimi, una "frangia", anche se muta e immobile. La retorica degli "ultimi giapponesi". Il masochismo voluttuoso, eroico ed erotico, dello 0,3 per cento. Comodo, no? Per poter continuare nel non far nulla accidioso e meridionale. Per non dover affrontare la concorrenza di altri leader liberali ben più preparati, giovani, grintosi e vincenti che si affacciavano nel Paese. "Meglio quattro gatti sfigati e provinciali - deve essersi detto qualcuno - così nessuno mi farà le scarpe..."
E sono continuati i bei discorsi. E come sempre, addormentati dalle acute analisi politiche e dall'oratoria avvocatesca di De Luca, un vero liberale del resto, quasi impossibile da criticare per quello che diceva, pochi ascoltatori resistevano fino alla fine. Tanti, dei pochissimi, se ne andavano. Che fare? Nulla. Perché nulla era previsto che si facesse. E che, un partito, specialmente se liberale, tanto più se vuole reincarnarsi nell'ombra del vecchio PLI, Grande e Nobile Partito già defunto prima di scomparire, deve forse "fare qualcosa"? Abbassarsi al servile lavoro politico? Macché, è solo il partito della Memoria. Altro che appelli ai cittadini per una grande rifondazione liberale. Ci si accontentava, tutt'al più, di implorare non una poltrona, ma uno strapuntino, alla Casa delle libertà.
Infatti, un giorno, telefonando a un amico d'un amico, scoprimmo che il Gattopardo "pur non facendo nulla faceva tutto lui". E molto intensamente. Come ci aveva riferito un terzo amico, aveva incontrato alla buvette di Montecitorio il tale politico di Forza Italia, uno di quelli che sanno tutto e hanno sempre le mani in pasta. Anzi no, disse un altro, aveva visto uno del nuovo o vecchio Psi, o meglio, un vecchio amico repubblicano. Macché, tutte voci infondate, disse un quarto, giornalista all'Opinione. In realtà aveva inciuciato con un tale, sedicente segretario della "nuova Dc", tale Rotondi, politico sconosciuto ai più. E lì per lì di fronte alla tazzina di caffè aveva deciso un'alleanza strategica o tattica per presentarsi uniti alle elezioni. Ah, bene, cioè male. Ma allora che si fa? Come sempre: nulla. Al massimo si comunica l'Alta decisione, a cose fatte, agli amici del Consiglio nazionale del PLI. Così, per una ratifica ex-post, come si faceva nel 700 nei governi retti dalle costituzioni octroyeés. Figuratevi i liberali di base, incavolatissimi.
Meno male che all'ultimo, sia i neo-neo-neo-socialisti, sia i neo-neo-neo-democristiani (la Prima Repubblica, si sa, ha lasciato molti nei) si sono guardati negli occhi e hanno esclamato all'unisono: "Ma chi sono questi del PLI? Che vogliono, chi li conosce, che hanno fatto finora?". E così, caduto il castello di carte, purtroppo il Segretario-Gattopardo, ancorché vero liberale, se ne è tornato al Consiglio con le pive nel sacco. Minchia, eppure era convinto che per fare politica in stile Prima Repubblica non bisognasse fare proprio nulla, zero propaganda, zero attività politica, sede inattiva tutto il giorno, e bastasse solo incontrare gli altri politici al caffé. Vabbé, sarà per un'altra volta.
Per "fortuna", si consolano ora nella base liberale, l'abbiamo scampata bella. E sì, perché, anche se virtuale, un po' ci sarebbe dispiaciuto che un'etichetta col nome PLI si fosse imbarcata in qualche buffonata. Ora sì, caro Segretario-Gattopardo, che siamo d'accordo con la tua filosofia: meglio che fai tutto tu, senza fare nulla, s'intende. Promesso? Cambiare perché nulla cambi. Come sempre, del resto. Viva Croce, Einaudi e il Risorgimento. (Articolo pubblicato anche dal quotidiano L’Opinione, domenica 22 gennaio) (La colf rumena di Villabruna)
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NON C’E’ SOLO IL TERRORISMO, C’E’ ANCHE IL FANATISMO
Schiacciati per Allah. Ma la vergogna vera è un’altra...
Guai a banalizzare o a cadere nel tranello della logica apparente. Non cediamo alla suggestione dell’attualità, della "curiosità di cronaca", come cinicamente dicono i giornalisti. L’abituale strage annuale di vite umane, vite incolpevoli, vite musulmane, durante l'ultimo giorno dell'haj, il tradizionale pellegrinaggio alla città santa della Mecca, dove la ressa di due milioni di pellegrini quest’anno ha provocato 350 morti e oltre 1000 feriti, non è la conseguenza più grave o più scandalosa del fanatismo e dell’irrazionalità, ma anzi la più piccola e più lieve. Il male più profondo e vasto, infatti, è ben altro. La credulità popolare, sapientemente alimentata da chi in ogni parte del Mondo dalla religione come rito di massa e messinscena trae profitto sotto forma di potere e guadagni, utilizzando crudelmente l’uomo come mezzo, è già di per sé strage di coscienze, distruzione di verità, morte dello spirito, umiliazione della dignità dell'uomo e della donna. Chi conterà mai tutte le menti ottenebrate, i terribili guasti psichici, le orribili depravazioni, le decisioni folli, i delitti, che il fanatismo, e in particolare quello di alcune religioni monoteiste, ha prodotto? E dire che in origine si accusavano di crudeltà i pagani: oggi, anche guardando all’antica Roma, ci appaiono i più saggi. (François Marie Arouet, prof di francese a Ceccano)
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GRATTA GRATTA, LA SOLITA SINISTRA ANTISEMITA
Comunista anti-Israele si scopre ebrea. In ritardo
E’ duro, ancora oggi, essere insieme di sinistra ed ebrei. A confermarlo è stata la scrittrice Clara Sereni, che si è sfogata sull’Unità. Preconcetti, luoghi comuni stupidi e triti, un antisemitismo strisciante e ironico, che si pensava fossero tipici degli strati popolari meno colti, sia a Destra che a Sinistra, la Sereni li ha ritrovati pari pari in una cena tra "coltissimi" intellettuali e militanti della Sinistra. Si andava dalla battuta cretina sulla "lobby ebraica" che governerebbe le banche mondiali, la "chiusura" a chi non nasce ebreo perché non si può convertire, la nascita dello Stato d’Israele per "volontà imperialistica" degli Stati Uniti", là dove c’era in precedenza lo "Stato Palestinese". O no?. Il pranzo è finito ovviamente con un’accesa discussione.
Ma era solo il primo incidente. Secondo episodio increscioso, al congresso della Cgil (buoni quelli) dove la Sereni è stata presentata non a caso come "ebrea e scrittrice". "Ho parlato delle mie preoccupazioni per lo svuotamento della democrazia in Israele e un sindacalista arabo si è messo ad urlare perché per lui in Israele non c’è democrazia ma il sionismo, che in realtà è stato anche altro". "In tanti - spiega la Sereni - pensano che un tempo c’era uno Stato di Palestina libero che il perfido sionista schiacciò nel sangue.
Ora alla Sereni rispondono Giorgio Israel e Deborah Fait, che la sistemano. La Fait, si sa, non pesa le parole e fa bene. E perciò ci piace: per noi è un punto di riferimento nel giornalismo di commento dell'area ebraico-israeliana. E ora commenta su Informazione Corretta con parole forti. "Il mio primo pensiero - scrive la Fait - nel leggere la lettera di Clara Sereni "La colpa di essere ebrea", e' stato: "questa non ha capito niente", e il primo impulso e' stato di rabbia, sdegno e sconcerto. A Clara Sereni ha risposto Giorgio Israel, che deve aver provato piu' o meno le mie stesse sensazioni, poiche' a un certo punto della sua lettera ha scritto " Clara Sereni è in stato di catalessi da qualche decennio. Precisamente dal 1967, da quasi quarant’anni." Si, in effetti, dalle cose che scrive, puo' sembrare che la signora Sereni sia stata in letargo per una quarantina d'anni ma il mio timore invece e' che sia stata ben sveglia, sveglissima e che abbia condiviso la politica comunista dal 1967 in poi nei confronti di Israele, politica di odio antiebraico, per molti di noi difficile da dimenticare e da perdonare.
Per la prima volta anche Clara Sereni si e' resa conto di essere considerata diversa, nel momento in cui e' stata presentata come "Clara Sereni, ebrea e scrittrice". Cioè, sì comunista, sì di sinistra, sì kompagna, sì scrittrice, ma, ahinoi, anche ebrea! La reazione, a quanto pare, e' stata devastante, poiche' ha convinto la scrittrice della necessita' di scrivere una lettera pubblica in cui si legge il dolore per essersi resa conto di non essere mai stata considerata "kasher' dagli esponenti del suo partito e del suo sindacato semplicemente perche' "ebrea", quindi facente parte del popolo che, secondo il pensiero distorto e razzista dei comunisti o ex comunisti, ha scacciato i palestinesi dalla loro terra. Il credo di Clara Sereni, che lei non denuncia ma continua ad esaltare, fa parte di quella ideologia che ha sempre condannato Israele in quanto Terra del Popolo Ebraico, che ha giustificato la barbarie dei palestinesi, che ha deformato e negato la verita', e che e' stata complice dei palestinesi quindi corresponsabile delle sofferenze di Israele aggredita, non solo da guerre esterne, ma dal terrorismo del piu' grande mistificatore della storia, terrorista e ladro che fu Yasser Arafat" . Queste le dure parole della Fait, che noi condividiamo in pieno. (Sarah Veroli, commessa in via Ottaviano)
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L’INQUINAMENTO DELLA POLITICA NELLA FINANZA
Le pezze al sedere: moralisti contro immoralisti
Al teatro romano Ambra Jovinelli, famoso per l’avanspettacolo o varietà leggero che laureò Totò e tanti altri attori comici, si presenta il libro di Marco Travaglio e Peter Gomez Inciucio - Come la sinistra ha salvato Berlusconi , edito dalla Bur. Nel corso della serata – riferisce Paolo Conti sul Corriere – prende la parola Paolo Flores d’Arcais: "Gramsci diceva che la verità è rivoluzionaria, non che la rivoluzione usa la verità come gli pare. I nostri post-comunisti, invece di rifarsi alla nobile tradizione gramsciana, hanno un riflesso condizionato verso il comunismo francese, il più stalinista d’Europa: non si parla dei propri errori per non fare il gioco del nemico. Ma Consorte ha messo da parte 50 milioni di euro. E ai tempi di Tangentopoli un miliardo di tangenti era uno scandalo... qui sono cento miliardi per una consulenza". E ancora, rigirando il coltello nella piaga dei Ds: "Nell’orizzonte della sinistra non dovrebbero mai comparire insieme "Svizzera" e "conti cifrati". Allora era tutto vero: "Sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al sedere e ne sono usciti ricchi" (diceva Travaglio del governo D’Alema due anni fa). E ora aggiunge: "Se confermo le mie parole del 2004? Tutte. Con l’aggiunta di qualche nome. Adesso si conosce il giro dei soldi e dove sono stoccati". I 50 milioni di euro di Consorte? "Certo. Ma penso anche a Gnutti. La banda è cominciata lì, con Telecom. Non avevano né arte né parte, adesso hanno i soldi che gli escono dalle orecchie".
A noi liberali questi siparietti ci fanno ridere: altro che scontro edificante tra Partito della Corruzione e Partito della Morale. Li vorrei vedere i Travaglio (che mi dicono culturalmente di destra) e i Flores (che mi dicono culturalmente di sinistra) al Governo. Farebbero ancora peggio. Perché senza liberalismo diffuso, la corruzione vera, la mancanza di trasparenza e di alternativa, pervade sia gli uni, sia gli altri. Che diventano solo attori mediocri d'un teatrino illiberale. Divertenti, no?, questi moralisti di professione che si scagliano uno contro l'altro per strappare un applauso, vendere un libro, o guadagnare mille voti in più. Essere "virtuosi" significa anche essere attaccati da chi recita da "più virtuoso" di te. Visto che i ruoli anche nel teatrino della politica si possono imparare a memoria. A questo non avevano pensato i Ds, come anche i Margheritini. Accusa, accusa, e vedrai che qualcuno più furbo di te un giorno accuserà te. Ma si può anche dire come il popolino di Roma un tempo: "Qua er più sano ci ha la rogna". (Ernesto Martini & Rossi, barman a Ventotene)
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E' COSI’ DIFFICILE UN'ECONOMIA LIBERISTA?
Tremonti solo davanti alla porta: sbaglia il rigore
Ogni Paese ha i ministri che si merita. Prendiamo il caso di Tremonti. E' stato bravo, intelligente, "creativo", ci è anche simpatico, ma in economia non è propriamento quello che si dice un liberale. Del resto è nato come consulente e studioso nei Governi di Sinistra, e crediamo che nell'intimo un po' socialista lo sia ancora. Nell'intimo? Anzi, apertamente, ne fa fede il suo ultimo libro, in cui se la prende col "mercatismo" quasi fosse il vice di Bertinotti, e tutta la sua più recente politica alla Colbert, favorevole ad un certo dirigismo, all'intervento e alla supremazia dello Stato. Altro che "laissez faire". La sua difesa della quota privilegiata (golden share) in mano allo Stato nella proprietà degli Enti e delle aziende finto-privatizzate ne è l'ultima prova.
Non so se lo avete visto in tv, a "Porta a Porta". L'Istituto Bruno Leoni, molto rigoroso sulla libertà del mercato, fa notare giustamente - visto che i tanti "liberali" italiani tacciono - che non c'è nulla di liberale nella difesa della golden share da parte del ministro Tremonti nella trasmissione tv sulla privatizzazione e sul cambiamento degli assetti proprietari di 'Telecom'. Secondo Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL, nella polemica contro Massimo D'Alema il ministro dell'Economia Tremonti, pur potendo farlo, non ha segnato un punto a suo favore quando ha accusato il presidente dei Ds di non aver fatto ricorso alla golden share per bloccare la scalata alla Telecom: e questo perché si tratta di uno strumento tipicamente dirigista e del tutto incompatibile con le logiche di mercato.
Insomma, non fare uso della golden share "dovrebbe essere semmai un punto d'orgoglio, per chi pur essendo al governo voglia essere rispettoso dei comportamenti del mercato". Per Mingardi, "la trasparenza nelle privatizzazioni impone che si faccia tutto fuorché difendere in modo surrettizio quello 'Stato padrone' che è all'origine dell'alta tassazione e delle inefficienze che penalizzano il Paese, facendolo anche retrocedere nella classifica internazionale sulle libertà economiche oggi e, domani, condannandolo al declino.
Diciamolo in termini da football, così in Italia ci capiscono tutti: Tremonti era riuscito a farsi concedere un rigore. Si sistema il pallone, si appresta a tirare, il portiere avversario si butta a destra, ma...Tremonti tira vistosamente a sinistra, in una porta ormai praticamente vuota. Tradimento? No, assoluta mancanza di convinzione, come per certi giocatori della nazionale italiana. In fondo era d'accordo col portiere avversario D'Alema, anzi era più d'accordo di lui. Va a finire che in economia - Coop permettendo - "baffetto" alle volte è più liberale di Tremonti. A parole. Che ci tocca dire... (La massaggiatrice cinese di Bruno Leoni)
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NEI PAESI DELL’ISLAM C’E’ RAPITO E RAPITO
Turisti rapiti dal paesaggio. Con riscatto
Nessuno scrive articoli commoventi quando i militari amerikani, giovani arroganti, senz'anima, che invadono prepotentemente il suolo islamico, ci lasciano le penne (e lo fanno, va detto, non per piacer loro, ma per tentare di assicurare a tutti un mondo migliore). La loro morte non fa notizia, mi scrive l’amico Piero Mazza. E’ normale, opportuno, forse desiderabile per molti – aggiungo - che dei soldati americani, anzi degli americani in generale, muoiano in terra straniera. Ben gli sta. Perché erano andati fin lì, chi glielo aveva fatto fare? Perché non hanno lasciato quei popoli ai loro despoti crudeli ed eccentrici, alle loro lapidazioni, ai burqa, ai roghi delle prostitute, insomma alle loro belle "tradizioni"? Come era normale, del resto, anzi auspicabile, che qualche soldato romano morisse tra i Syriaci e gli Illiri, tra i Galli e i Daci. Dove bene o male era andato per portare il latino, il diritto, la tecnologia, l’architettura, la civiltà. Come oggi, troppo tardi, nonostante i fumetti dell’ottuso Asterix, quei popoli riconoscono. Ma se un giornalista o fotografo, meglio se dell’area antagonista (antagonista a che, allo stipendio?) o finto-pacifista, subisce un incidente mentre lavora in un Paese islamico, siamo pronti a organizzare cortei e sfilate su tutto il suolo italiano. Eppure un giornalista sa bene che il rischio è il suo lavoro.
E allora perché quando incappa in un rapimento un nostro Tartarino di Tarascona, uno dei tanti turisti italiani – famigerati over the World – amanti di sensazioni forti e di "Disavventure nel Mondo", per i quali il rischio è la migliore cartolina da spedire ai colleghi d’ufficio, l’Italia deve sobbarcarsi tutto il carico di piagnistei, articoli lacrimosi, apprensione, ricatti di capibanda, riscatti e spese logistiche, nonostante la preventiva messa in guardia del Ministero degli Esteri? Cos’è che seduce gli impiegati di banca o del catasto, che gli dà quel certo prurito irrefrenabile, forse la provinciale e improbabile imitazione del mitico "fotoreporter in giubbetto multi-tasca" eternato dalla tv? Sì? E allora paghino. Al luna park per le montagne russe o il "tunnel degli Spiriti" c’è un biglietto. E mobilitare per una bravata in Oriente ministeri, consolati, ambasciate, polizie e ambulanze, costa. A parte il procurato allarme, l’enorme fastidio e disturbo che arrecano questi risibili avventurieri di Fornovo di Taro, Tarcento, Afragola o Mola di Bari, almeno rifondino le spese vive, auspica Mazza. Ma oltre al risarcimento, aggiungo io, se ci fosse davvero "un giudice a Roma", dovrebbero essere condannati per la legge del contrappasso a passare le prossime vacanze a Rimini, "turisticamente rieducati" in un albergo a loro scelta (e a loro spese). Nei depliant li chiameranno "arresti turistici domiciliari". Eccitante. (Madame de Stael, citofonare al n.3)
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LA PALLA AL PIEDE DELLE CORPORAZIONI
Il dottor Balanzone e il disordine dell’Ordine
E poi ci lamentiamo che gli inglesi ridono di noi: un telefonino per mano, insegne e scarpe inglesi, cravatta regimental, ma idee medieval-borboniche. Ecco l'Italia peggiore, quella corporativa e protezionista. L'Italia che protegge nella bambagia i pochi privilegiati addetti ai lavori, cioè i fornitori dei servizi, tra l'altro quasi mai i migliori, ma non i milioni di cittadini utenti e consumatori, che sono quelli che nel sistema economico liberale scelgono come veri e propri "elettori", giudicano in maniera insindacabile sulla qualità della prestazione, e perciò dovrebbero comandare, farsi sentire, avere peso. Macché.
Vi ricordate la battaglia corporativa delle famigerate "categorie interessate", tanto accarezzate da Destra e Sinistra, per ottenere gli albi di pranoterapeuta, erborista, psicologo, chiropratico, logopedista, "naturopata" (letteralmente "chi procura malattie naturali"...), perfino guida escursionistica (in pianura), e chi più ne ha più ne metta? Una triste e squallida storia, fatta di leggine elettorali, incidenti lessicali, favoritismi, selezione al contrario, raccomandazioni, ameni paradossi. Ora è la volta degli amministratori di condominio. L'Istituto Bruno Leoni esprime soddisfazione per la presa di posizione dell'Antitrust, secondo il quale il testo unificato dei disegni di legge volto a modificare le norme in materia di condominio è in "contrasto con i principi della concorrenza e del libero mercato".
A giudizio di Carlo Lottieri, dell'IBL, "è necessario evitare che la riforma dei condomini produca la nascita di nuovi albi e crei ulteriori bardature corporative, che avrebbero il solo risultato di limitare la libera iniziativa e gravare ulteriormente sulla proprietà immobiliare". Per l'IBL, "se si vuol favorire la crescita professionale degli amministratori condominiali, al contrario, bisogna liberalizzare quanto più è possibile la professione: in modo da stimolare la competizione ed eliminare posizioni protette. Ogni altra strada avrebbe il solo effetto di ridurre la libertà individuale e colpire i legittimi diritti dei proprietari di case".
Il fascismo volle rilanciare le corporazioni medievali, modernizzandole con una struttura sindacale. Esprimeva in questo l'insopprimibile diffidenza verso un liberalismo visto per ignoranza come una società barbarica "senza regole", come disordine generalizzato, anarchia. Faceva sua l'esigenza dell'ordine autoritario, della maniacale regolamentazione di ogni aspetto dell'attività economica, tipica della mentalità non liberale. E anche la psicologia aiuta a capire: ci si rifugia nell'ordine, nell'albo, nella corporazione, quando si è affetti da una visione pessimistica, quando non sì è sicuri di sé, quando si ha paura di tutto, soprattutto degli altri ("non saranno più bravi di noi?), e si rinuncia in partenza a gareggiare, quando si crede che la vita sia un campo infido dove tutto è possibile e nulla può essere previsto e studiato, dove "non ci sono regole", dove regna il motto della Natura crudele "homo homini lupus". Lo Stato corporativo è l'ultimo padre autoritario dei tempi moderni. Per questo vogliamo una società senza padre, cioè liberale. (Il fattore di Stuart Mill)
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DELLO STUDIO SULLA LIBERTA’ ECONOMICA SI PARLA IL 26 GENNAIO
Roma: presentato dall’IBL l'Indice Heritage
Della retrocessione dell'Italia nella classifica ponderata degli indici di libertà economica si è già detto. La ricerca ha destato molto interesse, e non solo tra gli studiosi o gli operatori dell'economia. Chi volesse saperne di più potrà partecipare alla presentazione ufficiale dei risultati dell'edizione 2006 dell'Indice della Libertà Economica in un convegno organizzato a Roma il prossimo 26 gennaio dall'Istituto Bruno Leoni (nella foto l'economista liberale). L'evento (che si svolgerà a partire dalle 10,30 presso la Sagrestia del Borromini, presso Sant'Agnese in Agone, Via Santa Maria dell'Anima 30/A) vedrà la partecipazione di Franco Bassanini (presidente di Astrid), Rudi Bogni (membro del Board dell'International Council for Capital Formation), Benedetto Della Vedova (presidente dei Riformatori Liberali), Oscar Giannino (vicedirettore di Finanza & Mercati), Marc Miles (curatore dell'Index per Heritage Foundation) e Stefano Parisi (amministratore delegato di Fastweb).
Per Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL, "la pubblicazione annuale dell'Indice è un'occasione per fermarsi a riflettere sui problemi di cui soffre il Paese, che stanno all'origine della bassa crescita economica degli ultimi anni. Il punteggio dell'Italia, nel 2005, è peggiorato rispetto all'anno precedente, soprattutto perché sono emersi nuovi elementi di chiusura del mercato. In vista delle elezioni politiche, è doveroso sottolineare quanto i temi della libertà economica siano il punto nodale da cui dipenderà larga parte del futuro italiano: se i prossimi anni saranno di ripresa o declino inarrestabile, dipende soprattutto dalla volontà del nuovo governo di iniettare nel tessuto del paese il virus del libero mercato". L'Indice della Libertà Economica è curato da Heritage Foundation e Wall Street Journal con la collaborazione di alcuni think tank europei, tra cui l'Istituto Bruno Leoni. Chi intende essere presente è invitato a prenotarsi per tempo inviando una email a info@brunoleoni.it oppure telefonando allo 011-070.2087. (La cuoca di von Mises)
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PRESENTATO A NAPOLI IL 30 GENNAIO IL LIBRO DI OCONE
Napoli: liberalismo, concezione della vita
Non abbiamo ancora letto questo volume di Corrado Ocone, ma abbiamo la sensazione che questo bel titolo (o almeno la sua seconda parte, quel "liberalismo come concezione della vita") possa irradiare un qual senso di genialità e perfezione sull’intero libro. Lunedi 30 gennaio, alle ore 17,30 presso l’Istututo italiano per gli studi filosofici (Palazzo Serra di Cassano), in via Monte di Dio 14, a Napoli, Aldo Masullo, Ernesto Paolozzi e Renata Viti Cavaliere presenteranno il libro di Ocone: "Benedetto Croce. Il liberalismo come concezione della vita" (Rubbettino Editore). Presiederà Girolamo Cotroneo e sarà presente l’autore. Tutti i liberali napoletani sono invitati. (Luigi Settembrini)