08 marzo, 2010

 

L’intelligenza di Pannunzio, liberale coraggioso, creatore di idee e grandi giornali

Chi crede che un liberale non debba essere coraggioso e anticonformista, e che anzi la razionalità, cioè senso critico ed equilibrio, si risolva alla fin fine in una moderazione dell'intelligenza – come accade ai troppi conservatori che per vergogna oggi si definiscono "liberali" – non ha capito nulla del Liberalismo, e neanche di Cavour e Pannunzio.
Li accostiamo a ragion veduta, e non solo perché Pannunzio teneva dietro la scrivania tra i lari protettori il ritratto di Cavour, come del resto anche Parri. Ma perché ebbero molto in comune, compresi una vita intensa e breve che li abbandonò poco dopo i 50 anni, il coraggio e la fantasia senza limiti, la versatilità e il pragmatismo, e soprattutto il Liberalismo come ragione di vita, nutrito non di egoismo, interessi personali o visioni grette e meschine della società e dell’economia, ma di alti e severi ideali etici, apertura verso tutti i nuovi diritti di libertà, riformismo concreto, altruismo sociale, rispetto pignolo per le "regole".
Ed entrambi, Cavour e Pannunzio, pur essendo ufficialmente dei moderati, con intelligenza arrischiata e spregiudicata, nient’affatto moderata, crearono e diffusero idee nuove, originali formule ideologiche e politiche, programmi, scenari, e giornali innovativi. E per questo entrambi piacquero a tanti, tantissimi, i più intelligenti e aperti, ma dispiacquero con la propria modernità e il pensiero di tipo "europeo", assai poco italiano, ai molti provinciali di casa nostra, ancorché sedicenti "liberali", affetti da quella ben nota ottusità municipale che ci portiamo dietro dal Medioevo.
Ed entrambi nacquero a 100 anni esatti di distanza, Cavour nel 1810, Pannunzio nel 1910. E in fondo, a ben vedere, sono stati il primo e l’ultimo esponente del Risorgimento.
Cosicché appare felice l’intuizione del Centro Pannunzio di Torino di celebrarli insieme, in un anno che oltre al centenario della nascita di Pannunzio (nato il 5 marzo) vede anche il bicentenario di Cavour (10 agosto), vero e unico geniale Padre della Patria che fece 150 anni fa, quasi da solo, per la Nuova Italia quello che ancora o perfino oggi - scusate il paradosso - non sarebbe possibile fare.
Due modelli esemplari, Pannunzio e Cavour, del vero essere, pensare e soprattutto "fare" liberale, che domani, martedì 9 marzo, alle ore 17,30 nell’Aula Magna dell’Università di Torino saranno al centro d’un importante convegno organizzato dal Centro Pannunzio (istituto di cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati nel 1968) sul tema "Pannunzio, il Risorgimento, Cavour", con l’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Con l’occasione, le Poste italiane hanno stampato un francobollo commemorativo di Mario Pannunzio (vedi immagine), con uno speciale annullo negli uffici postali di Torino e Lucca, sua città natale.
In attesa di adeguate celebrazioni per Cavour e per i 150 anni dell’Unità d’Italia, la figura di Mario Pannunzio, ingiustamente considerato da alcuni solo "un grande direttore di giornali", meritava questo ricordo.
Grande direttore di giornali, certo, ma soprattutto politico originale (tra l'altro fu tra i fondatori del Partito liberale italiano e poi del Partito Radicale), uomo di cultura grande e di grande versatilità, dotato di un non comune senso etico ed estetico, Pannunzio dimostrò che essere liberali (e liberali veri, non conservatori mediocri, come molti oggi in realtà sono) vuol dire anche essere pieni di creatività, intuizione ed eleganza, cioè di intelligenza. Un modello per tutti noi.
Un uomo, poi, di personalità complessa e di molteplici interessi. Non come alcuni che non sapendo far nulla nella vita si buttano in politica o nel giornalismo, perché in questi due campi in Italia non ci sono filtri di merito se hai le raccomandazioni adeguate. Insieme italiano e anti-italiano, pigro amante delle comodità, ma al bisogno febbrilmente attivo e senza risparmio, bon-vivant, frequentatore di caffè ed esteta, ma non come il solito italiano parolaio, inconcludente e pronto a tutto – Franza o Spagna, purché se magna – bensì come un anglosassone severo, perfezionista, idealista e attivista, amante certo dei piaceri ma dotato di altissimo rigore morale, insomma semmai della pasta dei Salvemini, degli Einaudi, degli Ernesto Rossi, dei Cavour. Dopodiché, diamogli pure l’etichetta del versatile dilettante di genio, ma non con l’ironia sbagliata che vi mettono certi Italiani.
A chi sa vedere, basta non leggere ma guardare le vecchie copie del Mondo per dimostrare che Pannunzio era anglosassone. Quel carattere tipografico con le "grazie" quadrate larghissimo e nero, che poi passò quasi per il tipico carattere "razionale" e quindi "liberale", al centro della testata un disegno grafico inusitato in Italia, l’uso degli spazi bianchi e delle grandi foto, non sempre collegate all’articolo, ma spesso esse stesse articoli di contrappunto, e infine l’accostamento pragmatico di autori diversi e tesi diverse in un continuo confronto dialettico, pur nei confini dell’idea liberale. Il più bel settimanale che l’Italia abbia mai avuto, così come il Risorgimento liberale era stato a detta di tutti, perfino degli avversari, il più bel quotidiano politico.
Il kalos kai agathos, il bello è buono, erano connaturati alla sua personalità. Del resto faceva tranquillamente il regista quando la caduta del Fascismo lo colse - guarda caso, al posto giusto - nella redazione di un giornale. Fu lui a stilare nell’Italia appena risvegliatasi dopo la caduta del fascismo il primo comunicato del Messaggero "libero", un comunicato del resto stupendamente crociano, al tempo in cui anche i liberali che non erano Croce sapevano scrivere almeno i comunicati stampa. Così cambiò la sua vita: lasciò la manovella della macchina da presa e creò il più bel quotifiano di partito mai visto in Italia.
Poi sarebbe venuto il Mondo (1949), il settimanale o piuttosto il "centro-studi" di una vera, nuova, Nuova Italia erede del Risorgimento, fondata sulla laicità, sulle riforme liberali, sulla dignità, sull'Europa, sulla scienza, sull'estensione dei diritti e delle libertà anche ai nuovi ceti emergenti, sul superamento dei falsi steccati politici che giustificavano già allora un bipolarismo illiberale: da una parte i democristiani (in realtà spesso clerico-fascisti), dall'altra i comunisti infiltrati dall'Unione Sovietica. Con liberali, repubblicani, socialdemocratici, post-azionisti e radicali, ottusamente divisi da posizioni sbagliate (si pensi all'alleanza del PLI con l'Uomo qualunque), rissosi, intimiditi, frazionisti, l'uno contro l'altro armati, anziché fare fronte comune.
Più di qualsiasi altro partito, il "partito" del Mondo colpì a Destra e a Sinistra, sul corporativismo della mefitica "società all'italiana", sulle speculazioni dei "palazzinari", la corruzione del boom economico, la distruzione dell'ambiente (Cederna), l'equivoco sottoculturale e provinciale del "conservatorismo" verniciato di finto iberalismo, sulla Sinistra estrema spacciata per "progresso" e "libertà", sulla sintesi tra le varie anime della tradizione liberale, da Croce a Einaudi, l'azionismo e il radicalismo democratico, da Rossi a Salvemini.
Una sintesi che riuscì solo a Pannunzio, non solo sul piano giornalistico ma anche ideologico e culturale, prova che il Mondo e il suo direttore non erano scatole vuote, empty boxes, come i giornali fatui, buonisti perché opportunisti di oggi, pronti a cambiare articolo e tesi per volere del pubblicitario o del politico di turno, ma avevano idee forti, orizzonti aperti, vasta cultura, poderosa intelligenza, e i mezzi della psicologia della comunicazione che solitamente difettano nell'Italia della Controriforma, ancorché sedicente "liberale".
Ma fu l'apertura al costume, alle idee e alla migliore cultura europea e americana, comprese la musica e il cinema, come testimoniano le grandi firme di collaboratori stranieri e italiani (anche Ennio Flaiano, nato lo stesso giorno e lo stesso anno di Pannunzio, e a lui molto simile per alcuni tratti), le rubriche e le corrispondenze degli inviati, oltre ai famosi "Convegni del Mondo", a fare del Mondo il giornale italiano più aggiornato e di maggior prestigio, anche se non certo il più diffuso.
E perciò, oggi appaiono patetici, anzi provocatori, i tentativi da Destra e Sinistra, e perfino da qualche conservatore clericale che ai tempi del Mondo avrebbe letto certi suoi editoriali e commenti con aperto fastidio, di accaparrarsi le spoglie imbalsamate dell'unico uomo geniale che ha espresso l'editoria politica in Italia.
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IMMAGINI. 1. Il primo numero del settimanale Il Mondo. 2. Il francobollo commemorativo di Pannunzio.

Comments:
Grande articolo, complimenti!
 
Bel ricordo di un grande.
 
Pannunzio, grande sconosciuto purtroppo. Stupendo e perfetto articolo. In cui con la scusa di Pannunzio assesti pure qualche stoccata ai finti liberali. Ben fatto.
 
Una biografia per alcuni tratti insolita e anticonformista. Sono d'accordo sul Pannunzio versatile e fuori schema. Ma in Italia, tranne che nelle celebrazioni 100 anni dopo, l'intelligenza non viene apprezzata. Perfino il PLI e Malagodi dissero cose ottuse e sbagliate sulle scelte di Pannunzio, o sbaglio?
 
Il Centro Pannunzio informa che la targa commemorativa di Pannunzio sulla facciata del palazzo che fu sede del glorioso giornale "Il Mondo" non può essere affissa perché vi si oppone il Pio Sodalizio dei Piceni, fondato da un cardinale nel 600, proprietario dell'immobile. La némesi dei clericali contro il liberale laico.
 
Ottimo articolo,lucido,penentrante,veritiero,non retorico,lontano dall'icona pannunziana creata da altri a loro immagine e somiglianza.
La lapide per il centenario di pannunzio vietata dal Pio sodalizio dei Piceni in via campo Marzio a Roma verrà comunque apposta.SE non in via Campo Marzio in un altro edificio di Roma legato alla storia di Pannunzio.Ma per ora noi ci battiamo con le unghie e con i denti per via campo Marzio 24 .<L'espresso< di oggi 23 aprile ha segnalato la notizia a pag.16.Se volete esprimere la vostra protesta scrivete a info@centropannunzio.it
 
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