27 giugno, 2008
Scarpa: “Le tasse aumentano, altroché, e il rischio è un Robin Hood al contrario”
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LA FRECCIA DI ROBIN HOOD COLPISCE LA BOLLETTA
La cosiddetta Robin Hood tax eleverà i prezzi dell'energia elettrica, già oggi piuttosto alti, spostando denaro dalle tasche dei consumatori a quelle dello Stato. Se avrà un effetto reale sulle imprese del settore, sarà a favore di quelle che oggi ottengono più profitti, a danno di chi fa fatica a stare a galla. Se si vogliono colpire i profitti eccessivi nel settore elettrico a sostegno della collettività, esiste solo un modo: far funzionare il mercato. Nel nostro, la concorrenza è poco efficace. Sarebbe interessante conoscere le intenzioni del governo in proposito.
La cosiddetta Robin Hood tax (nome penoso, ma temo che sia necessario per farmi capire) non colpisce solo i petrolieri (Eni in primis, ovvero il governo come suo azionista), ma anche le aziende del settore elettrico. Si tratta di un aumento del 5,5 per cento dell’imposta sui redditi per tutte le imprese che producono o vendono energia elettrica.
La cosa interessante è che la tassa eleverà i prezzi dell’energia elettrica, che già oggi sono piuttosto alti, spostando denaro dalle tasche dei consumatori a quelle dello Stato. Se avrà un effetto reale sulle imprese del settore (cosa che si deve dubitare, come vedremo) lo avrà a favore di quelle che oggi fanno più profitti, a danno di chi fa già fatica a stare a galla. Alla faccia del buon Robin Hood, che si rivolta nella tomba. Vediamo perché.
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PAGHERANNO LE IMPRESE DI GENERAZIONE?
Anche se la teoria ci dice che questo dovrebbe avvenire solo per le imposte indirette, spesso anche le imprese che si trovano di fronte a un aumento delle imposte sul reddito aumentano i prezzi per mantenere i margini di utile. E questo giochino riesce particolarmente bene ove la domanda è rigida, come nel caso dell’energia (benzina come elettricità). Infatti, il decreto legge specifica che "è fatto divieto agli operatori (…) di traslare l’onere (…) sui prezzi al consumo". Come si fa a controllarlo? Dice lo stesso decreto che "L’Autorità per l’energia (…) vigila sulla puntuale osservanza della disposizione". Questo ci fa stare tranquilli? No.
Non certo per insipienza della povera Authority, ma per il banale dettaglio che non ha purtroppo alcuno strumento per intervenire (con una malaugurata eccezione, di cui diremo tra poco).
Intanto, sui prezzi della benzina l’Authority non ha alcuna competenza, poiché questi da parecchi anni sono liberi. E se anche improvvisamente si volesse tornare a un sistema di prezzi amministrati, vorrei capire come si potrebbe distinguere tra aumenti dei prezzi finali dovuti a variazioni del prezzo del petrolio e aumenti dovuti alla traslazione dell’imposta. Sfido chiunque a riuscirci in modo "giuridicamente" robusto.
Comunque, se anche all’Authority venissero date competenze (e risorse) specifiche per tale nuovo compito, è facile prevedere che le imprese del settore riuscirebbero ad adeguare i prezzi verso l’alto ben prima che tali controlli divengano effettivi. In altri termini, l’aumento di imposta sui petrolieri, lo pagheremo noi alla pompa, anzi, con ogni probabilità la stiamo già pagando. E nessuno ci può fare alcunché.
Lo stesso vale nell’elettricità. Intanto, si noti, l’imposta grava sia su chi produce, sia su chi vende, ovvero graverà sulla bolletta finale due volte. E purtroppo anche qui i controlli dell’Authority non possono essere gran che efficaci.
I prezzi all’ingrosso sono liberi da diversi anni (nel 2004 è partita la borsa elettrica) e l’unico modo di effettuare questo controllo sarebbe dire "scusate, abbiamo scherzato", e chiudere (unico paese in Europa…) il mercato all’ingrosso dell’energia elettrica, sottoponendo il prezzo all’ingrosso a un regime di prezzi amministrati. Il tutto con alcune decine di imprese private che hanno costruito i loro progetti per impianti di generazione tenendo il mercato come punto fermo.
Quindi, o si chiude il libero mercato dell’energia, oppure Robin Hood fa aumentare i prezzi a valle.
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LA PAGHERANNO I VENDITORI? SAREBBE ROBIN HOOD A ROVESCIO!
E a valle succede che l’energia elettrica viene ceduta ai venditori, che poi la rivendono ai consumatori finali. E anche i venditori saranno soggetti alla medesima imposta che già fa aumentare il prezzo all’ingrosso.
Anche qui, attenzione, perché i prezzi finali sono liberi, c’è una direttiva europea che lo specifica, e verso i grandi clienti che da tempo sono nel mercato, temo che l’Authority sia piuttosto impotente.
Eppure, qualcosa potrebbe fare… Almeno per i piccoli clienti resta una tariffa massima di riferimento che le imprese devono comunque rispettare. Per questi clienti l’Authority in teoria potrebbe continuare a fissare la tariffa di riferimento ignorando l’aumento delle imposte.
I piccoli consumatori sarebbero protetti? Solo in parte, perché la tariffa finale "prende atto" del prezzo all’ingrosso, quindi un suo aumento sarebbe comunque pagato dai consumatori. Ma almeno l’aumento delle imposte sui venditori non sarebbe "traslato" in bolletta.
Sarebbe per altro un paradosso straordinario. I veri "extra-profitti" del settore elettrico non sono certo quelli dei venditori finali, che hanno margini estremamente risicati, sono quelli dei generatori. Invece con questo meccanismo le uniche imprese a pagare di tasca propria sarebbero quelle che hanno profitti minori! E il povero Robin si rivolta nella tomba.
Ciliegina sulla torta è il fatto che la quasi totalità di questo segmento del mercato è in mano pubblica, cioè a Enel (30 per cento del Tesoro) e alle ex municipalizzate, ove la partecipazione pubblica è assolutamente maggioritaria. Ovvero, pagherebbero in gran parte gli enti locali.
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IL VERO PROBLEMA RESTA IRRISOLTO
Se si vogliono colpire profitti "eccessivi" nel settore elettrico a favore della collettività esiste solo un modo. Che è quello di far funzionare il mercato, che finora, diciamolo pure, non ha dato grandi soddisfazioni ai consumatori.
Da aprile 2004 a oggi (51 mesi), il prezzo medio mensile sulla borsa italiana è stato superiore alla media delle altre grandi borse europee (Spagna, Germania, Francia e Olanda) nel 96 per cento dei casi. In media, in questo periodo il prezzo italiano è stato superiore a quello medio degli altri paesi di circa il 55 per cento.
Conta la tecnologia? Certo. Ma il dato non cambia se togliamo dai confronti la Francia che ha il nucleare, il cui prezzo all’ingrosso è del tutto in linea con quello tedesco o quello olandese. Il presunto vantaggio di costo del nucleare (se esiste, che è tutto da dimostrare) è a dir poco esiguo.
È poi vero che i tedeschi bruciano molto più carbone di noi (e lo sussidiano ampiamente) ma anche questo è solo una parte della spiegazione.
Nel nostro mercato la concorrenza è poco efficace. Sarebbe carino sapere cosa intende fare il governo a questo riguardo. Aumentare le imposte per aumentare ulteriormente i prezzi?
Robin Hood, se ci sei batti un colpo…
CARLO SCARPA
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