20 giugno, 2008
Non i liberali in Italia, ma proprio i liberali alla Ostellino sono senza speranza
Naturalmente noi liberali italiani ci sentiamo profondamente offesi dalla gratuita provocazione, che potrebbe per il prestigio di cui gode l'autore influenzare negativamente il nostro quotidiano lavoro per riportare i liberali sulla scena, anzi addirittura per unificarli.
Non ci sono liberali. E noi chi siamo - potremmo rispondere ad Ostellino - siamo forse socialisti? Piuttosto, chi è Ostellino? Intanto dirò con parole semplici perché Ostellino, e anche i liberali che prendono per oro colato la sua analisi, sbagliano.
Liberale lo è senza dubbio, ma è anche un uomo fortunato. Da direttore della piccola rivista di politologia liberale Biblioteca della libertà di Torino a giornalista del Corriere della Sera, poi inviato in Russia, infine direttore del Corrierone per tre anni (1984-87). Durante i quali, se non ricordiamo male, Piero Ostellino non si distinse granché. Nessun guizzo, nessuna fantasia, nessuna genialità s’intravvedevano nei titoli e nei testi, sempre grigi, di quello che per generale demerito degli altri era allora "il miglior giornale italiano". Né la Terza pagina, né la Politica interna ricorsero a giornalisti e intellettuali liberali più del solito, cioè oltre la normalità statistica.
Gli articoli, per esempio, Ostellino non sapeva e non sa tuttora scriverli bene. Se uno è un bravo giornalista o scrittore o anche insegnante di italiano al liceo, anche se è liberale, se ne accorge. Ci piace perché esprime concetti liberali, ma in quanto allo stile di scrittura e alla fantasia compositiva, da un'analisi di 150 articoli appare sciatto, non particolarmente dotato. Ma niente di grave, per carità: potrei citare almeno dieci famosi direttori che non sanno fare i titoli. E secondo un costume italiano, ad un direttore non si richiede di saper scrivere in modo superlativo.
Gli anni della "politologia", il suo vero amore, gli hanno lasciato una fastidiosa aria professorale e seriosa, uno stile irto, poco armonioso, una lingua poco felice. A leggere in rapido confronto Ostellino e Panebianco, due icone liberali per liberali che di icone ne hanno poche, come quelli italiani, il giornalista vero sembra il secondo, che infatti ha sbagliato professione, mentre l’accademico pare il primo, che dovrà pur riconoscere l’errore fatto.
Ma Ostellino ha avuto fortuna. Altri, meno liberali di lui, sono stati migliori direttori. Altri ancora, giornalisti più bravi, direttori non lo sono mai diventati, e già è tanto se possono scrivere senza raccomandazioni sulla Gazzetta di Roccasecca.
Ora, però, che un giornalista in pensione, così "neutro" in quanto a politica italiana, distintosi infatti per le corrispondenze e i libri dall’Urss e dalla Cina, dopo decenni di silenzioso distacco professionale, sostenga che i liberali non ci sono più, e per di più attraverso l’intervista di un giornalista poco noto, e su un giornale marginale, be’, è certamente curioso. Ma, tant’è, sempre meglio - direbbe un battutista - che giocare a petanque (bocce) nel giardino comunale d’un bel paesino sulla Costa Azzurra. L’ex-direttore, infatti, ha un suo buen retiro in Francia.
Nell’intervista, Ostellino gioca a fare l’accademico sine ira ac studio e osserva con distacco snob i liberali d’Italia. La distanza focale – storia e fotografia insegnano – dovrebbe giovargli. E invece, no. Cade nel solito pessimismo conservatore, secondo cui gli Italiani sarebbero negati come liberali. Solo perché non ci sarebbero personalità liberali nel Centro-destra o nel Centro-sinistra attualmente in Parlamento. E se ci sono, sono inifluenti
Ma non è vero: ci sono certamente tanti liberali a Destra e a Sinistra. Il liberalismo ormai è maggioritario in Italia. Basta con questo snobismo insopportabile di considerarsi sempre tra pochissimi eletti, come scusa se non si è capaci di fare. Solo che i tanti liberali sono figure anonime, yesmen, "impiegati del voto" senza personalità, carrieristi di provincia che badano solo ai soldi e al potere, adatti tutt'al più a pigiare un tasto per conto della Destra populista e della Sinistra che la imita. Il coraggio uno non se lo può dare. Con quale selezione del personale sono stati scelti? Con la pura cooptazione amicale, anzi servile.
D'altra parte, essere liberali, dove e quando tutti sono o si dicono liberali, oggi non è una virtù eroica che vuole intelligenza, coraggio, fantasia e originalità. Non è una scelta eccentrica, ma è la normalità, la banalità. Anche i nostri club e Partiti liberali, del resto, sono composti da gente così. E' il destino di tutti i gruppi democratici in tempi tranquilli di democrazia consolidata attirare solo i mediocri. A forza di discutere di elezioni, tattiche, accordi "concreti" (con cani e porci) anziché cercare di attuare le idee liberali, a forza di fare i "moderati" o i "centristi" su tutto, a forza di barcamenarsi nell'equidistanza geometrica del "né né", accade che liberali e repubblicani neanche parlino più di politica, di idee forti, e tantomeno le possano trasmettere ai cittadini. Dall'anti-politica sono, siamo, già entrati nella poco aurea mediocritas della non-politica. Perché la politica è fatta di contrasti e scontri, mentre i liberali all'italiana gli scontri li evitano. Così non si distinguono più dagli altri. Ecco perché anche se sono
tantissimi, la maggioranza degli Italiani, nessuno li nota. E' per questo che Ostellino compie anche il secondo errore, cioè non guarda al Paese reale, al nuovo liberalismo effettivamente diffuso tra gli Italiani, ma solo ai rappresentanti, agli eletti, illudendosi che siano i migliori, mentre in realtà sono i peggiori.
Allora forse per "liberali" Ostellino voleva dire i "geni", le fortissime personalità? Eh, magari, ma i geni bisogna saperli attrarre. E mancano i geni che attraggano gli altri geni. E poi vanno selezionati con un'imponente screening di massa (p,es. Stati Generali) che li metta opportunamente in luce, perché i geni vogliono spazio e sono narcisisti. Ma i geni vogliono anche idee forti, appelli nazionali, grandi battaglie, coinvolgimento della popolazione. E soprattutto scappano appena vengono contornati da mediocri, dai soliti "buoni a nulla ma capaci di tutto" che in realtà della Politica amano il comando e il potere meschino che ne deriva. Il caporale, la casalinga e il politico. La Politica, in fin dei conti, è l'unico posto, con l'Esercito, in cui un perfetto imbecille può esser chiamato impunemente a prendere decisioni senza passare attraverso la concorrenza o un serio esame psicologico. Ma solo perché cooptato o delegato da altri imbecilli.
"L’Italia non è un Paese liberale". Non è vero, lo è. E un liberale, sia pure giornalista, non dovrebbe dire queste cose. Come si fa ad avere il polso degli Italiani se si frequentano quasi soltanto politici, direttori, industriali, e si vive quasi sempre in Francia?
E' il tormentone pessimistico dei politici liberali italiani di oggi e di ieri. Ma è un alibi per il loro non-fare, per i loro insuccessi, per la loro incapacità personale di fare propaganda, per la loro incomprensione psicologica del cittadino medio, talvolta per il loro cinismo di professionisti della politica. In tal modo credono di giustificare come mai i liberali (compresi i repubblicani) riescano a racimolare alle elezioni solo lo 0,3-0,8, rispetto al 30-40 per cento di liberali potenziali esistenti in Italia – siamo pur sempre un Paese dell’Occidente liberale, col liberalismo unica ideologia dominante! – come finalmente le prime indagini demoscopiche cominciano a rivelare.
Questo pessimismo fatalistico e di comodo è in contrasto con tutta la tradizione liberale anglosassone fatta propria dai liberali e mazziniani del Risorgimento, da Cavour (che parlava francese, ma pensava inglese) a Nathan (che parlava e pensava inglese), secondo cui il liberalismo non è un concetto elitario e aristocratico – i liberali nascono come anti-aristocratici, bisognerebbe far imparare a memoria questa frase ai nostri esponenti del Sud – ma è collegato all’entusiasmo, alla volontà, al progresso, al desiderio di libertà innato nel popolo. Perfino il pessimista Croce fu costretto all’ottimismo su questo punto: anche in Italia la storia è sempre storia di libertà.
"I liberali non ci sono più, sono scomparsi". Certo, a guardare da elitari solo in alto, ai professionisti della politica, ai fannulloni privilegiati del Parlamento, al sistema del potere e della comunicazione, non in basso, alla società, alla gente semplice che non frequenta salotti mondani o redazioni, e che è sempre più liberale senza saperlo. Ma casalinghe, studenti, impiegati e pensionati saprebbero anche loro che cosa vuol dire il Liberalismo, se qualche liberale interessato solo ad essere eletto (invano, per fortuna), si degnasse di fare "pedagogia sociale", cioè di insegnare, di divulgare. Gli Italiani sono anche ignoranti: ultimi per lettura di libri tra le Nazioni più sviluppate. Perciò attivisti, politici e giornalisti liberali devono fare di più, molto di più dei loro omologhi stranieri.
Non siamo più ai tempi di La Malfa e Malagodi. Oggi anche gran parte degli allora comunisti e fascisti è stata conquistata dal liberalismo. E oggi, anche da noi, come nei Paesi anglosassoni, ci si divide e si discute, piuttosto, tra liberali di destra, di centro e di sinistra. Questo, semmai, è il punto. Non che "non ci sono i liberali".
Se qualche demografo meno stupido dividesse gli Italiani democratici secondo le idee, con un centinaio di domandine pratiche, senza mai citare il seducente termine "liberale", sono sicuro che tra conservatori, liberali e socialisti il 40-50 per cento lo prenderemmo noi. Saremmo non il primo partito, perché questo riguarda l'organizzazione, ma certamente la "opzione ideologica più diffusa".
E invece? L’errore di Ostellino e di tanti, troppi, liberali "filosofici", realisti politici imbolsiti dal benessere, senza alcun contatto con i cittadini, è sempre il solito: per "liberali" loro intendono i leaders, i capi, i già eletti, i pochi fortunati frequentatori del mitico Transatlantico, i politici di professione. E’ quello che pensano istintivamente anche La Malfa, Pannella, Biondi, Martino, Zanone, perfino De Luca e Nucara. Sbagliano, naturalmente, per mancanza di logica. Se noi liberal-repubblicani ci lamentiamo "di non avere una rappresentanza politica", come possiamo poi andare nei corridoi del Parlamento per tentare accordi? E’ una contraddizione di cui i liberali eletti non si rendono conto.
Fatto sta che i liberali veri, la massa (mi scuso, ma dobbiamo imparare a convivere con questo concetto orribile), che è paradossalmente il primo partito virtuale in Italia, stanno tutti fuori del Parlamento, nelle Università, nelle professioni, nelle arti, nelle aziende, tra l'insospettabile gente comune che non vota, oppure vota per tutti i partiti dell'arco politico.
Del resto, non per fare come la volpe e l’uva, ma un liberale professionista elettorale è già un piccolo ossimoro, una contraddizione. Ricordo che a 16 anni, giovane liberale, già ero, come i miei compagni liberali, contro il "professionismo della politica", e infatti leggevo articoli sulla Tribuna dello stesso tenore. Sapevamo tutti già allora che il Liberalismo non è un’idea qualunque, che viene e che va, imposta dall’alto da un politicante improvvisatore. Ma in fondo è una "norma di vita" anche individuale. O è nella società, oppuire non esiste. Il Liberalismo è dapprima cultura (meta-politica, diceva Croce) e poi politica. Ma il problema è che è penetrato talmente nella cultura di ogni giorno da essere diventato luogo comune, ovvietà, banalità. E le persone intelligenti, che potrebbero fare i nostri leader, non amano le banalità. Mentre si impegnarono a morte, cavourriani e mazziniani, nel Risorgimento, perché allora essere liberali significava avere idee forti, essere coraggiosi e anticonformisti, imprudenti, insomma rischiare di persona. Tutte cose che piacciono ai migliori. Ma oggi la politica non piace neanche ai liberali più ordinari.
Se nella società occidentale, già di per sé liberale (all'acqua di rose) anche senza il nostro aiuto o la nostra presenza in Italia, servono leader liberali ma non se ne trovano, è anche perché il discredito della politica, nonostante o forse proprio per i suoi privilegi, ha schifato talmente il nostro pubblico semplice, i liberali di base, che nessuno di loro pensa minimamente a fare attività politica.
Il che è insieme un segno buono e e un segno cattivo. Significa che non solo un genio, ma una persona normalmente intelligente non sopporta di essere messa in minoranza, come nel condominio del caseggiato, da dieci meno intelligenti di lui, ma più aggressivi e meglio coalizzati. Ma vuol dire anche che la borghesia appare rinunciataria e non è più disposta a battersi per le idee in cui dice di credere.
Il liberalismo, insomma, più ancora del conservatorismo e del socialismo, è penalizzato dall’equivoco luogo comune del suo presunto vuoto "moderatismo". Che è un errore storico, filosofico, ideologico. Durante i momenti topici, epocali, di svolta, mai i liberali si sono dichiarati aprioristicamente "moderati", ma sempre si sono mostrati decisi e progressisti, lasciando al libero gioco della lotta, cioè alla dialettica politica, la composizione necessariamente moderata tra tes e antitesi. E i cugini Radicali, gli unici intelligenti della famiglia (nonostante qualche errore del genio Pannella), questo lo hanno capito benissimo. Ma i loro "errori" sono semmai di eccesso crudele di selezione del personale (v. la vicenda Capezzone), di pan-politicismo, di decisionismo e di iper-comunicativismo. Il loro è un perfetto e professionale vivaio di classe dirigente laica e liberale. Appunto, perché ancora "eroica", "testimoniale", esemplare, risorgimentale. L'esatto contrario di liberali e repubblicani.
Ma, finché resta lo stereotipo, il liberalismo viene visto come una "idea inutile", con la quale o senza la quale tutto resta come prima. Del resto, guardiamoci negli occhi: vi battereste voi animatamente e con tenacia per un’idea per definizione "moderata", cioè che parte già con le ali tarpate nella tenzone politica, per di più condivisa da tutti?
Da un intellettuale come lui ci dovremmo attendere molto di più. nel panorama liberale. Dico che non ha mai avuto quel coraggio necessario, quell'anticonformisamo che è tipico dei liberali.
Che anche i giornalisti famosi sono parte in causa di un liberalismo che in Italia non si realizza compiutamente: altro che consigli dall'alto.
[E, da perfezionista, insisto, i suoi fondi non sono eccezionali. Non è uno scrittore nato come p.es. Montanelli, che era molto scrittore e poco giornalista. E giornalisticamente, se dopo la lettura "fanno pensare" come dice la Caporale vuol dire che non sviluppa abbastanza tutti i singoli passaggi. Sarà perché sintetizza troppo...]
sei riuscito ad estraniarti bene. Sembri davvero un marziano. Complimenti.
Solo, non vorrei essere nei tuoi panni quando partecipi a qualche riunione tra "liberali"....:-)
Hai chiesto la scorta?
Come giornalista e commentatore vedo i miei articoli negati da giornalistucoli e direttori che mi sono inferiori in tutto, e che stanno lì solo perché raccomandati.
Raccomandati a spese nostre, visti i finanziamenti pubblici dei giornali.
Da amante della politica vedo i mediocri attratti morbosamente dal gioco dei partiti e delle elezioni, perché sperano di guadagnarci. Specie i liberali sono molto attratti dai soldi. Altro che idea.
Conflitto di interessi di cui però io stesso sono vittima. Perché mi blocca, e perché vado a corrente alternata, cioè dove e quando lo schifo è minore in ciascuno dei due campi.
Ma ogni tanto non ne posso più e, dopo un consulto tra Nico Valerio-1 e Nico Valerio-2, mi ritiro e mi occupo d'altro.
Quelli, i mediocri del giornalismo e i furbi della politica, sanno fare - e male - solo una cosa. Io almeno 6 o 7, e bene.
E' questo che mi ridà ogni tanto il coraggio.
Ostellino è uno dei nostri: fai bene a stimolarlo per renderlo ancora più responsabile del suo "ruolo pubblico" di intellettuale liberale.
Hai ragione: se no di questo passo potremmo arrivare ad una Nazione di 50 milioni di persone che "si definiscono" liberali, ma che non fanno nulla di concreto per il liberalismo.
Invece, noi liberali non dobbiamo essere come tutti gli altri: avere timori reverenziali per il Potere. Visto che la nostra religione è il merito, l'eccellezza, la concorrenza, dobbiamo mettere sempre in luce non solo chi non fa il proprio dovere, ma anche gli amici per bene che però non sono all'altezza della loro fama. Si facciano da parte: esistono decine e decine di persone più brave di loro. E almeno avessero un profilo basso... Certo, chi non è "super" non può permettersi di impancarsi a critico né dare consigli. Sono troppo duro, troppo esigente, troppo calvinista, perfino moralista? Eh, cari amici, non ve l'ha ordinato il medico di essere liberali. Poiché il liberalismo è anche fondato sulla più impietosa concorrenza in ogni campo, auspica una selezione durissima. In realtà nessuno tocca le posizioni acquisite, i privilegi, il malcostume tra di noi. Le famose telefonate di Urbani per raccomandare la sua compagna Di Benedetto ne sono un esempio. Ma i liberali? Zitti.
Io no.
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