27 settembre, 2007

 

Altro che Destra e Sinistra: i “provinciali”, ecco il vero male dell’Italia

Che hanno in comune Mastella e Grillo? E Parisi e la Bertolini, Di Pietro e Pecoraro Scanio, Prodi e Bossi? "Si occupano" di politica. O meglio, la politica è occupata da loro. Ma hanno un tratto in comune, che spiega anche il loro "occuparsi" di politica: sono dei provinciali.
Un'offesa? Ma no. Già questo voler considerare la parola un'offesa, denota la coda di paglia di una certa piccola borghesia italiana, appunto, provinciale. Perché, si sa, la lingua batte dove il dente duole. E' come per la bella parola "conservatore". Nei Paesi anglosassoni, di mentalità laica e pragmatica, dove si dice pane al pane, è un termine neutrale che denota una parte della società e della politica che, pur conservando le libertà acquisite, non vuole ulteriori cambiamenti.
In Italia, no. Come lamentava il liberal-progressista Gobetti, nessuno si vuole definire conservatore. Proprio perché la stragrande maggioranza dei politici e degli Italiani sono conservatori, e quindi per differenziarsi ulteriormente tra loro sono costretti ad inventarsi altre distinzioni, tutte false, il termine "conservatore" è diventato un'ingiuria. Insomma, dove tutti sono conservatori, nessuno vuole ammettere di esserlo. E col trasformismo italiano tutti i conservatori fanno a gara nel superarsi a vicenda in finto progressismo. Perché nulla cambi, s'intende. Ecco perché è così difficile tra tanti "liberali" trovare dei liberali.
Così è per "provinciale". Poiché i provinciali sono permalosi e, soprattutto, non capiscono mai le cose per il verso giusto, cioè con la dovuta apertura mentale (perfino, anzi soprattutto, i laureati, sempre laureati di provincia s'intende), specifichiamo che "provinciale" non vuol dire solo o necessariamente "chiunque è nato o vive in provincia". Né, tantomeno, chi ama la ribollita e le orecchiette, Mascagni e il vino di Montepulciano, la tarantella o una passeggiata sull'Etna. Né chi è del Sud, o è di Destra (o di Sinistra).
No, "provinciale" è chi pensa, agisce, parla, si comporta da provinciale. Cioè con la tipica ottusità e ristrettezza mentale, con la meschinità della visione paesana, con tutte le beghe, le polemiche, le antipatie, la prosopopea, la sicurezza in sé, la faccia tosta, la rozzezza, la fantasia insensata, la pazzia, la mancanza di buon senso, il campanilismo, le vanterie, l'alterigia della sottocultura di provincia.
Ma la casalinga di Voghera o il contadino di Isernia non c'entrano. Provatevi a contraddire, peggio se in pubblico, dove loro sono "un'autorità", il politicante, l'insegnante, il geometra, il ragioniere, il corrispondente di giornali, l'ingegnere, il commerciante, l'avvocato, l'assessore, il sindaco, il medico di provincia. Tutte persone "colte", che "hanno studiato", che hanno creato nei lunghi decenni di vita provinciale una barriera di timore reverenziale tra sé e il "popolino". E si danno arie, eccome, anche se non valgono più del popolino. Se lo fate, sappiatelo, lo fate a vostro rischio e pericolo: "non sapete chi sono". I provinciali sono arroganti e vendicativi.
E sì, perché i provinciali non si vergognano di nulla. Nel Veneto "Roma ladrona" (mentre sono proprio loro che rubano, che portano figli e amici all'Unione Europea, che si fanno strapagare le cariche alla Regione, o dare incentivi e pensioni indebite, e scendono a Roma a fare politica, cioè i propri sporchi interessi). In Sicilia, dove dilapidano l'erario in ogni modo e vivono alle spalle della comunità italiana, come fa il Veneto o peggio, ancora polemizzano - pensate un po' - contro gli Antichi Romani e Garibaldi (e non sono contadini, che queste cose non le direbbero mai, ma présidi di scuola, insegnanti e assessori, ascoltati con le nostre orecchie ad un convegno nel 2006).
Una lista senza fine di sciocchezze provinciali, dalle leggi balorde a certe sentenze di giudici, dal "Maiale Day" di Borghezio per inquinare i siti islamici, alla statua di Totò eretta a... Roma. Non c'è limite: tutto è possibile per i provinciali. E stanno dappertutto, perché - è noto - "il cretino si muove", è attivissimo, e va perfino nelle grandi città, come si è visto. Ne inventano una al giorno di amenità, forti del monopolio di posizione di cui godono nel loro paesello o nella loro cittadina, privi come sono di autocritica e di senso del ridicolo. Solo che nelle metropoli c'è più concorrenza: si trova sempre uno di buon senso che dice al provinciale quello che si merita, e che in provincia nessuno ha il coraggio di dirgli: che è un cretino. Un cretino colto, ed è ancora peggio.
La politica italiana, anzi la società italiana, sarà sanata solo quando i tanti provinciali verranno emarginati e cacciati dai posti di comando che oggi - grazie all'arrivismo e alle raccomandazioni in cui eccellono - abusivamente occupano in Governi, opposizioni, Parlamento, sindacati, giornali, Rai-Tv, editoria, professioni, imprenditoria locale. Nessun'altra soluzione è realistica. Il gap italiano è la sua sottocultura, la ristrettezza di idee, la nessuna conoscenza della psicologia, cioè la mancanza d'intelligenza. Allora, torniamo al popolo? Anzi, il popolo dei provinciali locali è addirittura peggiore dei provinciali al Potere, alcuni dei quali bene o male viaggiano, vedono colleghi stranieri, sono controllati dall'Unione Europea o dagli Americani, si affinano con un minimo di concorrenza, sia pure tra provinciali di Potere. Insomma, quasi quasi, il popolo dei Grillo, l'italiano "da bar", "da bus" o "da treno", è più pericoloso d'un Mastella o d'un Borghezio. Perché questi ultimi, pur votati da migliaia di provinciali, sono così plateali da generare anticorpi nel resto della popolazione.
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Un capitolo del bel libro di Curzio Malaparte, Battibecchi (ed. Shakespeare & Company, Firenze 1993, pp. 293-294) fa proprio al caso nostro. E si consideri che è stato scritto nel lontano 1954.
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Roma e provincia
di Curzio Malaparte
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E' senza dubbio un chiarissimo segno dello sgretolamento, dell'avvilimento del nostro spirito civile, il fatto che in provincia si coltivi con tanto impegno la pianta della politica. Tutto è politico, in provincia. Forse perché l'intrigo, il pettegolezzo, la congiura, il tradimento spicciolo, le chiacchiere, le meschine diffamazioni, vi rappresentano la forma più nobile, per non dir la sola, di vita sociale. E questo fa che il responsabile, anzi il colpevole, dello spirito gretto e pettegolo della politica italiana, non è Roma, bensì la provincia, dove si educano alla politica nazionale coloro che poi, giunti a Roma come rappresentanti del popolo italiano, fan della politica un'arte provinciale, una sorta di mercato nazionale dei pettegolezzi, delle chiacchiere, dei particolarismi provinciali.
Se si compiesse un'indagine sull'origine della nostra classe politica, si vedrebbe che essa vien reclutata soprattutto nei ceti più gretti delle nostre province, massimamente in quelle più arretrate, dove il potere non è in mano né all'antica aristocrazia, né alla borghesia grassa, né al popolo, ma agli elementi più stretti, più meschini, più avari, e socialmente più incerti, più ibridi, che fan del pettegolezzo un'arte politica, e della politica un'arte del pettegolezzo, e non concepiscono i problemi nazionali se non come la ripetizione, su scala maggiore, dei consueti,
piccoli problemi provinciali, e la lotta politica italiana se non come la continuazione di quell'eterna guerriglia che nel "borgo natìo" oppone da secoli i farmacisti ai droghieri, gli avvocati ai medici, le comari degli uni alle comari degli altri.
Né credano i miei lettori meridionali che io alluda soltanto al Mezzogiorno: tutta l'Italia è paese. Alludo anche all'Italia settentrionale e a quella di mezzo, dove il pettegolezzo, l'intrigo, le chiacchiere, i rancori personali, son fatti della stessa materia di cui son fatti nel Mezzogiorno, pur mancando di quella bonomia, di quella umana comprensione, di quella indulgenza, che son caratteri comuni degli italiani delle province meridionali, e che gli italiani del Mezzogiorno pongono in ogni loro giudizio e in ogni loro atto, perfino negli atti e nei giudizi politici (...).
Quale meraviglia, dunque, se l'Italia è tutta Peretola? Se Roma, la Roma politica, non è se non la somma di tutte le Peretole italiane? E se perfino i Consigli dei ministri non sono se non la ripetizione, su scala più ampia, del Consiglio comunale di Peretola?

Comments:
Dedico questo articolo al gentile e colto contradditore Ismael, che senza capire nulla del mio precedente articolo sul Grillo provinciale, senza alcun senso dell'umorismo (unico tratto visibile dell'intelligenza), ma in modo tronfio, serioso ed erudito, insomma da tipico provinciale della barzelletta, ha osato difendere i provinciali.
 
Bravissimo! Da giovane donna che vive in provincia senza essere "provinciale" applaudo.
Sapessi quanti personaggi a me ben noti hai descritto...
Un abbraccio
 
Bello anche il brano di Malaparte, complimenti
 
Un po' forte e paradossale, ma alla fine condivido
 
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