10 dicembre, 2005
Ritratto d'un Fregoli della politica
e sue dimissioni, vuol dire che è da molto che hai maturato questo
distacco dalla politica e dai metodi che per convenzione chiamiamo radical-progressisti.
Ognuno di noi liberali e-o libertari, del resto, ha avuto il suo morbillo (filo-radicalismo) e la sua scarlattina (anti-radicalismo). Avendo già passato da tempo entrambe le malattie infantili, io oggi ho un approccio più disincantato ma anche sereno verso le punture radicali.
Caro Hamlet, visto il loro scarso, anzi nullo, potere, vedo gli amici radicali, con tutte le loro asprezze, un po' come il pepe che manca ai liberali. Sono cioè un elemento della grande dialettica.
Come diceva quel tale? Tesi-antitesi-sintesi. Vedi, l'antitesi radicale, per quanto acidula o piccante se gustata da sola, può servire mirabilmente a bilanciare le gravi carenze organolettiche del pasto laico e liberale
PS. Ti ho risposto così perché credo che il blog non mi consenta la replica ai commenti.
PPS. Posso pubblicare come Hamlet
(ma ti consiglio il tuo nome vero)
la tua bella risposta sulla Newsletter?
PS: peccato che "il pepe e il sale" radicale, come dice da tempo (l'attempato) Mauro Mellini, si risolva da decenni in pura tattica senza nessun esito strategico.
D'altronde anche Pannella come Ciampi, Prodi, Berlusconi è assai avanti negli anni quindi deve più difendere il proprio passato da tramandare, che lavorare per un futuro concreto.
cresce una salutare polemica. Ecco l'intervento di Raffaello Morelli (Fed. dei Lib.) in risposta al mio de L'opinione.
da http://www.liberalcafe.it/
La risposta di Raffaello Morelli
Tentellini riconosce che "De Lucia ha confezionato con indubbia professionalità un dossier molto ben documentato ed articolato". Dunque i fatti ascritti a Marcello Pera sono veri. Per Tentellini non costituiscono tuttavia prova. Perché il libro è "tutto costruito però sul bersaglio e perciò volto, a priori, a dare forza ad una tesi precostituita: la biografia politica di Pera “più che idealità o istituzioni, evoca il teatrante Leopoldo Fregoli, celeberrimo per le formidabili doti trasformistiche” e le sue sono “incredibili piroette mediante le quali è arrivato fino al vertice di Palazzo Madama".
L'avere questo bersaglio peraltro non muta i fatti. Tentellini non si arrende e obietta che analoghe operazioni di requisitoria si potrebbero applicare anche a Rutelli o a Pannella che nel tempo hanno cambiato pareri e posizioni. Dunque, Tentellini sostiene l'opportunità di praticare l'ignoranza del passato. Non praticarla, per Tentellini significa "fare a polpette ogni residuo di metodo e pratica politica liberale" .
A me pare che sia l'esatto contrario. Ma Tentellini non se ne accorge, impegnato come è nel rovesciare il significato politico culturale dei termini.
Così, mentre denuncia che nel libro "ci si ostina – con ossessività - ad invocare il termine “liberale” accanto alla laicità, al socialismo e chi più ne ha più ne metta" , attribuisce non alle contraddizioni di Pera ma all'irrilevanza dei laici, il vigore e lo spazio della politica confessionale.
Evidentemente Tentellini non ha letto il discorso di Pera al Meeting dell'Amicizia e quelli successivi in America. Con questi ritmi, diviene fuorviante anche la conclusione finale, in sé giusta. E' vero, trascinare gli italiani ad un referendum sulla procreazione medicalmente assistita è stato un errore imperdonabile.
Ma non perché fossero giuste le posizioni neo-clericali di Pera, bensì perché, con l'interpretazione costituzionale invalsa, veniva dato a quelle posizioni un vantaggio di circa il 30% dei voti. Il che, dei saggi avversari della legge, non avrebbero dovuto concederlo. Anche a costo di rinunciare al palcoscenico.
Raffaello Morelli
Non solo Morelli ma anche Nico Valerio (Salon Voltaire) hanno reagito al mio articolo pubblicato su L’opinione. Ma Raffaello Morelli, involontariamente, fornisce due ulteriori argomenti alla mia definizione di operazione “illiberale” e dimostra quanto sia profonda e pervasiva l’egemonia culturale della sinistra post gramsciana e togliattiana nel nostro paese tanto da esercitare il suo (indubbio) fascino totalizzante anche tra i liberali:
1.Il termine “prova” non è afferente alla sfera della politica, ma a quella dell’attività giudiziaria. La formazione della “prova” è codificata dalle norme e dalla giurisprudenza nell’ambito delle fasi del “processo” ed è distinta in diverse tipologie. Infatti, al titolo del libro basterebbe sostituire la parola “ritratto” con “processo” e il gioco è fatto, le carte definitivamente scoperte e già navighiamo tra Micromega e Travaglio. Prova di che poi? Anche io negli anni ottanta (sono nato nel 1960) - sul quotidiano comunista “il manifesto” - pubblicavo vignette antinucleari e articoletti di stretta ortodossia marxista-leninista. E se qualcuno, oggi, vuole -per contestare la mia attività politico-culturale attuale - mettermi sotto requisitoria perché in passato sono stato iscritto al Pdup e ad Avanguardia Operaia fa un’operazione demagogica di stampo goebbelsiano.
2. Morelli non cita ed elude l’argomento principale del mio articolo e cioè il fatto che l’autore sia non uno scrittore o giornalista, ma bensì il dirigente di un partito politico nazionale. E qui sta il nocciolo duro dell’illiberalità di questo metodo di fare politica. E non mi riferisco a codici “morali”, ma all’etica della responsabilità personale che dovrebbe guidare, nel compiersi dell’azione politica, tutti i liberali (o almeno coloro che si fregiano d’esser tali) e, di conseguenza, il rispetto del ruolo politico che si ricopre e delle regole che ne limitano l’esercizio in base alle quali, la libertà non è arbitrarietà del “poter fare” ma – soprattutto- lo scrupoloso attenersi al confine di ciò che non si deve fare. E per me, in questa stagione devastante di “guerre per bande” tra poteri finanziari, grembiulini vari, tonache dell’Opus dei, segreterie di partiti, CdA di aziende editoriali occupate come un accampamento di cosacchi, anche il libro di De Lucia è un episodio che iscrive in toto nella progressiva dissoluzione della classe politica dirigente (radicali inclusi), incapace di guidare non solo il paese (sia dal governo e sia dall’opposizione, che sono le due facce di una democrazia costituzionale), ma anche se stessa.
Hai inventato il "paradosso della polemica politica". Vedo che rivesti di eccessiva dignità istituzionale il ruolo del politico (p.es. il dirigente radicale De Lucia), un ruolo stretto da mille paletti formali e di bon ton. E chi non li osserva è "illiberale" e staliniano - dici tu - perché utilizza la propria posizione privilegiata e irresponsabile per combattere battaglie ad personam e distruggere strumentalmente l'avversario. Eh, però, va a finire per paradosso che chiunque è più libero nella polemica politica del politico stesso. Il che è contro il senso comune. Perché al radicale De Lucia dovrebbe essere vietato ciò che è consentito a Valerio o Tentellini?
Anche perché, attenzione, il radicale De Lucia che distrugge in un libro il presidente Pera, non è né premier, né ministro di polizia, né guardasigilli, ma solo un oscuro dirigente interno d'un partitino che non ha alcun potere. Quindi niente stalinismo e "illiberalismo" di posizione.
Pur ammirando la tua imprevedibile e a suo modo affascinante costruzione dialettica, caro Luca,
mi trovo molto più d'accordo con l'amico Raffaello Morelli, segretario della Fed.Lib., a cui mi legano tra l'altro le comuni origini nella Gioventù Liberale.
Con rigore "protestante" Morelli è più pragmaticamente attento alla realtà dell'accusa, o meglio della ricostruzione storica (vale a dire il contenuto del libro di De Lucia). E non gli ci vuole molto per dimostrare che le verità enunciate dal libro - il trasformismo sfacciato di Pera nel giro di pochi anni - sono così vere e storicamente provate da superare qualsiasi eventuale inibizione di ruoli o di bon ton politico.
Insomma, per finirla con un sorriso, tu potrai pure essere un vescovo tenuto ad un certo comportamento, ma se vedi il papa tuo superiore che alza le vesti ad una suora hai il dovere di dirlo, almeno al tuo confessore. Non tanto per moralismo, quanto per coerenza, come dire, "politica": che papa sarà uno che blatera di castità e di dominio sugli istinti animali e poi in materia è il più incoerente tra gli uomini? Così per Pera. Guarda i suoi gravi difetti di incoerenza e di opportunismo, caro Luca, anziché la "maleducazione" e lo scarso rispetto formale dei suoi accusatori...
Siamo alla frutta, senza dubbio. Non solo grazie a Marcello Pera ma anche a coloro i quali, per contrastarlo, aprono i vecchi armadi dell’anticlericalismo con la stessa foga clericale della Santa Inquisizione e tirano fuori il peggio della politica post sessantottina con slogan del tipo “no taliban no vatican”. Così l’avversario da nano diviene la vittima, il perseguitato, il gigante incompreso che se la cava a buon mercato ignorando i suoi fragili contestatori.
E certo, dopo 60 anni di Repubblica e quasi altrettanti di costruzione dell’Europa siamo ancora al confronto impossibile tra modello anglosassone e modello continentale. Mentre l’uno si dimostra vitale e vincente l’altro affonda nella melma. La dignità istituzionale del politico, grande o piccino che sia, non è misurabile in carati, graduabile in eccessiva, moderata o sufficiente. O c’è o non cè. Se l’avversario ha gravi difetti di incoerenza ed opportunismo la sua politica sarà debole di per sé e dunque la propria proposta avrà più chances di raccogliere consenso. La domanda di fondo rimane quella contenuta nella massima anglosassone: se non sei la soluzione allora sei parte del problema. Sono oggi i liberali, divisi e frammentati, la soluzione per l’Italia impantanata oppure anche loro sono un pezzo del regime?
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