10 dicembre, 2005

 

Ritratto d'un Fregoli della politica

Un "uomo delle Istituzioni", uno dei più illustri rappresentanti della Seconda Repubblica. La sua biografia politica, però, più che idealità o istituzioni, evoca il teatrante Leopoldo Fregoli, celeberrimo per le formidabili doti trasformistiche. Ha compiuto incredibili piroette con le quali è arrivato fino ai vertici dello Stato, in quota laica e berlusconiana. Da quando si proclamava fautore di un "socialismo pragmatico" e strizzava l'occhio al Psi di Craxi (primi anni Ottanta), a quando come intellettuale "di sinistra" scriveva sul Manifesto. Da quando cavalcava l'ondata giustizialista e antipartitica provocata da Mani Pulite (primi anni Novanta). Da quando, campione liberale di laicità e anticlericalismo, si avvicinò ai radicali, fino a quando nel 1994 liquidò l'avvento di Forza Italia affermando che "Berlusconi è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e pure angosciato il povero Fellini". Ma nel 2005 lo troviamo (a parte l'alta carica istituzionale) senatore di Forza Italia, nemico giurato delle "toghe rosse", filoclericale a braccetto con papa Ratzinger, antilaico e teo-con all'italiana. Chi è?
Il libro "Siamo alla frutta: ritratto di Marcello Pera", scritto dal dirigente radicale Michele Di Lucia e presentato in via di Torre Argentina, a Roma, da Giuliano Ferrara, Gad Lerner e altri, non è solo un pamphlet polemico, ma soprattutto un'accurata e perfino equanime ricostruzione biografica, a quanto riferisce chi l'ha letto. Del resto, i cambiamenti d'abito del professore divulgatore di Popper sono stati tali e tanti che parlano da sé: inutili le invettive.
Noi di tutti questi passaggi funambolici ci meravigliamo, sì, ma un po' ne sorridiamo anche, come si fa ad uno spettacolo acrobatico ben riuscito. Ci vuole abilità. Ma è una malattia ben nota nell'Italiuzza del "O Franza o Spagna, purché se magna". Del resto in letteratura esistono saggi o capitoli interi sulla tendenza al "trasformismo" degli uomini (politici o no) dell'Italia dal Medioevo ad oggi. In questo Pera è tipicamente italiano. Anche nelle "motivazioni". E sì, perché in Italia queste giravolte si chiamano "maturazioni", con la scusa che "solo gli stupidi non cambiano idea". E' vero, ma chi parlava di intelligenza elementare? Noi qui si sta parlando di coerenza morale, di ethos, di maturazione psicologica, e anche di personalità. Ed è indubbio che chi ha propensione a cambiare spesso idea, una forte personalità non ce l'ha.
Certo, si può discutere il buon gusto dei libelli ad personam (ma quanti ne circolavano nell'800?), che talvolta possono paradossalmente creare una vittima-eroe, come scrive l'amico Luca Tentellini sull'Opinione. Ma, caro Luca, perché lo definisci "un libro illiberale"? Un liberale è sempre un polemista. Sarebbe "staliniano", è vero, solo se i radicali fossero in un Governo assolutista e avessero il ministro di polizia. Ma allora, stà sicuro, Pera sarebbe un "radicale ultrà", anzi un giacobino mangiapreti. E poi, ricordiamocelo, il liberalismo non è mai neutrale, anodino, vigliacco. Non è la media delle posizioni politiche possibili, come credono molti non liberali che pure cianciano di "liberalismo" a Destra e a Sinistra, ma è una vigorosa e decisa parte in causa. Non solo gli eroi del Risorgimento, ma perfino Gobetti, sapevano che il liberalismo è lotta. E nella lotta, si sa, ci sono gli avversari. E se questi colpiscono sotto la cintura o con armi vietate (strumentalizzando la Chiesa, la "morale" cattolica, le "origini cristiane" dell'Europa, il no alla libertà della scienza), cioè con un clericalismo da 800, noi dobbiamo reagire. I liberali sono tenuti alla legittima difesa. E se i radicali hanno commesso qualche errore politico, come scrive l'amico Luca (ieri, in sintesi, eccesso di referendum e quesiti "non politici" o troppo politici, oggi confusione tra liberalismo e socialismo nella versione "ad usum Prodi"), questo non vuol dire che nel confronto con Pera non abbiano ragione. Non vorrai, caro Luca, mettere i due errori sullo stesso piano, vero?

Comments:
Marcello Pera è certo un personaggio indifendibile, soprattutto da se stesso. Basti l’intervista del nostro, oggi su Il Giornale, cui fa da contraltare una feroce vignetta di Vincino su Il Foglio con un Pera “re Mida” che trasforma tutto in merda. Il punto – infatti – non è il filosofo toscano ma il dirigente radicale (un politico), che attacca un altro esponente politico per mezzo del pamphlet, dell’artificio editoriale finto culturale, uno strumento esclusivamente concepito non ad affermare una linea politica contraria o avversa a quella del “nemico”, ma esclusivamente teso a screditare l’avversario come persona decostruendone ad arte la biografia politica. Il piccolo Travaglio radicale (De Lucia) affonda in solide radici. Già il recente “processo” europeo al monaco Buttiglione, istruito da Pannella, ne è un solido esempio. Come non ricordare i dossier ad personam - replicati a tormentone da Radio Radicale - contro l’ing. Carlo de Benedetti, oppure gli inserti telematici su internet a carico di Bruno Vespa? Quando ero ragazzino “di sinistra” la si chiamava controinformazione. Ed erano i giorni in cui era d’obbligo tenere bene in vista “Che fare?” o “Stato e rivoluzione” (con accanto le poesie di Mao Tse Dong) perché, come minimo, se non praticavi il leninismo operaista rischiavi l’accusa di essere, se non un nemico del popolo, di sicuro un complice dei “fascisti”. D’altronde fu proprio, due anni fa nel corso di un’assemblea radicale, la franchezza dell’ottimo Massimo Bordin ad aprirmi gli occhi sul riflesso leninista di ritorno. “Io non sono liberale”, mi disse il buon Bordin il quale gestisce con solerte pugno di ferro l’alacre censura dei media radicali. Ma perché, allora, quell’ossessione nel voler accostare al blairzapaterofortunaradicalesocialista il termine “liberale”. Che ci azzecca? direbbe il nerboruto ex magistrato oggi alleato della Rosa nel pugno?
 
Hamlet, se citi il lontano episodio "processo a Buttiglione"
e sue dimissioni, vuol dire che è da molto che hai maturato questo
distacco dalla politica e dai metodi che per convenzione chiamiamo radical-progressisti.
Ognuno di noi liberali e-o libertari, del resto, ha avuto il suo morbillo (filo-radicalismo) e la sua scarlattina (anti-radicalismo). Avendo già passato da tempo entrambe le malattie infantili, io oggi ho un approccio più disincantato ma anche sereno verso le punture radicali.
Caro Hamlet, visto il loro scarso, anzi nullo, potere, vedo gli amici radicali, con tutte le loro asprezze, un po' come il pepe che manca ai liberali. Sono cioè un elemento della grande dialettica.
Come diceva quel tale? Tesi-antitesi-sintesi. Vedi, l'antitesi radicale, per quanto acidula o piccante se gustata da sola, può servire mirabilmente a bilanciare le gravi carenze organolettiche del pasto laico e liberale

PS. Ti ho risposto così perché credo che il blog non mi consenta la replica ai commenti.
PPS. Posso pubblicare come Hamlet
(ma ti consiglio il tuo nome vero)
la tua bella risposta sulla Newsletter?
 
Caro Nico, certo che puoi pubblicare anche a nome Luca t..

PS: peccato che "il pepe e il sale" radicale, come dice da tempo (l'attempato) Mauro Mellini, si risolva da decenni in pura tattica senza nessun esito strategico.
D'altronde anche Pannella come Ciampi, Prodi, Berlusconi è assai avanti negli anni quindi deve più difendere il proprio passato da tramandare, che lavorare per un futuro concreto.
 
entellini può pensare il peggio possibile del libro di Michele De Lucia "Siamo alla frutta-ritratto di Marcello Pera" . Ma non qualificare il libro illiberale. Perchè il commento che ne fa Tentellini, è inconsistente in punto di metodo e di indizi circa questo preteso illiberalismo.

cresce una salutare polemica. Ecco l'intervento di Raffaello Morelli (Fed. dei Lib.) in risposta al mio de L'opinione.

da http://www.liberalcafe.it/

La risposta di Raffaello Morelli

Tentellini riconosce che "De Lucia ha confezionato con indubbia professionalità un dossier molto ben documentato ed articolato". Dunque i fatti ascritti a Marcello Pera sono veri. Per Tentellini non costituiscono tuttavia prova. Perché il libro è "tutto costruito però sul bersaglio e perciò volto, a priori, a dare forza ad una tesi precostituita: la biografia politica di Pera “più che idealità o istituzioni, evoca il teatrante Leopoldo Fregoli, celeberrimo per le formidabili doti trasformistiche” e le sue sono “incredibili piroette mediante le quali è arrivato fino al vertice di Palazzo Madama".

L'avere questo bersaglio peraltro non muta i fatti. Tentellini non si arrende e obietta che analoghe operazioni di requisitoria si potrebbero applicare anche a Rutelli o a Pannella che nel tempo hanno cambiato pareri e posizioni. Dunque, Tentellini sostiene l'opportunità di praticare l'ignoranza del passato. Non praticarla, per Tentellini significa "fare a polpette ogni residuo di metodo e pratica politica liberale" .

A me pare che sia l'esatto contrario. Ma Tentellini non se ne accorge, impegnato come è nel rovesciare il significato politico culturale dei termini.

Così, mentre denuncia che nel libro "ci si ostina – con ossessività - ad invocare il termine “liberale” accanto alla laicità, al socialismo e chi più ne ha più ne metta" , attribuisce non alle contraddizioni di Pera ma all'irrilevanza dei laici, il vigore e lo spazio della politica confessionale.

Evidentemente Tentellini non ha letto il discorso di Pera al Meeting dell'Amicizia e quelli successivi in America. Con questi ritmi, diviene fuorviante anche la conclusione finale, in sé giusta. E' vero, trascinare gli italiani ad un referendum sulla procreazione medicalmente assistita è stato un errore imperdonabile.

Ma non perché fossero giuste le posizioni neo-clericali di Pera, bensì perché, con l'interpretazione costituzionale invalsa, veniva dato a quelle posizioni un vantaggio di circa il 30% dei voti. Il che, dei saggi avversari della legge, non avrebbero dovuto concederlo. Anche a costo di rinunciare al palcoscenico.

Raffaello Morelli
 
E’ un salutare dibattito, spero chiarificatore, quello che si svolge sul libro di Michele de Lucia.
Non solo Morelli ma anche Nico Valerio (Salon Voltaire) hanno reagito al mio articolo pubblicato su L’opinione. Ma Raffaello Morelli, involontariamente, fornisce due ulteriori argomenti alla mia definizione di operazione “illiberale” e dimostra quanto sia profonda e pervasiva l’egemonia culturale della sinistra post gramsciana e togliattiana nel nostro paese tanto da esercitare il suo (indubbio) fascino totalizzante anche tra i liberali:
1.Il termine “prova” non è afferente alla sfera della politica, ma a quella dell’attività giudiziaria. La formazione della “prova” è codificata dalle norme e dalla giurisprudenza nell’ambito delle fasi del “processo” ed è distinta in diverse tipologie. Infatti, al titolo del libro basterebbe sostituire la parola “ritratto” con “processo” e il gioco è fatto, le carte definitivamente scoperte e già navighiamo tra Micromega e Travaglio. Prova di che poi? Anche io negli anni ottanta (sono nato nel 1960) - sul quotidiano comunista “il manifesto” - pubblicavo vignette antinucleari e articoletti di stretta ortodossia marxista-leninista. E se qualcuno, oggi, vuole -per contestare la mia attività politico-culturale attuale - mettermi sotto requisitoria perché in passato sono stato iscritto al Pdup e ad Avanguardia Operaia fa un’operazione demagogica di stampo goebbelsiano.
2. Morelli non cita ed elude l’argomento principale del mio articolo e cioè il fatto che l’autore sia non uno scrittore o giornalista, ma bensì il dirigente di un partito politico nazionale. E qui sta il nocciolo duro dell’illiberalità di questo metodo di fare politica. E non mi riferisco a codici “morali”, ma all’etica della responsabilità personale che dovrebbe guidare, nel compiersi dell’azione politica, tutti i liberali (o almeno coloro che si fregiano d’esser tali) e, di conseguenza, il rispetto del ruolo politico che si ricopre e delle regole che ne limitano l’esercizio in base alle quali, la libertà non è arbitrarietà del “poter fare” ma – soprattutto- lo scrupoloso attenersi al confine di ciò che non si deve fare. E per me, in questa stagione devastante di “guerre per bande” tra poteri finanziari, grembiulini vari, tonache dell’Opus dei, segreterie di partiti, CdA di aziende editoriali occupate come un accampamento di cosacchi, anche il libro di De Lucia è un episodio che iscrive in toto nella progressiva dissoluzione della classe politica dirigente (radicali inclusi), incapace di guidare non solo il paese (sia dal governo e sia dall’opposizione, che sono le due facce di una democrazia costituzionale), ma anche se stessa.
 
Caro Hamlet (alias dell'amico Luca Tentellini, intelligente notista politico dell'Opinione), ti capisco: devi aver subìto una forte delusione dai cugini radicali per essere ora così intransigente da pretendere da loro una sorta di "castità monacale" nella lotta politica che fa a pugno col buon senso.
Hai inventato il "paradosso della polemica politica". Vedo che rivesti di eccessiva dignità istituzionale il ruolo del politico (p.es. il dirigente radicale De Lucia), un ruolo stretto da mille paletti formali e di bon ton. E chi non li osserva è "illiberale" e staliniano - dici tu - perché utilizza la propria posizione privilegiata e irresponsabile per combattere battaglie ad personam e distruggere strumentalmente l'avversario. Eh, però, va a finire per paradosso che chiunque è più libero nella polemica politica del politico stesso. Il che è contro il senso comune. Perché al radicale De Lucia dovrebbe essere vietato ciò che è consentito a Valerio o Tentellini?
Anche perché, attenzione, il radicale De Lucia che distrugge in un libro il presidente Pera, non è né premier, né ministro di polizia, né guardasigilli, ma solo un oscuro dirigente interno d'un partitino che non ha alcun potere. Quindi niente stalinismo e "illiberalismo" di posizione.
Pur ammirando la tua imprevedibile e a suo modo affascinante costruzione dialettica, caro Luca,
mi trovo molto più d'accordo con l'amico Raffaello Morelli, segretario della Fed.Lib., a cui mi legano tra l'altro le comuni origini nella Gioventù Liberale.
Con rigore "protestante" Morelli è più pragmaticamente attento alla realtà dell'accusa, o meglio della ricostruzione storica (vale a dire il contenuto del libro di De Lucia). E non gli ci vuole molto per dimostrare che le verità enunciate dal libro - il trasformismo sfacciato di Pera nel giro di pochi anni - sono così vere e storicamente provate da superare qualsiasi eventuale inibizione di ruoli o di bon ton politico.
Insomma, per finirla con un sorriso, tu potrai pure essere un vescovo tenuto ad un certo comportamento, ma se vedi il papa tuo superiore che alza le vesti ad una suora hai il dovere di dirlo, almeno al tuo confessore. Non tanto per moralismo, quanto per coerenza, come dire, "politica": che papa sarà uno che blatera di castità e di dominio sugli istinti animali e poi in materia è il più incoerente tra gli uomini? Così per Pera. Guarda i suoi gravi difetti di incoerenza e di opportunismo, caro Luca, anziché la "maleducazione" e lo scarso rispetto formale dei suoi accusatori...
 
Più si esplicita il dibattito più se ne coglie l’importanza.Il tema della cultura e della pratica politica riflette lo stato delle cose presenti e dei pesanti fardelli del passato che gravano come un’ombra oscura. D’altronde è sufficiente scorrere le prime pagine dei giornali o i titoli dei Tg per constatare come ancora non siamo usciti dal clima di golpe giudiziario permanente che condiziona tutto e tutti ed è l’altra faccia della decadenza del nostro paese. A furia di vivere in una società illiberale per statuto costituzionale (Ostellino) anche i liberali, piccole meteore e frammenti, si accodano al costume nazionale, pur tra i mille distinguo e le ritrosie snob che li contraddistinguono. Essere avversari delle teorie politiche di Pera, ed io lo sono, nulla ha da spartire con “l’accusa” di De Lucia la quale non è una “ricostruzione storica” – che è lavoro per gli storici i quali contestualizzano e iscrivono i documenti e le fonti in uno scenario – ma una banalizzazione della storia stessa, una facile scorciatotoia per non affrontare con adeguati argomenti i temi reali posti dalla controparte e non prendere sul serio l’avversario politico. Giulio Giorello, il cattolico Dario Antiseri, Emanuele Severino invece, il Pera - ma anche Adornato & C. e il cugino nemico Ferrara -, li hanno presi sul serio e si sono affrettati pubblicare pamphlet e saggi per controbattere all’insidiosa proposta culturale e teoretica dell’asse Pera - Ratzinger e la svolta di Habermas. Il campo di confronto è quello delle idee e della pratica applicazione delle stesse. Dunque, il campo nel quale i liberali e i laici dovrebbero agire e, si spera, primeggiare. Figuriamoci. L’anniversario mazziniano - e non è un caso - è passato sotto silenzio, malgrado le note ed i richiami di Ciampi. Mazzini, chi era costui? Roba vecchia, polveroso Risorgimento tardo romantico, con tutte quelle barbe e i basettoni. L’ennesima occasione mancata per ricostruire – questa volta sì, sul serio – la Storia dell’Italia e dell’Europa, le sue autentiche radici, al di fuori della lente deformante del dogma marxista-leninista e del suo fratellino cattolico integralista. Invece, per rispondere alla montante marea reazionaria – reazionaria in termine classico - (che pure ha una sua forza, un suo fascino, una ricca e imperiosa tradizione) si è scelto il vecchio ritornello dello “scemo, scemo...”, con l’alibi della superiorità morale, della diversità genetica, della delegittimazione apripista dello scandalo a servizio permanente effettivo, tanto caro a persone come il vignettista Vauro.
Siamo alla frutta, senza dubbio. Non solo grazie a Marcello Pera ma anche a coloro i quali, per contrastarlo, aprono i vecchi armadi dell’anticlericalismo con la stessa foga clericale della Santa Inquisizione e tirano fuori il peggio della politica post sessantottina con slogan del tipo “no taliban no vatican”. Così l’avversario da nano diviene la vittima, il perseguitato, il gigante incompreso che se la cava a buon mercato ignorando i suoi fragili contestatori.
E certo, dopo 60 anni di Repubblica e quasi altrettanti di costruzione dell’Europa siamo ancora al confronto impossibile tra modello anglosassone e modello continentale. Mentre l’uno si dimostra vitale e vincente l’altro affonda nella melma. La dignità istituzionale del politico, grande o piccino che sia, non è misurabile in carati, graduabile in eccessiva, moderata o sufficiente. O c’è o non cè. Se l’avversario ha gravi difetti di incoerenza ed opportunismo la sua politica sarà debole di per sé e dunque la propria proposta avrà più chances di raccogliere consenso. La domanda di fondo rimane quella contenuta nella massima anglosassone: se non sei la soluzione allora sei parte del problema. Sono oggi i liberali, divisi e frammentati, la soluzione per l’Italia impantanata oppure anche loro sono un pezzo del regime?
 
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