Produttori controllati da se stessi. Dalle banche alle assicurazioni, dai costruttori di automobili ai produttori di alimenti biologici, e così via. Ogni corporazione, ogni ditta, si fa le regole e i trucchi che vuole. Col beneplacito del mercato, s’intende. E i cittadini – fondamentale parte del mercato, anzi sono loro il “mercato” a sentire i produttori – stanno a guardare e a subire. Come lo Stato, del resto, che solo in questi casi si ricorda di essere neutrale: dopo che l’imbroglio è stato commesso.
Ma non ci avevano insegnato i libri, quando eravamo giovani studenti di liceo, e già liberaloni, che il mercato lasciato a se stesso avrebbe provveduto a tutto, si sarebbe per così dire auto-regolato grazie all’incontro di domanda e offerta – entrambe paritarie, assicuravano i buoni teorici e filosofi – e che, per dire, cinque criminali nel West selvaggio e senza regole, pur di non morire tutti e cinque, avrebbero trovato un minimo di regole comuni per poter convivere, instaurando comunque un codice di comportamento paradossalmente e a suo modo “morale”? Ma certo, dal “bellum omnium contra omnes” è nato a poco a poco il Diritto. Ora invece siamo forse tornati alla “parola” del bandito Jessy James data come indiscutibile, che si fa legge in virtò della pura prepotenza, come quella dei Principi antichi, soprattutto nell’autoritario Oriente, che dicevano legge? Siamo regrediti alla giustizia “domestica” dei signorotti del Medioevo, alle carceri private tollerate, anzi facilitate, dai Borboni, che affidavano per propria indifferenza cinica e inettitudine ai castaldi, valvassori e potenti locali, più o meno mafiosi, l’amministrazione di quell’embrione corrotto e malandato di Stato che era il Regno delle Due Sicilie?
Il paragone è forzato, ovviamente, e serve solo a stimolare
la reazione del lettore, ma interrogativi non diversi toccano oggi addirittura
caposaldi economici della cosiddetta democrazia liberale: il capitalismo, la
concorrenza, il mercato libero. Fatelo dire a un liberale fino all’osso, ma appunto
perché vero liberale non liberista fanatico: sono soluzioni ottime, addirittura
le migliori. Perché frutto di una lunga, libera “selezione naturale” parallela
all’evoluzione dell’Uomo. Ce ne abbiamo messi di millenni, in cui abbiamo
sperimentato tutto il possibile, proprio poiché partivamo da zero: dal baratto
in su. Ma poi abbiamo trovato il meglio del meglio, o se volete assolutamente
il meno peggio. Proprio come Churchill diceva della democrazia: «È stato detto
che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte
quelle altre forme che si sono sperimentate finora». Ecco, lo stesso si può
dire del mercato libero e del capitalismo.
Però, però... Funzionano bene, producono ricchezza vera,
cioè benessere e felicità per i cittadini, solo se interpretate da un livello
notevole di giustizia, moralità e rispetto delle regole. Se chi non è bravo viene
effettivamente estromesso dal mercato (lasciato fallire), se gli imbroglioni
vanno in galera, se chi evade le tasse è condannato a pagarle con gli interessi
e le penalità, meglio se col carcere. E non per inutile autoritarismo, ma
perché bisogna reprimere chi falsa le regole di concorrenza danneggiando
concorrenti, acquirenti e intero sistema. Ecco perché questo rispetto deve
essere sorretto da controlli quotidiani, severissimi, ossessivi, vista la
delicatezza e invasività dei processi economici sulla società.
E invece, che accade in pratica? Che chi produce - grande banca d'affari, multinazionale alimentare, casa automobilistica (*), rete di grande distribuzione di merci, network televisivo, oligopolio dell'informatica ecc. - può fare tutti i trucchi che crede, sia nel bilancio che nella produzione, e ha quasi
sempre mano libera. Perché istituzioni, leggi e società lo vedono sempre d’un
preconcetto buon occhio (gli “investimenti”, la manodopera impiegata, le
ricadute ecc.), cioè guardando agli sbandierati vantaggi. A differenza degli
acquirenti o consumatori, sempre tartassati o ignorati. Eppure, lo ricordava
sempre Einaudi, il sistema economico del mercato libero si regge sulla perfetta
equiparazione tra domanda e offerta, tra consumatori e produttori. Che, nemici gli uni degli altri, sia chiaro, pure tra loro
si incontrano e si bilanciano, ma solo se hanno uguale potere, cioè uguali
garanzie, uguali diritti e doveri. E se ognuno, ogni categoria, fa le pulci all'altro.
Ma, ecco la differenza tra i liberali e i liberisti, queste
regole devono essere esterne, non interne. Si è visto che il mercato, per la
disparità di potere tra produttori e acquirenti, come intuì già il grande
Einaudi, non basta da solo ad auto-regolarsi. Ci vogliono controlli di tersi,
ma terzi non nel senso giuridico-contrattuale, bensì istituzionale, cioè lo Stato,
unico vero arbitro possibile. Del resto, che lo Stato sia l’arbitro e
addirittura il facilitatore e stimolatore (neutrale) ideale per le libertà dei
cittadini, non è una eterodossia, ma fa parte della teoria liberale.
Invece, che è accaduto? Che in tutti i grandi scandali
economici i controllori erano-sono società private addirittura pagate e
controllate dagli stessi controllati. Uno scandalo incredibile? No, nessuno
protestava. Se invece la cosa si fosse verificata nella Pubblica
Amministrazione, apriti cielo! Pensiamo solo a un presidente di Regione che si
facesse certificare da una ditta privata il bilancio regionale, evitando il
controllo della Corte dei Conti; o un Parlamento che affidasse a un collegio di
giuristi di propria scelta anziché alla Corte Costituzionale la legittimità
costituzionale delle proprie leggi. Anzi, questo già in parte accade, sia pure
normato da procedure che ne riducono i rischi, visto che la gran parte dei
giudici della Corte è appunto di nomina parlamentare. Un assurdo per qualunque
liberale. Ma torniamo alle distorsioni del mercato dovute ai controlli “di
favore” affidati a privati.
«Le somiglianze tra la crisi dei subprime del 2007-2008 e
Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen (*) sono impressionanti» – scrive il
giornalista economico Fubini sul
Corriere. «In entrambi i casi, i controlli
sulla qualità del prodotto sono affidati a società pagate dal produttore
stesso: nel caso dei subprime americani, le agenzie di rating arruolate dalle
banche perché rassicurassero sull’affidabilità di quei titoli; nel caso
Volkswagen, le aziende finanziate dal costruttore stesso perché certificassero
che quei motori sono puliti.Le somiglianze tra la crisi dei subprime del
2007-2008 e Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen sono impressionanti. In
entrambi i casi, i controlli sulla qualità del prodotto sono affidati a società
pagate dal produttore stesso: nel caso dei subprime americani, le agenzie di
rating arruolate dalle banche perché rassicurassero sull’affidabilità di quei
titoli; nel caso Volkswagen, le aziende finanziate dal costruttore stesso
perché certificassero che quei motori sono puliti».
Strette analogie ci sono anche in altri settori. Io, per
esempio, aggiungerei il conflitto di interessi patente tra produttori del
settore agricolo-alimentare detto del “biologico” e i loro controllori (le
società di Certificazione) pagati dai produttori stessi. Si è mai visto un
incontro di football in cui ciascuna squadra si porta in campo il proprio
arbitro?
Questa storia incredibile e obliqua per la quale i
produttori devono essere controllati da se stessi deve finire, e nel più breve
tempo possibile. Ma poiché questo enorme, paradossale conflitto di interessi ha
ormai pervaso tutta l’economia, temiamo che la riforma sarà molto difficile,
lunga e contrastata. E se riesce, sarà epocale. Perché rischia davvero di
trasformare l’intero funzionamento del mercato e il capitalismo stesso,
facendoli diventare finalmente equi, morali, liberali, proprio come dicevano i
teorici del libero mercato nel Settecento. Campa cavallo...
* La Volkswagen è stata accusata dall’EPA, ministero dell’Ambiente
degli Stati Uniti, di aver maliziosamente inserito nel cervello elettronico
delle sue auto – si parla di 500 mila autovetture – un programma che riduceva i
tassi di inquinamento solo in caso di test di controllo, rientrando così nei
parametri legali, specialmente per il tasso di ossido nitrico. Il manager VW
negli USA ha già ammesso i fatti. Solo in base a questo imbroglio la Volkswagen
– e forse anche qualche altra casa produttrice? – riusciva a vendere sul
mercato americano e anche nel resto del Mondo. Falsando così la concorrenza e
drogando le vendite e le esportazioni.
AGGIORNATO IL I OTTOBRE 2015
# Nico Valerio 13:24