24 settembre, 2015

 

Produttori controllati da se stessi. Il paradosso del “mercato poco libero”: senza regole neutre.

Produttori controllati da se stessi. Dalle banche alle assicurazioni, dai costruttori di automobili ai produttori di alimenti biologici, e così via. Ogni corporazione, ogni ditta, si fa le regole e i trucchi che vuole. Col beneplacito del mercato, s’intende. E i cittadini – fondamentale parte del mercato, anzi sono loro il “mercato” a sentire i produttori – stanno a guardare e a subire. Come lo Stato, del resto, che solo in questi casi si ricorda di essere neutrale: dopo che l’imbroglio è stato commesso.

Ma non ci avevano insegnato i libri, quando eravamo giovani studenti di liceo, e già liberaloni, che il mercato lasciato a se stesso avrebbe provveduto a tutto, si sarebbe per così dire auto-regolato grazie all’incontro di domanda e offerta – entrambe paritarie, assicuravano i buoni teorici e filosofi – e che, per dire, cinque criminali nel West selvaggio e senza regole, pur di non morire tutti e cinque, avrebbero trovato un minimo di regole comuni per poter convivere, instaurando comunque un codice di comportamento paradossalmente e a suo modo “morale”?  Ma certo, dal “bellum omnium contra omnes” è nato a poco a poco il Diritto. Ora invece siamo forse tornati alla “parola” del bandito Jessy James data come indiscutibile, che si fa legge in virtò della pura prepotenza, come quella dei Principi antichi, soprattutto nell’autoritario Oriente, che dicevano legge? Siamo regrediti alla giustizia “domestica” dei signorotti del Medioevo, alle carceri private tollerate, anzi facilitate, dai Borboni, che affidavano per propria indifferenza cinica e inettitudine ai castaldi, valvassori e potenti locali, più o meno mafiosi, l’amministrazione di quell’embrione corrotto e malandato di Stato che era il Regno delle Due Sicilie?

Il paragone è forzato, ovviamente, e serve solo a stimolare la reazione del lettore, ma interrogativi non diversi toccano oggi addirittura caposaldi economici della cosiddetta democrazia liberale: il capitalismo, la concorrenza, il mercato libero. Fatelo dire a un liberale fino all’osso, ma appunto perché vero liberale non liberista fanatico: sono soluzioni ottime, addirittura le migliori. Perché frutto di una lunga, libera “selezione naturale” parallela all’evoluzione dell’Uomo. Ce ne abbiamo messi di millenni, in cui abbiamo sperimentato tutto il possibile, proprio poiché partivamo da zero: dal baratto in su. Ma poi abbiamo trovato il meglio del meglio, o se volete assolutamente il meno peggio. Proprio come Churchill diceva della democrazia: «È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora». Ecco, lo stesso si può dire del mercato libero e del capitalismo.

Però, però... Funzionano bene, producono ricchezza vera, cioè benessere e felicità per i cittadini, solo se interpretate da un livello notevole di giustizia, moralità e rispetto delle regole. Se chi non è bravo viene effettivamente estromesso dal mercato (lasciato fallire), se gli imbroglioni vanno in galera, se chi evade le tasse è condannato a pagarle con gli interessi e le penalità, meglio se col carcere. E non per inutile autoritarismo, ma perché bisogna reprimere chi falsa le regole di concorrenza danneggiando concorrenti, acquirenti e intero sistema. Ecco perché questo rispetto deve essere sorretto da controlli quotidiani, severissimi, ossessivi, vista la delicatezza e invasività dei processi economici sulla società.

E invece, che accade in pratica? Che chi produce - grande banca d'affari, multinazionale alimentare, casa automobilistica (*), rete di grande distribuzione di merci, network televisivo, oligopolio dell'informatica ecc. - può fare tutti i trucchi che crede, sia nel bilancio che nella produzione, e ha quasi sempre mano libera. Perché istituzioni, leggi e società lo vedono sempre d’un preconcetto buon occhio (gli “investimenti”, la manodopera impiegata, le ricadute ecc.), cioè guardando agli sbandierati vantaggi. A differenza degli acquirenti o consumatori, sempre tartassati o ignorati. Eppure, lo ricordava sempre Einaudi, il sistema economico del mercato libero si regge sulla perfetta equiparazione tra domanda e offerta, tra consumatori e produttori. Che, nemici gli uni degli altri, sia chiaro, pure tra loro si incontrano e si bilanciano, ma solo se hanno uguale potere, cioè uguali garanzie, uguali diritti e doveri. E se ognuno, ogni categoria, fa le pulci all'altro.

Ma, ecco la differenza tra i liberali e i liberisti, queste regole devono essere esterne, non interne. Si è visto che il mercato, per la disparità di potere tra produttori e acquirenti, come intuì già il grande Einaudi, non basta da solo ad auto-regolarsi. Ci vogliono controlli di tersi, ma terzi non nel senso giuridico-contrattuale, bensì istituzionale, cioè lo Stato, unico vero arbitro possibile. Del resto, che lo Stato sia l’arbitro e addirittura il facilitatore e stimolatore (neutrale) ideale per le libertà dei cittadini, non è una eterodossia, ma fa parte della teoria liberale.

Invece, che è accaduto? Che in tutti i grandi scandali economici i controllori erano-sono società private addirittura pagate e controllate dagli stessi controllati. Uno scandalo incredibile? No, nessuno protestava. Se invece la cosa si fosse verificata nella Pubblica Amministrazione, apriti cielo! Pensiamo solo a un presidente di Regione che si facesse certificare da una ditta privata il bilancio regionale, evitando il controllo della Corte dei Conti; o un Parlamento che affidasse a un collegio di giuristi di propria scelta anziché alla Corte Costituzionale la legittimità costituzionale delle proprie leggi. Anzi, questo già in parte accade, sia pure normato da procedure che ne riducono i rischi, visto che la gran parte dei giudici della Corte è appunto di nomina parlamentare. Un assurdo per qualunque liberale. Ma torniamo alle distorsioni del mercato dovute ai controlli “di favore” affidati a privati.

«Le somiglianze tra la crisi dei subprime del 2007-2008 e Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen (*) sono impressionanti» – scrive il giornalista economico Fubini sul Corriere. «In entrambi i casi, i controlli sulla qualità del prodotto sono affidati a società pagate dal produttore stesso: nel caso dei subprime americani, le agenzie di rating arruolate dalle banche perché rassicurassero sull’affidabilità di quei titoli; nel caso Volkswagen, le aziende finanziate dal costruttore stesso perché certificassero che quei motori sono puliti.Le somiglianze tra la crisi dei subprime del 2007-2008 e Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen sono impressionanti. In entrambi i casi, i controlli sulla qualità del prodotto sono affidati a società pagate dal produttore stesso: nel caso dei subprime americani, le agenzie di rating arruolate dalle banche perché rassicurassero sull’affidabilità di quei titoli; nel caso Volkswagen, le aziende finanziate dal costruttore stesso perché certificassero che quei motori sono puliti».

Strette analogie ci sono anche in altri settori. Io, per esempio, aggiungerei il conflitto di interessi patente tra produttori del settore agricolo-alimentare detto del “biologico” e i loro controllori (le società di Certificazione) pagati dai produttori stessi. Si è mai visto un incontro di football in cui ciascuna squadra si porta in campo il proprio arbitro?

Questa storia incredibile e obliqua per la quale i produttori devono essere controllati da se stessi deve finire, e nel più breve tempo possibile. Ma poiché questo enorme, paradossale conflitto di interessi ha ormai pervaso tutta l’economia, temiamo che la riforma sarà molto difficile, lunga e contrastata. E se riesce, sarà epocale. Perché rischia davvero di trasformare l’intero funzionamento del mercato e il capitalismo stesso, facendoli diventare finalmente equi, morali, liberali, proprio come dicevano i teorici del libero mercato nel Settecento. Campa cavallo...
  

* La Volkswagen è stata accusata dall’EPA, ministero dell’Ambiente degli Stati Uniti, di aver maliziosamente inserito nel cervello elettronico delle sue auto – si parla di 500 mila autovetture – un programma che riduceva i tassi di inquinamento solo in caso di test di controllo, rientrando così nei parametri legali, specialmente per il tasso di ossido nitrico. Il manager VW negli USA ha già ammesso i fatti. Solo in base a questo imbroglio la Volkswagen – e forse anche qualche altra casa produttrice? – riusciva a vendere sul mercato americano e anche nel resto del Mondo. Falsando così la concorrenza e drogando le vendite e le esportazioni.

AGGIORNATO IL I OTTOBRE 2015

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