01 luglio, 2014
Scuole superiori in Italia: troppo divario col lavoro nelle aziende. Che non fanno ricerca.
La scuola secondaria e l’Università in Italia hanno colpe gravi, certo, perché furono pensate per fornire una dignitosa base culturale e teorica a una borghesia intellettuale e di provincia, di per sé poco operosa, se non nei tradizionali “impieghi umanistici”, come ancora accade oggi nel nostro Centro-Sud. E infatti i nostri famosi diplomati e laureati d’un tempo rappresentavano, appunto, il naturale emergere di un “genio” individuale, non la vittoria di squadra di un sistema culturale. E perché i nostri ottimi istituti tecnici industriali, dopo un ottimo inizio, caddero in decadenza per motivi che sarebbe lungo e complicato indagare. Crisi che si cerca di scongiurare per le nostre Università scientifiche. Ma anche i produttori in Italia hanno, al riguardo, le loro gravi colpe. Intanto, non sanno utilizzare le competenze fornite dalle scuole superiori, né spingerle alle innovazioni. Del resto, anche il nostro capitalismo è “all’italiana”, cioè familiare, provinciale, di vista corta, “sparagnino”, piuttosto conservatore, e incline agli aiuti di Stato. C’è anche poca cultura tra gli imprenditori italiani, che sono piccoli non solo come dimensioni di fatturato, ma anche per lungimiranza, capacità di tenersi al passo con “lo stato dell’arte”, aggiornarsi, competere utilizzando la ricerca e le ultime tecnologie. Una statistica ha trovato che ci sono pochi laureati tra gli imprenditori italiani, la cui figura tipica è il “padroncino”, cioè l’operaio che “si è messo in proprio”, con modeste competenze culturali. Questo gap, forse, appesantisce l’imprenditoria italiana. La colpa di tutto non è solo e sempre dei politici, dei sindacati, dei cinesi, dell’Europa; ma una buona parte di colpa ce l’hanno gli stessi imprenditori italiani. Sul tema del divario tra competenze fornite dalle scuole superiori e necessità dell’industria, pubblichiamo un articolo di Roberto Vacca (N. Valerio).
In USA le aziende investono in ricerca e sviluppo molto più che da noi. Quindi, la percentuale dei disoccupati è metà che in Italia. Pure gli industriali americani denunciano un grave divario fra le competenze/abilità ottenute dalle scuole superiori e quelle di cui hanno bisogno [skills gap]. Sul problema la Intelligence Unit dell’Economist ha appena pubblicato un rapporto, sponsorizzato dalla fondazione Lumina che in USA crea iniziative per innalzare i livelli di diplomati e laureati. Le aziende sostengono che spendono molto più di prima per addestrare il personale. È vitale farlo: il 60% dei posti di lavoro richiedono oggi una formazione post-diploma, dato che prodotti, processi e strumenti professionali vengono innovati di continuo (non solo nel settore informatico).
Lo studio dell’Economist si basa su interviste a 343 dirigenti di aziende che hanno da 100 a oltre 10.000 addetti e volumi di affari da milioni di dollari a oltre 10 miliardi. Per ridurre o annullare il divario citato, i 2/3 degli intervistati ha già in corso collaborazioni con università. Un terzo collabora con Community College (*).
Più della metà dei dirigenti intervistati ha dichiarato di considerare inadeguata la formazione dei giovani neo-assunti per quanto riguarda capacità di risolvere problemi; pensiero critico; lavoro di squadra; comunicazione; abilità tecniche; organizzare priorità multiple; uso di strumenti matematici.
In molti casi varie aziende stabiliscono con università e college programmi congiunti. Questi sono più efficaci quando ingegneri ed esperti di primo piano delle aziende collaborano a programmi di ricerca e sviluppo delle università.
La Northrop Grumman (aerospaziale, difesa) ha istituito presso l’Università del Maryland corsi avanzati di cyber sicurezza e ha anche rafforzato insegnamenti di computer, scienza, matematica, elettronica. Il CEWD (Centro per lo sviluppo della forza lavoro nel settore energia), creato da un consorzio di aziende del settore, organizza corsi pratici presso varie università. Incoraggia anche l’impiego di donne nella costruzione e manutenzione di reti elettriche.
Alcune aziende tedesche (fra cui BMW, Volkswagen e Siemens) stanno introducendo negli Stati Uniti la pratica dell’apprendistato. In Germania è pratica standard che dopo la maturità gli studenti si iscrivano a un corso universitario e insieme facciano gli apprendisti presso un’azienda. Il 25% delle aziende tedesche partecipa al programma, che non le obbliga ad assumere gli apprendisti. Circa il 60% dei giovani trova così il primo impiego. La BMW offre l’apprendistato nel
suo stabilimento di Spartanburg (South Carolina) che produce 300.000 auto all’anno, di cui il 70% esportate.
Parecchie aziende americane partecipano in vari modi a innalzare i livelli di conoscenza medi del pubblico in scienza, tecnica, ingegneria, elettronica – indicati con l’acronimo STEM. Questo accade poco in Italia. Ce ne sarebbe un bisogno estremo: la percentuale della popolazione che ha completato l’educazione terziaria è il 21,7%. La media europea è 35,8 %. A livello più basso dell’Italia c’è solo la Turchia.
La Commissione Europea ha pubblicato la classifica al 2013 dei 27 paesi dell’Unione in base al livello di innovazione raggiunto, espresso da un indice (compreso fra 0 e 1) funzione di 25 indicatori (lauree, ricerca scientifica, investimenti pubblici e privati in R&D, brevetti, etc.). L'Italia sta al 15° posto su 27, dopo Estonia, Slovenia, Cipro. Gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,53 del PIL (0,71 della media europea) e quelli privati sono lo 0,69 del PIL (0,52 della media europea). Questo divario dura da più di 30 anni. L’Italia è, dunque, carente nei livelli di istruzione e negli investimenti in ricerca e sviluppo particolarmente nel settore privato.
Gli imprenditori non hanno ragione di chiedere solo flessibilità negli adempimenti burocratici (pure necessaria). Devono raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo e assumere giovani eccellenti che inventino. Devono creare reti di collaborazione con università e industrie italiane e straniere. Lavoro e prosperità si creano studiando e inventando.
(*) I community college, creati dai governi locali, danno diplomi brevi di tipo tecnico, economico o umanistico e permettono ai giovani che escono dalle superiori di compiere un primo salto professionale. Ce ne sono 1500. Alcuni laureati dopo corsi di 4 anni, trovano lavoro più facilmente dopo aver seguito corsi biennali di tipo applicativo presso community college.
ROBERTO VACCA