16 luglio, 2007

 

Quei ragazzi liberali (o radicali?) che combattevano in jeans e camicia rossa

Ora abbiamo i no-global, i verdi, i frati di Assisi, la comunità di S. Egidio, perfino i black-bloc e gli ex brigatisti rossi, che ad ogni vento di guerra urlano "pace, pace". Come dargli torto? Solo che così mettono sullo stesso piano chi vuole la libertà e chi l’opprime. E’ come quando due vengono alle mani e la polizia li arresta entrambi, finendo così per dar ragione al più prepotente.
Ma ci sono stati tempi, altri tempi, in cui tanti giovani idealisti, spesso in rotta col padre moderato o conservatore ("Una testa calda - scuoteva la testa il genitore, - un figlio liberale non lo auguro a nessuno…"), accorrevano da tutt’Europa sotto le bandiere tricolori di Garibaldi, per combattere per la libertà contro ogni assolutismo. Avevano già capito, nell’Ottocento, quello che molti non hanno ancora compreso nel 2007: che non c’è pace senza libertà.
Allora solo le donne, madri, sorelle e figlie, e neanche tutte, odiavano la guerra. Mentre quei giovani idealisti si gettavano, non da "soldati" attratti dal soldo ma da volontari, solo nelle guerre giuste, quelle per la libertà. E spesso, come nella migliore tradizione liberale, per le libertà altrui.
E così i ventenni d’Europa, anche se non avevano mai preso in mano una baionetta si presentavano con la felice incoscienza dei diciotto o venti anni davanti al generale Garibaldi, il loro eroe, il mito vivente, per essere arruolati. E quanti ne morirono nel ‘49, sul colle Gianicolo, strategico per la difesa di Roma dall’Aurelia, contro i più numerosi ed esperti soldati francesi che tradendo la Rivoluzione dell’89 - eh, la politica! - stranamente stavano col papa Pio IX contro la Repubblica Romana di Mazzini e Saffi, che in teoria avrebbero dovuto difendere.
Oggi, chi percorre la passeggiata del Gianicolo fino a Porta S.Pancrazio e prosegue per villa Pamphili partendo dai monumenti a Giuseppe Garibaldi e Anita (le turiste guardano incantate quell'esile donna a cavallo che con un braccio stringe al petto un lattante, e con l’altro punta al cielo una pistola), scopre centinaia di busti, targhe di vie e lapidi dedicate a quei giovani coraggiosi, Erano i "ragazzi del ‘49", uomini e donne, borghesi, aristocratici e popolani, che seppero distinguere tra oppressori e difensori della libertà.
Ricorre in questi giorni (era nato il 4 luglio 1807 a Genova) il 200.o anniversario della nascita di Garibaldi, il più grande e popolare eroe del Risorgimento italiano, senza il cui coraggio né la consumata diplomazia di Cavour, né la filosofia etica di Mazzini sarebbero riuscite a fare, non dico gli Italiani - che sono ancora da fare - ma neanche l’Italia unita.
Garibaldi, spinto di nascosto da Cavour, portò nel Sud. dove regnavano da secoli corruzione e prepotenza, i diritti di libertà dell’Europa liberale, oltre a un minimo di efficienza. L’intero Regno delle Due Sicilie era ancora uno Stato medievale privo d’una vera organizzazione statuale (basta dire che le prigioni erano gestite dai singoli baroni nei loro palazzi), dove l’ingiustizia, la prepotenza e la spoliazione delle classi popolari erano massime, e bastavano il capriccio d’un poliziotto, l’antipatia d’un nobile locale o il malumore dell’incapace Re Ferdinando, attorniato da ministri da burletta, per finire per anni in prigioni inumane. Si legga, contro ogni revisionismo reazionario teso a riabilitare i Borboni e a screditare Garibaldi e i liberali, un’ineccepibile testimonianza dal basso, la ricca autobiografia del marchese siciliano Michele Palmieri di Miccicchè ("Pensieri e ricordi storici e contemporanei", ed. Sellerio), che sperimentò sulla propria pelle, pur essendo un privilegiato, la crudeltà pazzoide di quello Stato assolutista, corrotto, clericale e poliziesco.
Ma torniamo a Garibaldi. Lo strano comandante vestiva, come molti dei suoi soldati, in camicia rosso sangue, forse perché le ferite letali si notassero il più tardi possibile, e pantaloni di resistente tessuto diagonale finemento ritorto "tipo Genova", (da cui l’inglese "genoa’s", pronunciato poi "gen’s", jeans), in origine colorato col prezioso azzurro indaco, così forte che era il tessuto da fatica degli operai, così eterno - e quindi nobile - che già nel Rinascimento se ne traevano mantelli preziosi per i monarchi, come si vede in alcune raccolte di museo. Se non ci credete, andate a vedere i pantaloni jeans di Garibaldi al Museo del Risorgimento, proprio sotto l’Altare della Patria, a Roma. Non sono più consunti di quelli che si vedono per le strade oggi. Vi meraviglierete anche della loro piccola taglia: Garibaldi non era alto di statura.
La spedizione dei Mille nel sud d’Italia fu possibile per una sorprendente serie di condizioni favorevoli. Un’occasione unica che il genio di Cavour, grazie a Garibaldi, seppe cogliere.
Per nostra fortuna, il conte Benso era molto considerato in Europa, e il Generale era amatissimo in tutto il mondo. Solo un anno dopo la spedizione dei Mille, nel '61, l'ambasciatore degli Stati Uniti d'America a Bruxelles, Sanford, su incarico del segretario di stato Seward, e quindi con la piena approvazione di Lincoln, si recò a Caprera per proporre a Garibaldi di assumere il comando in un'armata nordista nella guerra di secessione, guerra "nobile" che aveva entusiasmato il Generale perché era tesa a difendere la libertà di oltre 3 milioni e mezzo di schiavi negri. E anche re Vittorio Emanuale assicurò che nel caso avrebbe dato il suo benestare. Non se ne fece nulla solo perché Garibaldi chiese volutamente una cosa impossibile: dichiarare egli stesso, anziché il presidente Lincoln, la fine della schiavitù. Molti, infatti, lo scongiuravano di non partire: c'era ancora da liberare Roma dal Papato. Da Napoli, che lo aveva eletto deputato, per fermarlo giunse un appello di 22.000 elettori. Evidentemente, non ancora "revisionisti": avevano ricordi freschi di che cos'erano i Borboni...
Ma torniamo alla spedizione nel Sud. Fecero una colletta il Governo di S.M. Britannica, non nuovo a queste intromissioni liberali (già nel '20, ricorda il Miccicchè, gli inglesi avevano tentato di scatenare una rivolta a Palermo), la Massoneria, i circoli protestanti e la Comunità ebraica inglese. La prospettiva dei finanziatori era ufficialmente l’unità d’Italia, con il suo portato benefico di libertà e ordine politico per l’Europa, ma in realtà si puntava anche al ridimensionamento del potere della Chiesa cattolica e alla fine del potere temporale dei papi. Fu consegnato a Garibaldi l’equivalente di ben 3 milioni di franchi francesi, in piastre d’oro turche, allora accettate in tutto il Mediterraneo. Qualcosa come molti milioni di dollari di oggi.
A che servivano? A sostenere i costi della spedizione, a ungere le ruote dei baroni per favorire la sollevazione popolare, ma anche a pagare profumatamente alcuni corrotti generali borbonici, ricordano gli storici revisionisti di provincia. Che infatti - argomentano - pur avendo truppe ben più numerose, e infinitamente meglio addestrate e armate dei Mille, si ritirarono o opposero una debole resistenza.
L’immagine di Garibaldi non ne esce minimamente offuscata. Solo la retorica storica, da scuola elementare, sulle difficoltà della spedizione dei Mille, retorica indispensabile - si sa - a tutti i giovani Stati, ne esce un po’ ridimensionata.
Ma anzi, complimenti postumi all’Italia di allora. Che seppe fare solo guerre stilizzate, simboliche, idealiste, quasi rituali, col minor spargimento di sangue possibile. Gli Italiani per fortuna non amano sparare. Malgrado le camicie rosse, fu un capolavoro di "guerra bianca", cioè diplomazia, spionaggio, intrighi, accordi dietro le quinte, elargizioni di denaro, finzioni, opportunismo, fortuna. Un’occasione unica - ripetiamo - che meraviglia ancor oggi. Politicamente un vero capolavoro, che non avrebbe mai potuto verificarsi né prima né dopo. Pensate solo all’ipotesi d'un rivolgimento del genere agli inizi o alla fine dell'800, oppure nel 900. Tantomeno sarebbe possibile ai nostri giorni, col papa di mezzo. Ci troveremmo le truppe Nato, Onu e magari Usa contro. Impensabile. Ancora una volta, grazie Gran Bretagna.
Il Generale, d’altra parte, pur avendo sulle navi dopo Quarto e Talamone l’equivalente di centinaia di miliardi di lire da distribuire a pioggia nel Sud (fu la prima elargizione a fondo perduto, un’anticipazione della Cassa del Mezzogiorno), fu sempre irreprensibile e visse con poco, ritirandosi a Caprera. Non così si può dire dei suoi figli, coinvolti nella prima speculazione edilizia di Roma. Per ripianare i debiti dei quali, fu costretto ad accettare la lauta pensione del Governo che aveva sempre rifiutato.
Un generale in jeans e camicia rossa, attorniato da ragazzi liberali di buona famiglia che vanno all’attacco in jeans e camicia rossa. Ma poi quando la partita si fa troppo impegnativa ed è in gioco l’unità d’Italia, capisce che non può rischiare di sbagliare, che l’eroismo individuale e i volontari non bastano più, e che magari è più fruttuoso il sistema realistico proposto a Cavour dalle lobbies politiche, finanziarie e religiose inglesi. E così, dopo aver finto di occupare le due navi della società Rubattino, distribuiti cariche, onori e oro, conquista sull'unghia un terzo dell’Italia, la consegna al pavido e imbarazzato Savoia, e si ritira povero a Caprera a sparlare - sempre italiano era - del Governo troppo moderato e attendista.
Chi sa se gli studenti di domani si ritroveranno sui libri di storia questa nuova vulgata, anch’essa un po’ retorica ma più vera della prima, dell’Eroe dei Due mondi, il "generale in jeans". Lui, sì, poteva esser fiero di dire "Lotto per mille" (mille uomini coraggiosi, s’intende). A trovarli, oggi!
Anzi, facciamo nostra la provocazione del bravo Aldo Forbice a "Zapping" (Radio Due). Tutti noi che non ne possiamo più di questa Italia ridiventata corrotta, inefficiente, poco europea, corporativa e illiberale, malgrado gli sforzi di Garibaldi, Cavour e Mazzini, mettiamoci la camicia rossa (per alcuni di noi sarà ancora più duro mettere i jeans, diventati nel frattempo il simbolo dell’ "uomo massa" senz’anima e senza idee…), insomma, vestiamoci da garibaldini e manifestiamo nelle piazze contro i privilegi. In perfetto stile ‘800, però.

Comments:
Bella rievocazione storica: sembrano cose di oggi
 
Sono cose di oggi. Ci sono ancora diciottenni e ventenni che, con l'incoscienza dell'eta', si armano e partono volontari per la guerra: per rovesciare dittature in terre lontane, per offrire una speranza di liberta', democrazia, diritti civili a popolazioni a lungo oppresse da feroci tirannie.

Sono giovani americani. Rischiano la vita in Irak e Afghanistan. E sono trattati con condiscendenza, se non disprezzo, dalla stampa liberal-chic, e da un'opinione pubblica che li considera "invasori".
 
peccato che garibaldi aderisce alle idee dell'internazionale socialista di andrea costa.
e che le sue spedizioni in america latina non hanno nulla a che fare con la guerra in irak.
guerra che manda i giovani americani a combattere non certo per liberare alcuno da tirannie varie, ma per ben altri motivi.
 
Bravo Aldo Forbice????
Allora io sono il Governatore della FED.
Sto "singore" mi ha chiuso il microfono in faccia, reo di non essermi adeguato al suo "politically correct" sulle idiote affermazioni del ministro Amato sulle usanze siculo-pakistane di picchiare le donne.
Sig. Valerio,
se Lei ritiene "bravo" un giornalista simile, La prego, chiuda i suoi blog.
Perchè il giornalista di un *servizio pubblico*, pagato con i soldi dei contribuenti, deve lasciare *liberi* gli spettatori di esprimere le idee di questi ultimi, non quelle che il conduttore vuole imporre come giuste *perchè lo dice lui*.
Mi permetta, ma difendere un perfetto *giornalista di regime*, mi sembra eccessivamente contrastante col suo radicato credo liberale e con la sua cultura di dimensioni non indifferenti.
Con stima ed affetto, Sig. Valerio, La saluto.

Gianluca - (PALERMO)
 
P.S. A Lei e, soprattutto, al Sig. Forbice, il vivo ed accorato consiglio a visitare, con molta attenzione e successiva meditazione, http://antifeminist.altervista.org .
Invito esteso a tutti i visitatori, specie i più sensibili alle idee *sinceramente* Liberali.
Sempre ogni affettuosità a Lei, Sig. Valerio, ed a tutti i Liberali e Libertari più autenticamente tali.

Gianluca - (PALERMO)
 
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
 
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