11 dicembre, 2011
Tasse ed evasori. Altro che “liberismo”, la borghesia italiana è piena di criminali sociali
Può un cittadino in uno Stato liberal-democratico – fondato sul consenso popolare preventivo e postumo, tramite votazione di legislatura sulla base dei programmi dei partiti – auto-ridursi le imposte da pagare, opponendo o che “sono eccessive” o che “non corrispondono ai mediocri servizi statali resi”? Può, insomma il cittadino protestatario, che pur doveva conoscere – abbia votato o no – le politiche economiche e fiscali del Governo o almeno le intenzioni dei legislatori di maggioranza, farsi giustizia da sé non pagando le tasse e infrangendo così la legge?
No, non può, a meno che non ricorra ad una consapevole forma di disobbedienza civile, pagandone tutte le conseguenze, ma facendo anche pubblicità alla propria tesi di politica fiscale o economica, e magari battendosi perché in futuro le proprie idee diventino maggioranza. Ma finché è in minoranza, deve continuare a rispettare le vecchie leggi e i vecchi regolamenti, anche se li ritiene sbagliati, ingiusti. Perché il rispetto della Legge, delle regole, da parte di tutti è in uno Stato liberale un cardine perfino superiore – ed è tutto dire – al tasso di liberalismo dei programmi e delle azioni del Governo. Perciò la disobbedienza è un atto grave, che se diffuso porta alla dissoluzione dello Stato e al discredito del sistema democratico (in cui chi ha meno voti deve ugualmente rispettare le leggi votate da chi ha più voti), e comunque denuncia un distacco profondo tra il cittadino e la Patria. Non per caso il rifiuto di pagare le tasse è stato nella Storia motivo di scontri violenti e di guerre (es. la “Guerra del tè” tra il Regno Unito e la sua colonia americana.
Perciò, spiace riconoscerlo, il presidente di Equitalia e direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, un semplice funzionario dirigente, sa di liberalismo più di molti sedicenti “liberali”, “liberisti” e “libertari” che albergano nella Destra italiana, alcuni infiltrati perfino tra i Radicali (la cosiddetta “corrente Luiss”).
Secondo loro, le tasse sarebbero sempre un male, di per sé, e se poi vanno oltre il 30% rivelano uno “Stato padrone”, inefficiente, corrotto e autoritario, diciamo “socialista”. E questo indipendentemente dalla qualità dei servizi resi dallo Stato. Che in Italia, non abbiamo difficoltà a riconoscerlo, appaiono mediocri, quando non pessimi.
Ma questo è un problema politico generale, non di disobbedienza individuale. I cittadini del partito “Low Tax” si uniscano, diano luogo ad un soggetto politico forte, imparino a diffondere dappertutto e in modo convincente le proprie idee, in gran parte condivisibili, facciano in modo di divenire maggioranza nel Paese, e se hanno fatto bene i loro calcoli finanziari, avremo finalmente uno “Stato efficienze con poche tasse”. Ma dal livello intellettuale e politico di questi protestatari e commentatori non si direbbe proprio che possano diventare un giorno classe dirigente di maggioranza.
A nessuno, è ovvio, piace pagare le tasse, neanche in Svezia, tantomeno in tempo di crisi economica e finanziaria. Ma solo agli Italiani sfugge che se tutti pagassero le tasse, cioè se fossero onesti, tutti ne pagherebbero molto di meno. Del resto, non possiamo negarlo: abbiamo una secolare tradizione di disonestà diffusa, pubblica e privata, e, quello che è più grave, tollerata socialmente.
Certo, il gigantismo dello Stato moderno che vuole occuparsi di tutto (in Italia, fino a pochi anni fa esisteva perfino il panettone di Stato), l’inefficienza e corruzione dei funzionari pubblici, mangiano soldi, troppi soldi, che poi richiedono nuove tasse. E in Italia esageriamo: le tasse servono anche per ripianare i finanziamenti che lo Stato dà ai giornali, all’opera lirica e ai produttori eccedenti di latte, oppure alle salatissime multe della Unione Europea sulla caccia o la giustizia. Certo, il sistema fiscale nei Paesi evoluti d’Europa è diverso: tutto è deducibile, cosicché è la catena stessa di vendite e prestazioni professionali che riduce l’evasione. E se scoperti gli evasori vanno in galera per lunghi anni, altro che multe.
Ma che ci vogliono fare gli anarchici super-libertari del “No Tax” se in Italia la gente vota partiti di Destra o Sinistra, Berlusconi o Prodi, che non solo non riducono le tasse, ma anzi le aumentano, per compensare l’enorme spesa pubblica in favore della Casta politica, della Casta religiosa, e per le ben note ragioni elettoralistiche? La rivoluzione, il terrorismo dei pacchi-bomba al direttore dell’Ufficio delle Imposte? Suvvia, questa è solo criminalità comune, neanche politica.
Non sarebbe meglio, piuttosto, tornare alle idee, e costruire una alternativa politica seria, riunendo i liberali di ogni partito e tendenza esclusivamente in base alle idee liberali, non al carisma di un uomo, o alla stupida scelta Destra-Sinistra (che non significa nulla in politologia), per dar luogo al primo partito in Italia (e da indagini demoscopiche sarebbe oltre il 35% della popolazione) che potrebbe realizzare finalmente uno Stato minimo e laico, non “ultra-liberista” (che non può esistere), non distruttore (con la scusa di “privatizzare”) della Natura, della Cultura e dell’Arte, ma davvero liberale in tutto, anche nell’aiutare i cittadini ad esprimere i loro diritti di libertà e realizzare i loro progetti?
Macché, non sapendo fare politica liberale, quei libertari si limitano a fare il panegirico di chi disobbedisce alle leggi, di chi non paga le tasse. E difendono gli evasori.
Fatto sta che l’evasione in Italia è colossale. “E’ quintuplicata negli ultimi 30 anni, dai 54 miliardi del 1981 ai 275 di oggi. E in mezzo abbiamo avuto ben tre condoni fiscali e tre “scudi”, scrive Sergio Rizzo in un articolo sul Corriere. “I contribuenti italiani che dichiarano al Fisco oltre 200 mila euro sono 77.273, pari allo 0,18%. Come questo dato si possa conciliare con quello delle 206 mila auto di lusso (costo medio, 103 mila euro) vendute ogni anno nel nostro Paese – prosegue Rizzo – è francamente incredibile”. L'Herald Tribune ha scritto che è il nostro vero sport nazionale. Che vergogna! L’evasione “vale dieci volte la manovra del governo Monti” scrive Lorenzo Salvia in un bell’articolo sul Corriere. “E quindi basterebbe non solo a evitare le lacrime di un ministro e di milioni di italiani ma anche a mettere per sempre in sicurezza i nostri conti pubblici. Stima l'Istat che in Italia in un anno l'evasione fiscale e il sommerso raggiungano i 275 miliardi di euro. È la stessa cifra che fattura l'industria mondiale del legno, oppure quella nazionale (ma fiorente) della corruzione russa. Tradotta in denaro sottratto al Fisco sono 120 miliardi, secondo il direttore dell'Agenzia delle entrate Attilio Befera. I lavoratori autonomi o gli imprenditori che dichiarano la metà del loro reddito reale nascondendo al Fisco più di 15 mila euro a testa. E, soprattutto, i proprietari di case, negozi e appartamenti che dalla dichiarazione tengono fuori oltre l'80% delle loro entrate, quasi 18 mila euro ciascuno”.
Voi pensate che questo indigni cortei di indignados? Pensate che i vari Grillo, Di Pietro, Pannella, ed altri protestatari di professione, se la prendano mai con i concittadini disonesti? No, mai. Solo contro i Governi, lo Stato. In Italia il cittadino non sbaglia mai, è sempre giustificato, poverino. La colpa è sempre dell’altro cattivo, specialmente se potente: lo Stato, la Regione, il Comune.
Credete che qualcuno dei comuni cittadini denunci i concittadini criminali che li obbligano a imposte più alte? Macché, neanche per sogno. E invece, ecco un’ottusa campagna dapprima contro il Governo per la “privacy violata” con le intrusioni sul conto bancario, efficace mezzo di contrasto verso i criminali fiscali (v. articolo di Giuditta Marvelli), poi l’indignazione non contro i concittadini evasori, ma contro gli… esattori. Sembra di essere tornati al popolino ignorante e cieco della Roma dello Stato Pontificio descritta nei sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, o alle plebi meridionali del Regno delle Due Sicilie. Così, la campagna di esagitati contribuenti su internet è culminata addirittura in un attentato (il dr. Cuccagna ferito da un pacco-bomba).
Ma questo Befera, in fatto di liberalismo ne più dei sedicenti “liberisti-libertari” del menga. Nell’intervista il giornalista gli chiede: «E’ illiberale la fine del segreto bancario?» E Befera così risponde: «Intanto, il segreto bancario non è mai stato assoluto. La magistratura ha sempre potuto accedere alle informazioni, specialmente nel contrasto al riciclaggio. Lo stesso vale per l'Agenzia a fini di accertamenti su soggetti precisi. Ora, grazie a un'apertura introdotta nella manovra di luglio (da Giulio Tremonti, ndr ) e consolidata nel decreto ora all'esame del Parlamento, l'Agenzia supera il segreto bancario in via preliminare. È certo una misura assai forte. In molti Paesi occidentali il segreto bancario è attenuato. E però nessun altro Paese, a parte la Grecia, ha il nostro livello di evasione. Il tasso di liberalismo si confronta con l'osservanza della legge. Questo è il Paese dove molte imprese, specialmente nell'edilizia, non pagano imposte e contributi, vengono fatte fallire dal proprietario che riemerge poi con nuova ragione sociale e ricomincia».
Capito che lezione agli evasori sfacciati e a certi contribuenti che spacciano la loro furberia, nientemeno, per “super-individualismo libertario e liberista”?
D’accordo, non è lecito incrudelire contro i criminali (“Nessuno tocchi Caino” si chiama un club radicale), ma uno Stato liberale non può equiparare i cattivi ai buoni, cioè agli onesti cittadini che rispettano le leggi e pagano le tasse. Altrimenti saremo costretti a fondare “Nessuno tocchi Abele”! Perfino il mercato premia gli onesti, e volete che non lo faccia uno Stato liberale?
A nessuno, ripetiamo, piace pagare le tasse, ma l’evasione di massa della classe media in Italia è un doppio crimine, contro le finanze dello Stato e contro i concittadini, in tal modo costretti a pagare più tasse per l’evasione dei furbi. Furbi e arroganti, perché in molti casi spacciano questo comportamento criminale come un atto di protesta, di disobbedienza civile, addirittura. E come alibi vanno cianciando perfino di “No taxation without representation”, slogan sacrosanto se detto dai coloni americani che si opponevano alle tasse imposte da Londra prima dell’indipendenza, ma cretino se applicato all’Italia di oggi in cui tutte le imposte sono decise per legge dai rappresentanti dei cittadini. Questo per dire a che punto di imbrogli sottoculturali arrivano le Destre pseudo-liberiste e libertarie in Italia.
Ma perché da noi la borghesia è così imbrogliona e arrogante? Facciamo un passo indietro. In un Paese che non ha avuto purtroppo la Riforma protestante e la rivoluzione liberale, in cui la stragrande maggioranza della popolazione era contadina fino a 60 anni fa, in cui la Chiesa e i nobili più arretrati e ignoranti hanno comandato nel modo più assoluto e ottuso fino a 150 anni fa, col nefasto ventennio del Fascismo di mezzo, il cinquantennio clericale e il pericolo incombente del Comunismo, insomma in un Paese senza vera borghesia come l’Italia, che spazio c’era per la borghesia?
Eppure, come nei Paesi del Terzo Mondo, come in Grecia e in Algeria, una certa globalizzazione di modelli e valori ha fatto sì che un simulacro di borghesia, comunque, nascesse.
Ma che borghesia è questa non-borghesia? E anzi, in che modo il cittadino post-contadino o pre-borghese è potuto diventare all’improvviso “borghese”? Col metodo antico e tribale con cui si crearono le prime “aristocrazie”: l’arricchimento, con ogni mezzo e a qualunque costo, senza regole che non siano la forza materiale o la forza del denaro. Altro che “doveri” sociali e individuali enunciati dai liberali e repubblicani del Risorgimento.
Càpita così che la prima misura di autodifesa per l’ex povero arricchito o di chi eredita i beni di famiglia sia l’atto asociale e anti-sociale, dunque criminale, di non pagare le tasse. Eppure si pretendono, eccome, servizi dallo Stato. Eppure si spreca come in nessun altro Paese europeo la cosa pubblica per i nostri fini individuali.
Così un “borghese” potenziale (ci piange il cuore di dover usare questa parola, altrove onorata) di prima nomina, sia esso commerciante o avvocato, idraulico o dirigente di Enti di Stato, dentista o meccanico, artigiano o industriale, come primo atto del suo programma di arricchimento rapido e senza scrupoli, deciderà di pagare meno tasse possibile. Perché sono alte, troppo alte, si sa. E dunque si fa “ingiustizia” da sé. E anzi, chi riesce a farlo in modo radicale è considerato bravo, furbo, un dritto, insomma. E non contenti di ciò, questi pseudo-borghesi del crimine sociale continuano pure a sparlare dello Stato e della classe politica, rea di avere stipendi alti (mai come i propri, comunque), auto blu (mai come le proprie), e a pagare poche tasse. Come loro stessi, appunto.
Come instillare nei cittadini il senso della collettività e l'orgoglio per le proprie istituzioni? E perchè pagare le tasse da parte dei più ricchi se i servizi che lo Stato offre sono inefficienti e deficitari- l'alibi dello Stato corrotto almeno quanto loro , li giustifica nella loro scelta di evadere il fisco.
E come se ne esce? La buona amministrazione della cosa pubblica, lo smantellamento dei privilegi, la scuola, la cultura...bah!
Né dimentichiamo a fronte di quali servizi – ospedali in cui si muore di setticemia, linee ferroviarie senza elettricità, autostrade mai finite, welfare che copre solo una parte di mondo del lavoro – quelle tasse vengono pagate.
Penso che ogni ragionamento sui doveri dei cittadini, di ogni cittadino, debba esser sempre espresso mettendo in conto i doveri della macchina statale. Tutto qui.
È vero e giusto che ognuno di noi, voti o meno, non può sottrarsi alle leggi: quelle fiscali come quelle sulla convivenza civile in genere. Esistono nondimeno diritti a sanità funzionale, giustizia giusta e mille altre cose cui - nonostante richiami e sentenze europee - qualsiasi governante italiano fa orecchie da mercante, chiunque l'abbia votato e qualunque cosa abbia eventualmente promesso di fare.
Non volendo annoiare nessuno con un'iperbole che passi dalla frattura cittadinanza-istituzioni la faccio finita qui, cogliendo invece l'occasione per fare auguri di buone feste a lei e ai lettori.
"Ben lieto di esser stato utile. Sottolineo solamente come, col mio commento, non intendessi in alcun modo sostenere l'evasione fiscale come forma di disobbedienza civile. Una cosa sono le sciurette con il conto anonimo in Liechtenstein e altra Spooner o Tucker.
Penso che ogni ragionamento sui doveri dei cittadini, di ogni cittadino, debba esser sempre espresso mettendo in conto i doveri della macchina statale. Tutto qui.
È vero e giusto che ognuno di noi, voti o meno, non può sottrarsi alle leggi: quelle fiscali come quelle sulla convivenza civile in genere. Esistono nondimeno diritti a sanità funzionale, giustizia giusta e mille altre cose cui - nonostante richiami e sentenze europee - qualsiasi governante italiano fa orecchie da mercante, chiunque l'abbia votato e qualunque cosa abbia eventualmente promesso di fare.
Non volendo annoiare nessuno con un'iperbole che passi dalla frattura cittadinanza-istituzioni la faccio finita qui, cogliendo invece l'occasione per fare auguri di buone feste a lei e ai lettori.
Sejo"
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