31 luglio, 2010
Il genio di Cavour. L’astuzia della Rivoluzione liberale in Italia, ma ordita dal Governo.
Purtroppo i titoli posti agli articoli da Gobetti e una ricerca per argomenti troppo schematica non aiutano il ricercatore ad orizzontarsi rapidamente nel sito. Non esiste una ricerca per parole, neanche i nomi più significativi dei personaggi politici e storici. Invece, ci sono tre ricerche poco utili: sugli autori degli articoli, che possono essere anche degli illustri sconosciuti, sui titoli degli articoli (e si sa come Gobetti faceva i titoli) e sui soggetti degli articoli. E qui si nota la manchevolezza maggiore: i soggetti (solo alcune decine) sono già prefissati: si può solo scegliere tra loro. Ma ci sono i soggetti più generici o astrusi, e mancano i nomi fondamentali. Ci sono "Albania" e "Vita politica a Taranto", ma non Cavour, Garibaldi, Mazzini, Giolitti, Sella ecc. A nostro avviso, insomma, la memorizzazione della Rivoluzione liberale dovrebbe essere completamente rifatta.
In ricordo e ad onore del maggiore protagonista del Risorgimento italiano, Camillo Benso di Cavour, di cui ricorre quest’anno il 200.o anniversario della nascita (nacque il 10 agosto 1810), riproduciamo una pagina di Rivoluzione Liberale (a.II, n.13, 8 maggio 1923) in cui il giovanissimo e appassionatissimo intellettuale torinese ritrae Cavour da par suo, ricorrendo anche ad argomentazioni curiose e insolite.
Immotivato, per esempio, ci sembra l'uso separato, quasi contrapposto, dei termini liberismo e liberalismo a proposito della sua opera, quando la continuità naturale, perfetta, tra tutte le libertà, dal mercato alla religione, appare - anche dalla biografia del Viarengo - la caratteristica saliente della vita di Cavouir.
E poi, l'articolo non finisce bene: tutto ci saremmo aspettati, tranne che il pragmatico e assai poco intellettuale Cavour, come egli stesso ammetteva, fosse recensito post mortem a suon di citazioni di Hegel, addirittura, e inserito senza sua colpa in polemiche filosofiche o correnti di pensiero che oggi appaiono davvero provinciali (NV).
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"Fu gran ventura per un popolo che non sapeva distinguere tra Cattaneo e il giobertismo, che si trovasse a guidarlo Cavour, il Cattaneo della diplomazia, che seppe evitare l'isterilirsi della rivoluzione in una tirannide. Il dissidio tra Cavour e Vittorio Emanuele II, re mediocre e negato alla comprensione dei tempi, fu in questo senso la vera Provvidenza dell'unità italiana.
Il ministro piemontese sovrasta ai suoi contemporanei perché guarda gli stessi problemi con l'occhio dell'uomo di Stato. Tuttavia la sua figura è qualcosa di più che un esempio della coscienza di un governatore quale poteva essere offerto dai ministri del '700. Genio e costanza non insegnavano a governare l’Italia delle sette e della reazione clericale. La singolare virtù di Cavour è piuttosto nella franchezza della sua astuzia. Egli era il diplomatico che sapeva parlare alle folle e, pur senza mendicarne il favore, non avrebbe mai arrestato o attenuato la forza che proviene dall'entusiasmo di un popolo. Dominanti i costumi della demagogia e della teocrazia Cavour ha saputo incominciare il processo moderno di una rivoluzione liberale, pur disponendo soltanto di un esercito e di una dinastia. Educatore e demiurgo ha trovato l'adesione del popolo senza corromperlo. Paragonato con gli uomini politici che lo seguirono, tranne Sella, appare di un'altra razza: per Depretis e per lo stesso Giolitti, che pure, ha mente di uomo di Stato, il giusto termine di paragone non è Cavour, ma Rattazzi, modello di equilibrismo, di equivoco e di demagogia.
Invece il possibilismo di Cavour, pur non indulgendo a professioni di fede o a programmi, non comprometteva il futuro. Seppe disarmare il radicalismo col connubio con Rattazzi, che era più una vittoria che un'alleanza e frenò il clericalismo con una politica ecclesiastica ferma, ma moderata e non demagogica.
La libertà economica fu il perno educativo su cui egli impostò la sua azione popolare. Perché la rivoluzione trionfasse contro la reazione bisognava che sulla libertà si venisse fondando la vita privata e pubblica; combattendo il protezionismo egli apriva il Piemonte a una diretta comunicazione con l'attività economica europea e creava un movimento di attività e di iniziativa che permise allo Stato di affrontare venti anni di politica avventurosa. Il liberismo di Cavour mirava a far entrare nella vita nazionale nuove forze operose: senza giungere alle pratiche corruttrici della politica di beneficenza il suo filantropismo s'opponeva apertamente all'indifferenza dei governanti per le classi inferiori.
Mentre creava nella vita popolare le condizioni obbiettive per una rinascita moderna fondata sugli imperativi dell'economia e non sui sogni della religione, il liberalismo di Cavour era lo strumento fondamentale della sua politica estera. Con una tradizione secolare di diplomatici troppo astuti, costretti a far conto soltanto sulla propria dignità personale perché non sorretti dal sentimento della nazione, gli italiani erano diventati estranei alla politica europea, perché non le offrivano alcuna garanzia e non potevano fondarsi su esigenze reali e su virtù positive per partecipare all'equilibrio internazionale. Cavour seppe dare all'Europa l'esempio di una pratica di governo dignitosamente liberale, capace di mantenere i propri impegni e di conquistare la fiducia del paese. Di fronte all'Austria egli mostrava la possibilità di un governo nazionale che non aveva bisogno di ricorrere allo Stato d'assedio.
Ma il capolavoro di Cavour – bisogna riconoscerlo, dopo tanti fraintendimenti – fu la politica ecclesiastica. Egli comprese la vanità di ogni lotta contro il cattolicesimo in un paese cattolico e la necessità di combattere la Chiesa non su un terreno dogmatico, ma sul problema formale della libertà di coscienza. Intesa secondo questi principi, la formula libera Chiesa in libero Stato non è più un'ambigua trovata di filosofia del diritto, ma un'astuzia di politica internazionale e la prova delle virtù diplomatiche e della maturità costituzionale del nuovo Stato. Lasciando ai tribuni e ai capi della lotta politica il compito di combattere il dogmatismo e riservando alla cultura libera la funzione di elaborare le nuove ideologie, Cavour obbligava i paladini di una verità medioevale ad accettare per la lotta una pregiudiziale moderna. Il suo ossequio per la Chiesa poi provava soltanto il suo senso di misura e la sua profonda convinzione che l'autonomia di un popolo moderno non potesse fondarsi su una demagogica propaganda anticlericale. Non si poteva andare oltre il cattolicismo se si dimenticava la tradizione cattolica.
Confrontata con i complessi motivi dell'opera promossa dallo statista appare aridamente dogmatica la critica opposta alla formula cavouriana dagli hegeliani teorici d'intolleranza e ancor più pedantemente dal Vera.
G. M. Bertini fu tra i critici della politica ecclesiastica cavouriana il solo che toccò con misura i motivi più delicati e difficili postulando la necessità di una polemica inesorabile contro i residui di assolutismo inerenti in qualsiasi politica ispirata dalla Chiesa. Sennonché questi motivi di pensiero del Bertini ripresi poi dagli Spaventa e dalla Destra hegeliana erano validi per prevenire ogni rinascita di un equivoco neo-guelfo nella lotta d'idee e nella cultura nazionale, non potevano ispirare una politica di Stato che deve tener conto del Vaticano come di un elemento della vita diplomatica internazionale. In realtà l'opera di Cavour era l'opposizione più vigorosa ad ogni ingerenza neo-guelfa; la sua politica era assai più astuta di quella che gli potesse esser suggerita da una qualunque ideologia immanentista perché sconfiggeva l'assolutismo con risorse completamente realistiche. Sotto l'amministratore c'era anche qui il politico che aveva risolto modernamente i più difficili problemi dello spirito.
PIERO GOBETTI
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IMMAGINI. 1. Cavour e Garibaldi chimici creano l'Italia mettendo nell'alambicco, ad una ad una, tutte le regioni (Redenti, Il Fischietto, 10 nov. 1860). 2. Cavour contestato dalla sinistra liberale di Lorenzo Valerio e Angelo Brofferio, prima del Connubio (Redenti, Il Fischietto, 6 apr. 1858). Nota: le caricature, leggermente colorate con Photoshop, sono tratte dal bel sito degli Amici della Fondazione Cavour, che ringraziamo.